SELF-HELP E PSICOLOGIA

Diventa la persona più felice che conosci

Diventa la persona più felice che conosci

Scopri come vivere secondo le tue regole e decidi come gestire liberamente il tempo che hai a disposizione leggendo l'nteprima del libro di Gianluca Gotto.

La persona più felice che conosca

Spengo il computer e guardo l'orologio. È un mio rito. Quando finisco di lavorare, voglio sapere quanto tempo ci ho messo, perché il tempo è l'unica cosa che non possiamo comprare o accumulare, ma solo valorizzare. È quanto di più prezioso io possieda, e il mio obiettivo è prendermene cura, ogni giorno.

Sono stato bravo: ho iniziato alle 08.47 e ora sono appena le 11.52. Tre ore e cinque minuti: ecco la mia giornata lavorativa. Nel momento stesso in cui spengo il computer so che non lo dovrò più accendere per motivi professionali. Il lavoro è finito, ci si rivede domani.

"Una giornata lavorativa di tre ore" penso mentre mi alzo dalla sedia e metto in ordine la piccola scrivania della mia camera. Quattro pareti, un letto, due finestre e un bagno. Nient'altro. Negli ultimi giorni ho chiamato questo luogo "casa", ma presto mi sposterò altrove. Verso la prossima meta.

Esco dalla stanza, mi chiudo la porta alle spalle, e la mia mente inizia a volare: due anni fa ero un disoccupato. Un disoccupato che inseguiva un sogno in cui non credeva nessuno. Tre anni fa facevo il panettiere in Canada, cinque anni fa il cameriere in Australia; sei anni fa ero uno studente universitario totalmente insoddisfatto della sua vita e incapace di intravedere una qualsiasi prospettiva di felicità nel suo futuro.

Oggi, invece, mi trovo a Chiang Mai, in Thailandia. Soggiorno al terzo piano di una guesthouse completamente bianca, che si affaccia da un lato sui templi e dall'altro sulla piscina. Sono la persona più felice che conosca e quando vedo Claudia, la mia compagna, non riesco a non allargare ulteriormente il sorriso.

Pausa lavoro

Mi chiede se ho finito di lavorare e le dico di sì. Ci prendiamo un po' in giro, ridiamo e scendiamo nelle stradine caotiche di Chiang Mai alla ricerca di un ristorante dove pranzare. Ci sentiamo leggeri e spensierati. Propongo uno dei miei locali preferiti, ma poi decidiamo di provare qualcosa di nuovo.

Non abbiamo fretta. Nessuno ci dirà che la pausa pranzo è finita. In realtà, dal momento in cui ho spento il computer sono in "pausa lavoro": non ci sono più responsabilità, solo tempo da occupare come meglio credo.

Durante quelle tre ore e cinque minuti di lavoro ho guadagnato abbastanza da poter vivere a Chiang Mai per diversi giorni, e questo mi basta. Da tempo ho smesso di considerare i soldi come un punto di arrivo, e di tentare di accumularne a più non posso per dimostrare qualcosa a me stesso e agli altri. Ho smesso di barattare il mio tempo con il denaro. Oggi lavoro per guadagnare più tempo, non più soldi. Il denaro è solo uno strumento, non l'obiettivo finale.

Alla fine io e Claudia ci fermiamo in un ristorante vegetariano. Ci accoglie una simpatica ragazza thailandese con il tradizionale sawadee ka, quel saluto che ormai conosciamo a memoria. Rispondiamo allo stesso modo e, anche se la nostra pronuncia è pessima, la ragazza comprende bene il linguaggio universale dei sorrisi. Prima di entrare nella sala al piano rialzato ci togliamo le scarpe, perché in questo ristorante si mangia seduti su cuscini, di fronte a tavolini bassi. Mi metto a spulciare il menu, una delle mie attività preferite. Leggo i nomi fantasiosi dei piatti e provo a immaginarne il sapore. Alla fine opto per una zuppa dal nome impronunciabile, mentre Claudia ordina un massa-man curry.

Il cibo arriva presto, ed è delizioso. Quando abbiamo finito di pranzare, ci prendiamo qualche minuto per rilassarci un po'. Mi appoggio con la schiena al muro e allungo le gambe. Guardo fuori dalla grossa finestra che si affaccia sulla strada: non vedo altro che un immenso cielo privo di nuvole. È una visione rilassante, che mi fa sentire in pace con me stesso. Con la giusta compagnia, quella vista e lo stomaco pieno, non posso davvero desiderare di più.

