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Che cos'è l'E-Myth, il Mito dell'Imprenditore?

The E-Myth - Il Mito dell'Imprenditore - Michael E. Gerber - Speciale

Cos'è il Mito dell'Imprenditore? Come liberarsene e diventare finalmente padrone del tuo Business? Scoprilo, leggendo il nuovo libro di Michael E. Gerber.

Che cos'è l'E-Myth, il Mito dell'Imprenditore?

"Si intossicano con il lavoro per non vedere come stanno davvero."

Aldous Huxley

L'E-Myth è il mito dell’Imprenditore. È profondamente radicato in questo paese e risuona d’eroico.

Immagina il tipico imprenditore e ti verranno in mente le fatiche d'Ercole. Un uomo o una donna, da soli, esposti alle intemperie e sferzati dal vento, che sfidano con coraggio difficoltà insormontabili, che cercano di arrampicarsi su pareti rocciose insidiose — e solo per realizzare il sogno di creare il proprio business.

La leggenda ha una vago sentore di aristocratico, di nobili sforzi sovrumani, di un prodigioso impegno verso i più grandi ideali della vita.

È vero, esistono imprenditori del genere, ma la mia esperienza mi dice che sono rari.

Delle migliaia di uomini d’affari che ho incontrato e con cui ho lavorato negli ultimi 20 anni, pochi erano veri imprenditori quando li ho conosciuti. La loro visione era quasi scomparsa. La gioia per la scalata si era trasformata in terrore per l'altezza. Le pareti rocciose erano diventate degli appigli a cui aggrapparsi per non cadere in basso piuttosto che per darsi una spinta verso l’alto.

Lo sfinimento era comune, l’euforia rara. Ma non erano stati tutti degli imprenditori, una volta? Dopo tutto, avevano avviato la loro attività. Deve esserci stato un sogno che li aveva spinti a correre un tale rischio.

Dov'era quel sogno ora? Perché si era sbiadito? Dovera l'imprenditore che aveva intrapreso l’attività?

La risposta è semplice: l'imprenditore era esistito solo per un momento. Un solo fugace attimo nel tempo. Poi è sparito. Nella maggior parte dei casi, per sempre.

Se l'imprenditore è sopravvissuto a tutto questo, è stato solo come un mito che ha avuto origine da un malinteso su chi entra in affari e perché. Un malinteso che è costato caro a questo paese — più di quanto possiamo immaginare: in risorse sprecate, opportunità perse e vite rovinate.

Quel mito, quell’equivoco, quel malinteso, io lo chiamo "The E-Myth: il mito dell’imprenditore".

Esso affonda le sue radici in una romantica convinzione: che le piccole imprese vengano intraprese da imprenditori, quando, in realtà, nella maggior parte dei casi non è così.

E allora chi è colui che decide di avviare una piccola attività d'impresa e perché?

 

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Crisi Imprenditoriale

Per capire l’E-Myth e l'equivoco di fondo, diamo uno sguardo ravvicinato alla persona che si mette in affari. Non dopo che è entrata in affari, ma prima!

A tal proposito, dov’eri prima di avviare la tua attività? E se, invece, stai pensando di avviarla adesso, dove sei ora? Beh, se sei come la maggior parte delle persone che ho conosciuto, lavoravi per qualcun altro. Che cosa facevi?

Probabilmente un lavoro tecnico, come quasi tutti quelli che si mettono in affari.

Eri un falegname, un meccanico, o un macchinista. Eri un ragioniere o un giardiniere; un ingegnere o un parrucchiere; un barbiere o un programmatore; un medico o uno scrittore; un grafico o un salumiere; un idraulico, un architetto, un impiegato, un infermiere, un venditore o un autotrasportatore.

Comunque, qualunque cosa facessi, molto probabilmente era un lavoro tecnico. E magari eri pure bravo, particolarmente bravo nel farlo. Ma lo stavi facendo per qualcun altro.

Poi, un giorno, all'apparenza senza motivo, è successo qualcosa. Potrebbe essere stato il clima, un compleanno, la promozione di tuo figlio a scuola. Potrebbe essere stato lo stipendio basso oppure un’occhiataccia del boss che non ti è andata giù. O magari è stata la sensazione che il tuo capo non apprezzasse il tuo contributo al successo dell'impresa.

Qualsiasi cosa, non importa cosa, ma un giorno, “senza motivo”, ti sei ritrovato all’improvviso vittima di una Crisi Imprenditoriale. Da allora la tua vita non è più stata la stessa.

Nella tua mente continuavano a riecheggiare frasi tipo: "Per che cosa sto facendo tutto questo? Perché sto lavorando per questo tizio? Diavolo, di questo lavoro ne so quanto lui. Se non fosse per me, non lavorerebbe proprio. Anche un idiota qualsiasi potrebbe dirigere un'attività. Sto lavorando per un cretino”.

E quando hai iniziato a prestare attenzione a ciò che dicevi e a considerarlo seriamente, il tuo destino è cambiato.

L'eccitazione di tagliare il cordone è diventata il tuo compagno costante. Il pensiero di indipendenza ti seguiva ovunque. L'idea di essere il capo di te stesso, fare le tue cose, cantare la tua canzone, si è fatta irresistibile: un'ossessione!

Una volta entrato in “crisi”, non ti sei dato più pace. Non sei riuscito a liberartene. Dovevi lanciare la tua attività.

 

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Supposizione fatale

Nell’impeto della tua Crisi Imprenditoriale, sei caduto vittima della più disastrosa supposizione che qualcuno possa mai fare sull’entrare in affari. Si tratta di una supposizione che di solito fanno i tecnici che si mettono in affari e che traccia l'andamento di un'impresa — dall’inaugurazione alla liquidazione — nel momento in cui viene fatta.

