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Diario di Guerra in Tempo di Pandemia

#SOSPESA - Raffaella Regoli - Speciale

Una pagina del Diario di Guerra in tempo di Pandemia, la voce di una giornalista fuori dal coro, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Raffaella Regoli.

Diario di Guerra in Tempo di Pandemia

Martedì 15 Febbraio

Morpheus: "È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre.

Pillola azzurra, fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai.

Pillola rossa, resti nel Paese delle Meraviglie e vedrai quanto è profonda la tana del bianconiglio."

Da "Matrix", 1999, Film di Lana e Lilly Wachowski

 

"Bianconiglio: È tardi! È Tardi!"

Lewis Carroll, "Alice nel Paese delle Meraviglie"

 

Sospesi.

Ci hanno confinato in una prigione che non ha sbarre, non ha mura, che non ha odore.

Agli arresti domiciliari.

E mi chiedo, come siamo arrivati a questo punto?

Quattro mesi prima...

Trieste. È quasi mezzanotte. E la notte il freddo mangia la faccia e inghiotte le ossa. È il 17 ottobre 2021.

Abbiamo finito di cenare da poco, abbiamo lavorato tutto il giorno, montato e inviato il servizio. In piedi dalle 7 del mattino. Siamo stanchi. Mi è arrivato uno strano messaggio da Gabriele, un mio informatore. Mi scrive di scendere al porto.

Stanno circolando brutte voci. Dico a Simon, l'operatore, e al suo capo Carlo Brotto, se hanno voglia di accompagnarmi. Siamo tutti stremati. Capiscono che dobbiamo andare e andiamo.

Davanti all'ingresso del porto, nel parcheggio, sono ferme le solite due camionette, della polizia e dei carabinieri. Ci sono i camper arrivati da tutt'Italia, nei giorni scorsi. Ci sono tende e macchine come rifugi per la notte. Ma decine di persone dormono fuori, nei sacchi a pelo, a ridosso del varco IV. È la notte di domenica.

Fino a poche ore fa in questo parcheggio c'erano bambini che disegnavano e gente che cantava. Tra loro Vita, 4 anni appena. È una sopravvissuta di Bibbiano. Volevano portarla via da mamma e papà ma poi hanno arrestato tutti, compreso il sindaco. Vita si è salvata così.

Appena mi vede, mi trotterella incontro e allarga le braccia. La afferro e la sollevo in aria. Vita è la mascotte di tutti. Con gli occhi di mare, il mare di Trieste, e la voce di un piccolo usignolo, inizia a canticchiarmi l'inno italiano: "Fratelli d’Italia, l’Italia s'è desta, con l'elmo di Scipio s'è cinta la testa... poropò, poropò, poropò pò pò pò pò...."

Fino a qualche ora fa su questo spiazzo c'era gente con i tamburi e le chitarre, e altri che cuocevano polenta e salsicce, altri che manifestavano il loro dissenso.

Dal 15 ottobre, da quando è iniziata la protesta dei portuali contro l'obbligo della tessera per andare a lavorare, sono sciamati al porto a migliaia, da ogni dove. Ognuno con la sua sigla, anche se qui non vogliono bandiere di partito. C'è il “Movimento 15 ottobre”, triestino, che come altri movimenti, in altrettante città italiane, da mesi scendono in piazza, tutti i sabati, contro il green pass e l'obbligo vaccinale.

Oggi sono arrivati Gianluigi Paragone di Italexit e pure Enrico Montesano. C'è anche la gente più disparata. I seguaci di San Michele Arcangelo, quelli del Movimento 3V, i “terrapiattisti”. Ognuno si prende un suo angolo di protesta.

 

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"Trieste sarà la scintilla", aveva predetto Nino ai nostri microfoni.

Era il 2 ottobre. E ora quella scintilla aveva acceso la miccia.

Trieste stava diventando l’ultima trincea di una resistenza che non si arrende.

E ogni carovana che giunge qui, alza il suo vessillo di solidarietà: Udine c'è, Verona c'è, Genova c'è, Vicenza c'è, Modena c'è, Bologna c'è, Roma c'è, persino Catania c'è...

Tutti portano cibo e coperte per il freddo. Perché da giorni su un tabellone ognuno segna, con una croce, il suo turno. Si fanno i turni per presidiare notte e giorno il varco IV.

E poi ci sono le categorie dei lavoratori, con i loro striscioni: i ferrotranvieri che non vogliono pagare un tampone ogni due giorni per andare a lavorare. Ci sono gli autisti dei bus di linea. Gli ospedalieri, che non si sono piegati all'obbligo vaccinale, e sono sempre un po' defilati perché hanno paura di essere licenziati.

Tantissimi insegnanti e pure qualche poliziotto in borghese. Ci sono i Vigili del fuoco, con le magliette verdi e le fiamme rosse ben in vista. E i portuali di Genova e di Monfalcone: sono una ventina, appena arrivano la folla apre un varco per farli passare. E loro vanno ad abbracciare i fratelli del porto.