Al tavolo di fianco si è seduta una ragazza americana. È piena di tatuaggi e sta strimpellando una chitarra recuperata in un qualche angolo del ristorante. Non è molto brava ma se ne frega, e a un certo punto si mette persino a cantare. Solo allora capisco (e non senza sforzo) che sta suonando una versione a dir poco alternativa di Sweet Child O' Mine. Le sorrido e le faccio il segno del pollice all'insù, per farle capire che apprezzo. A piacermi non è tanto l'esecuzione, quanto l'atteggiamento: fa ciò che le piace senza curarsi del giudizio altrui. Mi regala uno “yecih" e un sorriso po' imbarazzato.

Tanto basta per iniziare a scambiare qualche parola, dando vita a una di quelle conversazioni tra viaggiatori che risulterebbero impossibili in altri contesti: "Da dove arrivi?", "Dove vai?", "Cosa mi consigli di visitare?". In questi dialoghi non si parla mai di lavoro, non si chiede l'età, non si discute di soldi, non si esprimono giudizi. Si comunica in modo semplice e spontaneo, senza maschere, e spesso si scende in profondità, perché aprirsi con una persona sconosciuta è davvero molto facile quando viaggi. Si ha l'impressione di essere tutti nella stessa situazione, tra viaggiatori. Si instaura subito un rapporto di fiducia, c'è come una sorta di cameratismo che può nascere solo tra anime erranti lontane migliaia di chilometri da casa. Le parole si scelgono con cura, tornano a essere importanti, perché quando le pronunci sai che verranno ascoltate con attenzione. Lontano dal rumore e dalla prevedibilità della quotidianità, sono i dettagli a fare la differenza.

Alla ragazza americana viene servito da mangiare: noodles e verdure. Non so il suo nome, ma non ha importanza. La ricorderò comunque. Io e Claudia la salutiamo, ci alziamo e usciamo a passeggiare. Una volta in strada compriamo due cocchi freschi. L'acqua è dolce e rigenerante, una meraviglia in questo caldo afoso del nord della Thailandia.

Libertà di andare

Siamo a Chiang Mai da quasi dieci giorni e abbiamo visto praticamente tutto ciò che volevamo vedere. Ci siamo tuffati in un lago in mezzo ai canyon, abbiamo scoperto le montagne circostanti in scooter e visitato antichi templi dalle infinite scalinate. Abbiamo anche partecipato a una lezione di yoga e a una cooking class per imparare a cucinare il curry thailandese. Abbiamo visitato un santuario dedicato agli elefanti, un luogo dove questi animali meravigliosi vengono curati e reintrodotti a uno stato naturale dopo aver subito torture di ogni tipo.

Amiamo Chiang Mai, ma è ora di cambiare: dove si va?

«E se tornassimo a Bangkok?» propongo. «Solo un paio di giorni, poi potremmo attraversare tutta la Malesia via terra, entrare a Singapore e fermarci un po' lì. Dicono sia una città pazzesca. Poi magari prendiamo un volo e andiamo a Bali oppure, se ci siamo stufati, torniamo in Europa.»

«A me piace la Thailandia» dice Claudia. «Vorrei fermarmi ancora un po'. Ho visto che c'è una cittadina a tre ore da Chiang Mai, si chiama Pai. Ho letto che ci sono panorami splendidi e che è molto più tranquilla rispetto a qui. E poi è famosa per le fragole. Sembra un bel posto.»

Basta uno sguardo e decidiamo di partire il giorno seguente. Giriamo qualche agenzia di viaggi per affittare uno scooter al prezzo più basso. Contrattiamo un paio di minuti con una signora dai capelli corti e folti, che alla fine cede e accetta il nostro ultimo prezzo. È ufficiale: domani partiremo di buon'ora e andremo a Pai, questa affascinante cittadina nel nord della Thailandia.

C'è chi deve implorare il proprio capo per ottenere le ferie, e magari persino chiedere ai colleghi di spostare le proprie. Si finisce per dedicare mesi e mesi al lavoro per poi partire quando lo decidono gli altri, spesso nel periodo meno conveniente dal punto di vista economico. E se ti viene il raffreddore il giorno prima di partire? Be', ci vai lo stesso, pur sapendo che non potrai goderti appieno quella esperienza. Una situazione odiosa, ma estremamente comune, penso. E poi penso al valore immenso di poter vivere secondo le proprie regole e decidere liberamente come gestire il tempo che si ha a disposizione.

