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Diluvio universale: il giorno del giudizio

Diluvio universale: il giorno del giudizio

Ogni anno l'umanità intera commemora i caduti dell'ultimo giudizio universale. Scopri di più leggendo l'anteprima del libro di Massimiliano Caranzano.

Il giorno del giudizio

«Nell’anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, il diciassette del mese, in quello stesso giorno, eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono».
Genesi 7, 11

Noè usava un calendario con dodici mesi di trenta giorni, in cui l’anno cominciava verso la metà dell’attuale mese di settembre.

Considerando le parole della Genesi, se ne deduce che il diluvio biblico fece la sua apparizione in novembre, ma questo è un mese che per la cristianità annovera un’altra importante ricorrenza, quella in cui si rende omaggio ai defunti. In particolare, Ognissanti, il primo novembre, è la festa cattolica di tutti i santi (festum omnium Sanctorum), con la quale si onorano i defunti che godono la gloria del Paradiso, seguita, il 2 novembre, dalla commemorazione di tutti i fedeli che ci hanno lasciato, comunemente detta “Giorno dei Morti”, una ricorrenza della Chiesa latina.

Si tratta di due festività note e diffuse nel mondo occidentale come All Saints e All Souls, ma che misteriosamente hanno degli analoghi in una moltitudine di popoli sparsi per il pianeta, di culture differenti, cui la storia accademica attribuisce origini non comuni. Eppure, come vi darò evidenza nel prosieguo, nel Perù precolombiano, nel Sud-Est dell’oceano Indiano, presso gli aborigeni australiani, gli antichi Persiani ed Egizi e perfino nelle sperdute e isolatissime isole del Sud Pacifico, fatto, questo, che apre un nuovo enorme Vaso di Pandora, ritroviamo lo stesso tipo di celebrazioni dei defunti nel mese di novembre: com’è possibile?

Ci risiamo, come descritto ripetutamente in Prima di noi, ecco un altro di quei culti, usanze o miti che, come quello della Dea Madre, il diluvio, l’importanza attribuita all’oro, i bendaggi tesi a deformare il cranio e tanti altri, era diffuso a livello globale, ben prima che, secondo la storia ufficiale, i diversi popoli entrassero in contatto tra di loro. Chi mi legge sa che, a mio parere, tre coincidenze fanno quasi sempre una prova, ma qui, anche statisticamente parlando, siamo ben oltre la soglia che divide la casualità dalla razionale e logica esistenza di un fattore comune che leghi tutte queste evidenze.

Vi è poi un’aggravante serissima, che depone irrimediabilmente a favore della presenza di un denominatore comune a questi indizi: com’è possibile che, ancora oggi, a distanza di migliaia di anni dalle loro presunte origini, queste celebrazioni avvengano tutte nell’attuale mese di novembre, perfettamente sincrone, nonostante che i differenti calendari solari, utilizzati per misurare l’incedere del tempo da queste culture, avrebbero dovuto rapidamente introdurre uno sfasamento temporale delle varie celebrazioni?

 

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Questo sincronismo ci fornisce un preziosissimo indizio per risolvere quello che, indubbiamente, rappresenta un rompicapo in grado di accendere la fantasia dei più curiosi o se preferite, la curiosità di coloro che ragionano con mente aperta.

In maniera meno esplicita, ma per questo non certo priva di fondamento scientifico, anche l’Antico Testamento sembra associare l’attuale mese di novembre alla morte, per tramite di quel cataclisma globale, conosciuto “volgarmente” con il nome di “diluvio universale”. Capisco che, così su due piedi, il nesso tra queste due evidenze possa sembrare talmente labile da apparire ai più come inesistente e frutto della fantasia malata dei ricercatori di una verità alternativa, ma, scavando in profondità, vedremo emergere qualcosa di sconvolgente.

Prima di leggere quanto sto per affermare sarebbe opportuno essere saldamente seduti su di una stabile poltrona e questo nonostante esista una quantità tale di evidenze a suo supporto, da cancellare il benché minimo dubbio dalla mente del più scettico dei lettori. I giorni consacrati dalla religione cristiana alla celebrazione dei defunti sono in realtà una commemorazione del giorno del giudizio in cui un diluvio universale quasi annientò l’umanità.