Tutti gli alberghi e i bed and breakfast in città tracimano.

È arrivato anche l’esercito dei giornalisti. Io sono qui da qualche giorno, come inviata di “Fuori dal Coro”. All'inizio i portuali sono ben disposti e rilasciano interviste. Poi si accorgono che qualcuno racconta un’altra storia. E non sono più contenti. Ieri una giornalista di Rai è stata insultata da un gruppo di manifestanti.

"Giornalista terrorista", le gridano contro, "vai via, qui non ti vogliamo". Lei corre verso la camionetta dei carabinieri e chiede protezione. L'hanno difesa i portuali.

Sono solidale con i colleghi che vengono aggrediti, ma qui ho visto cose che non mi sono piaciute. Non mi piacciono le interviste fatte sempre ai personaggi più strani e improbabili che compaiono in ogni manifestazione. Sento le provocazioni nelle loro domande per far cadere la gente in trappola.

Vedo i microfoni spuntare spesso e volentieri alle 5 del pomeriggio, quando molti hanno alzato il gomito, perché si sa che i portuali bevono, per sopportare freddo e fatica.

E il caffè è corretto già alle 6 del mattino.

Eppure questi ragazzoni del porto, con ragnatele che solcano i visi e sorrisi aperti negli occhi, hanno valori che abbiamo dimenticato, come quello della solidarietà. Sono stati sempre tutti dalla stessa parte, vaccinati e non, perché nessuno venisse discriminato. Vedere questi lavoratori presi in giro dai tutori dell’informazione, quelli che dovrebbero raccontare i fatti, vedere deridere queste minoranze, non mi piace. Non mi è mai piaciuto.

E con i riflettori, la macchina del fango si è messa in moto. E se è facile allontanare i gruppi di estrema destra, è più difficile tenere a bada gli speculatori, che spesso hanno la meglio su gente semplice.

Qualcuno prova infatti ad azzoppare la protesta. "Non ce la farete mai a dividerci", tuona continuamente il loro leader, Stefano Puzzer, ma viene tirato continuamente per la giacchetta, da più parti; fino a dimettersi dal CLPT, il Coordinamento Lavoratori Portuali di Trieste.

Tutto questo accadeva qualche ora fa.

 

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Ora il buio è gelido, manca poco alla mezzanotte. E la tempesta è già nell'aria.

Entro nella guardiola, cerco Stefano, ma non c'è. Mi dicono che è in riunione con gli altri. Mi viene incontro Nino, l’altro perno dei ragazzi del porto. È scuro in viso, sembra ancora più magro. Solo gli occhi di un blu profondo, sono onde agitate in un volto segnato da troppe notti insonni. Mi si avvicina e mi parla in un orecchio: "Sono arrivate voci da Roma. Preparati. Forse domani ci attaccano".

Prima di andare a dormire faccio un briefing veloce con Simon: "Tieni il telefono acceso, prepara l'attrezzatura, dobbiamo essere pronti ad entrare in azione in pochi minuti". Vado a letto con il telefono acceso sul comodino.

È la mattina del 18 ottobre, ore 8:09. Sul cellulare il bip annuncia un nuovo messaggio. Afferro il telefono, lo guardo. È Stefano Puzzer. Non c'è scritto nulla, mi ha mandato solo una fotografia: si vede l'ingresso del varco IV, e da dentro il varco si vedono spuntare due ali interminabili di blindati della polizia. Sono troppi. Balzo giù dal letto. Chiamo prima un taxi, poi Simon: "Ci siamo, è partito l'attacco al porto. Prendi l'attrezzatura. Tra 5 minuti giù, sta arrivando il taxi".

Vado in bagno, mi lavo i denti, metto le lenti a contatto. Per la fretta me ne cade una a terra e perdo tempo a cercarla carponi. Infilo il maglione di lana grigia sopra il pigiama, i pantaloni, gli stivali e il giubbotto, afferro il telefono ed esco con un pacchetto di mandorle in tasca. Saranno l’unico conforto in 5 ore di guerra.

Siamo appena saliti sul taxi, che ci sorpassano a sinistra, uno dopo l’altro, i blindati blu dei carabinieri. Hanno la nostra stessa fretta. La nostra stessa destinazione. E sono tanti.

"Simon, accendi la telecamera", gli dico, "passami il microfono ché parlo sulle immagini. Tu riprendi tutto".

"Scusi signora, non riprenda me, per favore", tuona subito il tassista.

"Stia tranquillo", gli rispondo concitata, "ma non li perda, mi raccomando, gli stia dietro. Abbiamo fretta anche noi".

Inizio il mio racconto: "Sono le 8:15 del mattino. Lo vedete, i blindati dei carabinieri ci superano a gran velocità. Sono diretti, come noi, al porto, dove sta per iniziare lo sgombero dei manifestanti".