Mi incanto con questi pensieri in testa mentre guardo fuori dalla piccola agenzia turistica. Chiang Mai è come tante altre città asiatiche: l'incessante movimento di scooter, persone, biciclette e automobili convive con la presenza fissa ed eterna dei templi. Osservo la strada in continuo divenire. Ci sono già decine di persone che stanno montando i banchetti dello Street food: cucineranno tutta la sera cibo semplice, economico e delizioso. Sfameranno i loro connazionali e i visitatori provenienti da ogni parte del mondo.

Ci accordiamo con la signora thailandese sull'orario per ritirare lo scooter, usciamo e camminiamo per un po' girovagando tra bancarelle e negozietti. Poi ci fermiamo su una panchina. Sono le 18.30. Davanti a noi il fiume che scorre a Chiang Mai riflette le mille sfumature di arancione del sole di fine giornata.

«Non è bellissimo?»

«Cosa? Il tramonto?» mi chiede Claudia.

«Tutto. Tutto quanto: la nostra vita, il mondo, le persone. Essere liberi. Non è bellissimo?»

Sono felice come non mai. Sorrido per l'ennesima volta, ma questa volta di un sorriso diverso. C'è tanta soddisfazione in questo piccolo gesto, e tanto orgoglio.

La strada giusta

Pochi anni fa collezionavo multe a Torino mentre mi recavo all'università in automobile. Ero frustrato, insicuro, depresso e totalmente insoddisfatto della mia vita. Tutti mi dicevano che dovevo continuare su quella strada perché era quella giusta. Era la laurea giusta, poi avrei trovato il lavoro giusto, la ragazza giusta, la casa giusta e l'automobile giusta. E quando mi permettevo di dire che mi sarebbe piaciuto viaggiare, scoprire il mondo e magari trovare il modo di slegarmi dai nodi di un modo di vivere soffocante, le risposte diventavano sentenze. Mi sentivo dire che ero solo un ragazzino che non aveva mai lavorato in vita sua, e che crescendo avrei capito quanto la vita sia un vero inferno. Mi sentivo dire che i sacrifici sono necessari e che i sogni vanno accantonati per evitare di illudersi e soffrire ancora di più.

Quando addirittura osavo mettere in dubbio la validità del modello di vita occidentale, quello frenetico, freddo e limitante che adottano milioni di persone ogni singolo giorno, mi sentivo dire di lasciar perdere con quelle "paranoie". Qualcuno mi consigliò persino di andare dallo psicologo, perché "a vent'anni devi solo goderti la vita".

Ma io a godermi quella vita non ci riuscivo. Mi sembrava di sprecare il mio tempo e quella sensazione mi angosciava terribilmente. Non riuscivo a perdonarmi, volevo giornate memorabili e ricche di emozioni. Non mi interessava essere giusto, volevo essere felice.

Mentre il sole sta quasi scomparendo dietro le montagne di Chiang Mai, la mia mente torna al giorno in cui ho deciso di ribellarmi. Il giorno in cui ho deciso che dovevo provarci, almeno provarci. Se avessi fallito sarei tornato indietro a morire lentamente, incastrato in una vita monotona che non avevo mai davvero scelto.

Sono passati solo pochi anni da quel giorno, eppure mi sembra di aver vissuto tre vite intere. Ero partito contro il parere di tutti, con il cuore pieno di eccitazione e di paura, senza sapere che negli anni successivi avrei dormito sulla moquette di un aeroporto, in un van, in una tenda nei boschi, in un'automobile parcheggiata nel deserto, in decine di strutture alberghiere, e che avrei chiamato "casa" almeno sette abitazioni in tre diversi continenti.

Non sapevo che avrei svolto una decina di lavori, tutti molto differenti l'uno dall'altro, tra l'Italia, il Canada, l'Australia e... il mondo intero. Non sapevo che avrei abbandonato gli studi accademici per immergermi nell'antica arte della panificazione, né che avrei lavorato prima in un locale che si affacciava sull'oceano Indiano e poi dentro a un'affollata pizzeria nel centro di Vancouver.

Incredibilmente, quel giorno di pochi anni prima, mentre uscivo di casa sotto la pioggia di Torino, non sapevo neppure che mi piacesse viaggiare. Ma, più di tutto, non avrei mai creduto che mi sarei ritrovato a Chiang Mai a osservare un tramonto con la donna della mia vita, sentendomi finalmente libero e vivo. Se me lo avessero detto, non ci avrei creduto.