Lo ripeto a scanso di equivoci: noi tutti, e con questo pronome intendo almeno la metà del genere umano, cioè qualche miliardo di persone, ancora oggi, ogni anno, commemoriamo i caduti, le vittime, del diluvio universale.

Il gioco dei puntini

Un interessante studio, che risale al lontanissimo 1868, a opera di Robert Grant Haliburton, ma che trae le sue radici dagli scritti di Sir William Jones, prese in considerazione una serie di antiche festività e ricorrenze, patrimonio di popoli distanti tra di loro e apparentemente senza legame alcuno. In particolare, una di queste tradizioni riguardava la commemorazione dei defunti, che, con grande stupore dello stesso autore, si rivelò ben presto essere un’usanza estremamente diffusa e con pratiche pressoché identiche, tra popoli e culture lontani e senza nessuna apparente radice comune.

L’autore condusse una entusiasmante analisi delle culture di molteplici popoli del pianeta, attraversando diverse discipline, scoprendo e unendo insieme nuovi puntini, con mente aperta, fino a formare un disegno tanto sconvolgente, quanto stupefacente, i cui dissacranti risvolti cominciano a trovare le conferme scientifiche nei nostri tempi moderni, come avremo modo di discutere nei prossimi capitoli.

Se già tutto questo non fosse abbastanza strano e particolare, diciamo pure una di quelle coincidenze che suonano il campanello di allarme nella nostra testa “malata”, eccone subito un’altra, riguardante le tempistiche in cui queste tradizioni vengono celebrate:

«[...] leggendo i risultati delle mie indagini è emerso chiaramente che la festa [commemorazione dei defunti] è stata generalmente osservata a novembre, sia a Sud che a Nord dell’equatore, un fatto talmente notevole, che era evidente che, qualsiasi fosse la causa, doveva essere qualcosa di finora sconosciuto».

 

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A dir la verità, presso alcuni popoli, come i “moderni” Greci e Persiani, i Romani, gli Algonchini della costa Est nordamericana, la ricorrenza dei defunti era osservata in febbraio, mentre i giapponesi e i cinesi la celebravano in agosto, discostandosi dall’apparente regola, ma Haliburton, nel proseguo delle sue indagini, fu in grado di riconciliare le discrepanze tra i vari calendari e di stabilire una solida e logica correlazione tra le varie usanze di commemorazione dei morti.

Tra l’altro, questa apparente discrepanza lo mise immediatamente sulla strada giusta, in quanto era tipica dei popoli dell’emisfero Nord, mentre tra quelli a Sud dell’equatore c’era una granitica contemporaneità delle celebrazioni, forse un primo indizio e testimonianza dell’area geografica di origine di questo culto.

In realtà, il viaggio di questo intrepido esploratore lo portò a correlare eventi del passato all’apparenza slegati tra di loro, come il diluvio mitologico, l’inizio dell’anno negli antichi calendari e particolari astronomici rilevanti, gettando una nuova luce su di una storia dell’umanità radicalmente diversa da quella che conosciamo e confermando ulteriormente le evidenze già emerse e “dimostrate” in Prima di noi, in particolare la presenza di un’avanzata civiltà antidiluviana, dalla quale noi deriviamo.

A proposito di diluvio, giusto per complicare un pochino uno scenario di per sé già al limite della fantascienza oppure per fornire uno spunto fondamentale, ritengo oltremodo importante far notare il pensiero dell’autore Robert Grant Haliburton, riguardo il racconto biblico della catastrofe e quindi la correlazione implicita con la commemorazione dei defunti, in quanto in essa è praticamente già contenuta la spiegazione di questo anomalo culto planetario:

«la nostra storia della creazione e del diluvio è un ricordo reale, non solo di quei grandi eventi, ma anche di una ritrovata verità astronomica, eredità dell’uomo primordiale».