Quando arriviamo, il varco IV non si vede già più. Dalle sue fauci sono usciti due grossi draghi sputa acqua, gli idranti della polizia, uno a destra, uno a sinistra, da entrambi i lati. Dietro gli idranti, due file interminabili di blindati.

Sono entrati all'alba, una manciata di chilometri più in là, dal varco I, per sbucare poco fa come scarafaggi usciti dalla tana. Cerco di contarli, sono troppi e mi fermo. Davanti agli idranti, sono schierati centinaia di poliziotti. In assetto antisommossa.

Davanti a tutti, il vice questore. Ha la fascia tricolore messa di traverso, nella mano sinistra stringe casco e manganello. La destra è alzata. Urla ai manifestanti, davanti a sé: "In nome della legge, disperdetevi!". Poi si gira verso i suoi uomini, rialza il braccio, e ordina agli idranti: "Avanzate!".

 

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Gli idranti si mettono in moto. Hanno due cannoni a testa puntati sui manifestanti. Ad altezza d'uomo. Una cascata d’acqua pronta a uscire dal basso per spazzare via chi è a terra.

Aprono il fuoco. Quattro potenti getti d’acqua si rovesciano sulle prime file di giubbe gialle e arancioni. Qualcuno ferma la valanga gelida col corpo. Altri seduti a terra vengono investiti dalla seconda ondata. Nessuno indietreggia.

Un portuale comincia ad applaudire, gli altri lo seguono. E sotto la tempesta, urlano: "Bravi!".

Un portuale cade a terra e si accartoccia in una pozza. Mi avvicino per capire se ha bisogno d'aiuto. L'idrante gli ha colpito l'orecchio.

Se la caverà, ma ne uscirà con un timpano rotto. Lo portano verso l'ambulanza. Sono arrivati altri giornalisti, distinguo La7 e la Rai.

Qualcuno ha già postato il primo video sui social e stanno accorrendo tutti.

Da un lato, con le spalle al varco IV, ci sono i poliziotti, con gli scudi, disposti a testuggine. Gli uomini della mobile di Trieste sono in borghese. Dietro i caschi, le facce degli agenti arrivati da Padova e da Vicenza. Li fronteggiano i ragazzi del porto. E decine di vigili del fuoco e di autisti; ci sono ragazzi, donne e vecchi che non smettono di arrivare.

C'è un vecchio a piedi nudi, l’acqua si è già raccolta in grosse buche a terra. Lui ha gettato via le scarpe e sfida la polizia.

Davanti al vice questore c'è Tuiach, portuale ed ex pugile. In città lo conoscono tutti. Non mette insieme molte frasi compiute, ma dicono che è per via dei troppi colpi presi in testa. Sarà per questo che è il preferito dei giornalisti di tutte le testate. Ha simpatie di estrema destra. Una volta si è anche candidato.

Ha una moglie e tanti figli, è un cristiano evangelico. Ora brandisce il suo rosario davanti agli agenti. "Nel nome di Dio, nel nome di Dio Padre, fermatevi!".

 

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Riconosco Lorenzo, la giubba arancio e la barba lunga. Ci viene incontro disperato: "Guardate! Gli abbiamo voluto bene... Gli abbiamo portato tutti i giorni da mangiare e ora ci caricano". Arrivo nelle prime file. Con le divise gialle ci sono Stefano e Nino, Raffaele, Mario, Paolo... li conosco uno ad uno, sono una cinquantina e sono tutti qui.

Hanno i cappucci delle felpe tirati sulla testa. Stefano si è annodato una striscia bianca di stoffa intorno al collo, in segno di pace, ma la guerra è già scoppiata.

Gli chiedo da dove sono arrivati i blindati della polizia. Mi spiega che sono passati da dentro al porto, e non avrebbero potuto farlo perché Trieste è un porto franco internazionale. "C'è un trattato di pace che lo vieta", mi spiega Walter. Non è un caso che i blindati dei carabinieri, siano passati dall'esterno.

Sarebbe stata una violazione grave. Ci guardiamo increduli. Tuiach continua a ripetere: "Qua non si molla!".

Simon sta filmando con la telecamera. Io con una piccola osmo. E con il telefono inizio una diretta Facebook. Anche il giornalista de La7 è in diretta. Non lo vedrò più, e neppure quello della Rai.

La carica sta per partire.

Qualcuno grida: "Tutti giù, tutti giù!". I portuali e gli altri lavoratori si siedono a terra, nell'acqua. Qualcuno è in ginocchio. Si prendono tutti per mano e cominciano a pregare.

Uno di loro dice: "Ci voleva questo per farmi recitare il Padre nostro..."

È l’immagine che farà il giro del mondo, ma non sui nostri tg nazionali.

Data di Pubblicazione: 28 giugno 2022

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