E come avrei potuto credere che fosse possibile lavorare a un computer per poche ore al giorno e spostarmi da una città all'altra in base alle sensazioni del momento? Quando ero partito non sapevo nemmeno cosa fosse un nomade digitale e se me lo avessero spiegato avrei detto che no, era semplicemente impossibile vivere una vita del genere. Avrei pensato che fossero tutte cazzate, intrappolato com'ero nella mia cieca frustrazione.

Da qualche parte, tra la testa e il cuore...

Lo stomaco mi fa capire che è ora di cena, così io e Claudia ci alziamo e ci incamminiamo alla ricerca di un nuovo ristorante da provare. Possiamo metterci cinque minuti o un'ora per trovare il locale giusto, non ha alcuna importanza. Inseguire il tempo non è più un problema, perché ora il tempo di qualità è alla base delle nostre vite. Non esistono più ossessioni come quella del sabato sera, il momento della settimana in cui devi divertirti. Oggi ho la libertà di fare ogni giorno ciò che più mi rende felice, senza dover chiedere il permesso a nessuno. Ogni giorno può essere sabato sera.

Poter gestire autonomamente il proprio tempo significa avere la possibilità di scegliere. E io non sono libero di decidere soltanto quando lavorare, ma anche dove farlo. Di conseguenza, posso stabilire in totale autonomia anche dove vivere. Abbiamo scelto di andare a Pai, ma avremmo potuto fare qualsiasi cosa: tornare a Bangkok, andare in Laos, prendere un volo per Bali, rientrare in Italia, volare in Australia. Se solo avessimo voluto, saremmo potuti entrare in Cina via terra oppure tornare in Canada, dove vivevamo un paio di anni prima.

Sorrido, per l'ennesima volta. Sono grato a me stesso per aver avuto il coraggio di lanciarmi quando ho sentito che non sarei più stato capace di sopportare l'infelicità. A volte devi semplicemente ribellarti e credere in te stesso. Lasciare la confortevole cabina dell'aereo, buttarti nel vuoto e attivare il tuo "paracadute dell'anima". Ora ne sono certo: tutti ne abbiamo uno. Ma lo scopri solo quando ti senti mancare l'aria sotto i piedi, quando ti rendi conto di esserti davvero buttato nella direzione della tua felicità.

Quando mi lanciai, solo pochi anni fa, per prima cosa provai paura, perché mi sembrava di aver fatto un'idiozia. Precipitavo nel vuoto e pensavo che mi sarei schiantato. Poi trovai il mio paracadute, lo attivai e iniziai a godermi il panorama durante la lenta discesa. Da quel momento mi sono riempito gli occhi della bellezza del mondo, osservando paesaggi che non dimenticherò mai. Ho fatto esperienze molto intense che hanno stravolto le mie convinzioni e mi hanno mostrato realtà che non avrei mai nemmeno immaginato. Ho conosciuto persone che sono entrate nel mio cuore per restare, persone che non avrei incontrato se non fossi partito.

Ci si può davvero costruire una vita felice partendo o ripartendo da zero. Lo dico con certezza perché ne sono la prova vivente. E, sia chiaro, io non sono una persona speciale: sono semplicemente un ragazzo che si è ribellato e ha trovato la sua felicità in percorsi di vita alternativi. Tutto parte dalla ribellione, quello è il primo passo. Il secondo è lanciarsi, il terzo trovare il paracadute e capire come aprirlo. L'ultimo è godersi la vita, finalmente.

Io e Claudia troviamo un ristorante con terrazza. Il cielo è uno spettacolo e mi ricorda quando, qualche anno fa, feci una promessa a me stesso osservando le stelle sopra Perth, in Australia. Ripenso a come me la sono costruita, questa mia nuova vita, ripenso al punto da cui sono partito e a tutto ciò che ho attraversato. Mentre vado in bagno a lavarmi le mani, osservo distrattamente la mia immagine allo specchio: rispetto a un tempo ho qualche chilo in meno, barba e capelli più lunghi, la pelle più abbronzata e un sorriso sincero sul volto. Non quello contratto di una volta, quando indossavo una maschera per nascondere la mia tristezza. Sono diverso esternamente, ma il vero cambiamento è avvenuto dentro. Perché le nostre rivoluzioni personali, grandi o piccole che siano, iniziano sempre in un posto che abbiamo dentro.

Da qualche parte, tra la testa e il cuore.

Data di Pubblicazione: 5 giugno 2020

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