Haliburton inciampò casualmente in questi argomenti quando gli venne fatto notare come gli antichi peruviani, ben prima dell’arrivo degli europei, onorassero i defunti esattamente lo stesso giorno in cui lo facevano gli spagnoli, ovvero il 2 di novembre del nostro attuale calendario, il Giorno dei Morti.

 

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Scherzetto o dolcetto?

Abbiamo visto come, nei calendari dei popoli europei, il primo e il secondo giorno di novembre siano dedicati ai defunti, con le celebrazioni di “Ogni Santi” e del “Giorno dei Morti”, ma anche incredibilmente contigui con un’altra folcloristica ricorrenza legata ai morti, che cade proprio l’ultimo giorno di ottobre: Halloween. Molti di noi pensano che questa festa, la cui simbologia è “scherzosamente” associata alla morte e all’occulto, evidenti nel simbolismo della zucca intagliata e illuminata da una candela, con la faccia sorridente e al tempo stesso spaventosa, abbia origini anglosassoni e sia stata riportata in auge dal consumismo americano.

In realtà, questa ricorrenza, che si celebra a cavallo tra ottobre e novembre, nei giorni in cui si pensa che gli spiriti dei defunti tornino in mezzo a noi, condivide le stesse origini ancestrali delle altre celebrazioni dei morti. Nelle Filippine i giorni che vanno dal 31 ottobre al 2 novembre sono dedicati al ricordo dei morti e in questo periodo molti filippini tornano nelle rispettive città natali per commemorare i defunti, assieme alla propria famiglia. L’antica tradizione del Pangangaluluwâ, prevede che gruppi di persone, per lo più bambini, passino di casa in casa, cantando antiche canzoni per le anime dei defunti, in cambio di soldi o cibo. Vi ricorda qualcosa? Scherzetto o dolcetto?

L’odierno aspetto festoso di Halloween, dettato dalle necessità del consumismo, non deve trarre in inganno, in quanto questa ricorrenza nasconde un qualcosa di nefasto, un periodo temporale in cui gli spiriti dei morti sono più presenti tra di noi, al punto che, nelle loro tradizioni, i contadini irlandesi preferiscono discretamente rimanere a casa in quella notte di malinconia, piuttosto che festeggiare.

 

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Halloween è poi famosa per i suoi fuochi, come le torce degli irlandesi, i falò degli scozzesi, i fuochi autunnali di Coel Coeth dei gallesi e quelli di Tindle della Cornovaglia, i falò dei cinesi e la festa delle lanterne in Giappone, un arcano, chiaramente memoria di un’usanza che si trova quasi ovunque nella celebrazione della festa dei morti. Haliburton ipotizzò che ciò derivasse dall’abitudine diffusa di accendere falò durante questa festa, io invece ritengo che anche questi particolari aspetti legati al fuoco abbiano un’origine ancestrale e ci forniscano un indizio chiave, da tener ben presente quando, a breve, esamineremo nel dettaglio le tradizioni dei Maya, svelando il mistero sull’amnesia che affligge l’umanità intera.

Devo evidenziare come questi ultimi passaggi sottolineino un ulteriore aspetto, che corrobora ancor di più l’ipotesi di una matrice comune, quasi primordiale, alla base di tutte queste similitudini: non solo il periodo e l’oggetto di queste ricorrenze sono gli stessi, ma anche i rituali, le consuetudini, i cerimoniali, sono praticamente identici.

Prendiamo questo apparente legame che unisce il cibo alla celebrazione dei defunti: esso è, o era, un costume diffuso planetariamente e sempre associato alle celebrazioni dei morti. Per esempio, una vecchia tradizione francese vuole che i parigini, il Giorno dei Morti, pranzassero nei cimiteri sulle tombe dei loro cari, proprio lo stesso giorno in cui i contadini britannici compivano il rito dell'a-souling, durante il quale vagavano, implorando “una torta dell’anima” per tutte le anime cristiane. Questo rituale molto specifico, legato a una torta per onorare i morti, lo ritroviamo nei testi sacri indiani, che prescrivono ai fedeli di offrire una torta consacrata alle anime dei parenti defunti, durante l’autunno.

Riferimenti simili li ritroviamo in Grecia, nelle usanze degli indigeni dello Yucatan, tra gli scozzesi, i britannici e tra l’altro, i dettagli di questa usanza fanno emergere un ulteriore legame, che scopriremo essere di rilevanza assoluta, in quanto spesso le torte per i defunti erano associate al simbolismo del toro, delle corna o della croce. Un mio lettore, che vive in Madagascar, mi ha confermato che la ricorrenza dei morti, il 2 novembre, viene celebrata con dei banchetti.

Le similitudini per le celebrazioni dei defunti non si fermano certo qui: che dire, per esempio, del fatto che esse risultino sempre associate alle feste della primavera o del raccolto e coincidano con la data d’inizio anno nei vari e disparati calendari locali? Emergono poi anche altre impressionanti coincidenze, come il fatto che queste celebrazioni durassero esattamente tre giorni, sia per i giapponesi, che per gli indù, gli australiani, gli abitanti delle isole Sandwich, dello Sri Lanka, gli antichi Romani, Persiani, Greci ed Egizi, così come in certe celebrazioni del Nord Europa. La realtà è che in moltissime culture esiste o esisteva l’usanza di commemorare i defunti con tre giorni di tristezza e lutto, spesso denominati dies nefasti e quindi non vi è solo una concomitanza delle celebrazioni, ma anche un’assonanza dei vari rituali, che denota chiaramente una radice comune.

 

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Un marcatore comune

Direi che è assodato un primo importante punto di partenza di questo lungo viaggio: l’associazione tra rituali e feste, simili in tutto il mondo, con la celebrazione delle ricorrenze per i defunti e dell’inizio dell’anno. Fin dai primi riscontri, a seguito delle sue indagini, il brillante ricercatore intuì che qualcosa di grande rilevanza nella storia dell’umanità si celava sotto queste apparenti coincidenze, qualcosa non legato a scambi culturali tra i popoli, alle religioni o che altro, ma di ancestrale, di globale, di profondamente radicato nella memoria delle genti e di tale impatto per tutti i popoli della Terra, da essere rimasto impresso a fuoco nelle loro tradizioni, permeandone il DNA culturale nei millenni:

«Era evidente che l’uniformità non poteva essere causata o preservata da nessun calendario a noi noto e che il festival doveva essere originariamente regolato da qualche segno o marchio visibile, che la natura aveva impresso nei nostri antenati e nei peruviani».

Del resto, come si poteva altrimenti giustificare il fatto che i peruviani, gli indù, gli abitanti delle isole del Pacifico, il popolo delle isole Tonga, dello Sri Lanka, gli aborigeni australiani, gli antichi Persiani ed Egizi, le nazioni del Nord Europa, commemorassero tutti i loro defunti o avi all’incirca a inizio novembre?

La ragione non poteva senz’altro essere legata ai vari calendari solari in essere nelle differenti culture, in primis perché diversi e sfasati tra loro e poi perché spesso dettati dalle attività dell’uomo, piuttosto che da riferimenti assoluti, quali l’orbita del pianeta o eventi cosmici, che segnarono la memoria di ogni popolo della Terra. Haliburton sottolineava questa particolarità, che lo colpì e che risulta evidente dalle sue parole relative ai “difettosi anni solari” in voga in antichità:

«Era evidente che questa singolare uniformità non avrebbe mai potuto essere preservata con l’anno solare difettoso, in voga tra le nazioni antiche».

Questo è un punto importante, perché sottintende che, siccome le celebrazioni erano rimaste allineate con grande precisione, tra popoli distanti tra loro e per migliaia di anni, allora doveva necessariamente esserci un marcatore comune, un timekeeper, un metronomo assoluto, che tutti i popoli usavano quale riferimento. Qui ho introdotto un punto complesso, ma importante, in quanto il marcatore temporale, comune a tutte queste culture, doveva essere necessariamente legato a qualche fenomeno fìsico, per esempio, un evento cosmico ricorrente e non poteva essere semplicemente un mese di uno dei differenti calendari solari in voga, irrimediabilmente imprecisi nei loro tentativi di seguire il complesso fenomeno della precessione terrestre.

 

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Data di Pubblicazione: 23 luglio 2021

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