Qual è questa supposizione?

Eccola: Se si sa fare il lavoro tecnico di un business, si saprà svolgere il business dove si fa quel lavoro tecnico.

E la ragione per cui è fatale è che non è vera.

In verità, è la causa principale della maggior parte dei fallimenti delle piccole imprese! Il lavoro tecnico di un’azienda e l’azienda dove si fa quel lavoro tecnico sono due cose totalmente diverse!

Ma il Tecnico che avvia un'impresa non se ne rende conto. Per lui un'impresa non è un'impresa, ma un luogo in cui andare a lavorare.

Così il falegname, l’elettricista o l'idraulico diventano appaltatori. Il barbiere apre un Barber Shop. Lo scrittore tecnico avvia una tipografia. Il parrucchiere apre un salone di bellezza. L'ingegnere entra nel business dei semiconduttori. Il musicista apre un negozio di strumenti musicali.

Credono che conoscere a fondo l’aspetto tecnico di un business li renda subito altamente qualificati per gestire il business in cui si svolge quel lavoro tecnico. Ma non funziona così!

In realtà, conoscere bene la parte tecnica dell'impresa, invece di essere la loro più grande risorsa — il vantaggio competitivo — diventa la loro più grande debolezza.

Perché quando un imprenditore non sa come fare un lavoro tecnico, deve trovare il modo per farlo e non imparare a farlo: deve imparare a far funzionare il business!

La vera tragedia è che a causa di questa supposizione fatale, l’attività d'impresa che avrebbe dovuto liberarlo dai limiti del lavoro dipendente finisce per renderlo schiavo.

All’improvviso, il lavoro che sapeva fare così bene diventa soltanto uno dei lavori che sa fare, a cui però se ne aggiungono molti altri che non sa proprio come fare.

In fondo, “la Crisi Imprenditoriale” ha intrapreso l’attività, ma è il Tecnico che va a lavorare. E così finisce che il sogno imprenditoriale si trasforma nell’incubo di un Tecnico.

 

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La ragazza prepara torte. La ragazza avvia una pasticceria. La ragazza diventa vecchia

Ho incontrato Sarah tre anni dopo che aveva avviato la sua impresa. Mi disse: “Sono stati i tre anni più lunghi della mia vita”.

La pasticceria di Sarah si chiamava Tutto Torte (non è il suo vero nome). Ma, in verità, il business di Sarah più che “tutto torte” era “tutto lavoro”: non soltanto le toccava fare quello che amava di più — le torte, ma anche ogni altra cosa.

“Infatti,” mi disse Sarah “non solo odio fare tutto questo (allargò le braccia cercando di abbracciare virtualmente il negozietto in cui ci trovavamo) ma odio (sottolineando la parola quasi con ferocia) ... io odio fare torte! Non sopporto il pensiero delle torte. Non sopporto l’odore delle torte. Non sopporto la vista delle torte”.

E così scoppiò a piangere. L'aroma dolce e fresco dei dolci sfornati riempiva l’aria.

S: “Sono le 7” disse “e devo aprire fra 30 minuti. Ti rendi conto che sono qui dalle 3 di stamattina? E che alle 2 ero già sveglia? E che quando avrò preparato le torte, aperto al pubblico e servito i miei clienti; pulirò, chiuderò la cassa, chiuderò il negozio e andrò in banca.

Poi dopo farò la spesa, rientrerò per preparare il pan di spagna per domani mattina, cenerò, e saranno le 9:30 o le 10 di stasera; e quando avrò fatto tutto questo, quando una persona normale, per grazia di Dio, potrà dire che la giornata è finita, io dovrò ancora sedermi e iniziare a capire come pagherò l’affitto il mese prossimo."

“E tutto questo perché i miei migliori amici mi dicevano che ero pazza a non aprire un negozio di torte, visto che ero così dannatamente brava a farlo. E, quel che è peggio, è che gli ho creduto! Ho visto una via di uscita  all’orribile lavoro che avevo. Ho visto un modo per ottenere la libertà facendo ciò che amavo di più, e facendolo tutto per me”.

 

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Era nel pieno di uno sfogo e non volevo interromperla.

S: “Maledizione!” esclamò. “Maledizione, maledizione!”

E dopo essere crollata, sospirò profondamente.

S: “Che cosa faccio ora?” disse, quasi in un sussurro.

Non lo stava chiedendo a me, lo sapevo, ma a sé stessa.

Sarah si appoggiò al muro e vi rimase tranquillamente per un lungo momento, fissandosi i piedi. Il grande orologio sul muro ticchettava forte nel negozio vuoto. Sentivo le auto passare lungo la strada trafficata davanti al negozio mentre la città si svegliava. Il sole risplendeva intensamente attraverso le finestre perfettamente terse e brillanti accarezzando il pavimento di quercia scintillante davanti al bancone.

Riuscivo a vedere la polvere nei raggi di luce, sospesa come in attesa che lei parlasse. Era piena di debiti.

Aveva speso tutti i suoi risparmi, e anche molto di più, per creare quell’adorabile negozietto. Aveva comprato il meglio del meglio di ogni cosa. Ci aveva messo il cuore in quel posto, così come lo metteva nelle torte: aveva sempre adorato farle, fin da quando era piccola, sotto la guida esperta della zia, che aveva vissuto con lei e la sua famiglia mentre lei cresceva.

La zia aveva riempito la cucina e l’infanzia di Sarah con il delizioso, dolce aroma di torte appena sfornate. Sua zia le aveva fatto conoscere la magia del processo: l'impasto, la pulizia del forno, l’aspersione della farina, la preparazione dei vassoi, il taglio minuzioso di mele, ciliegie, rabarbaro, pesche. Era un atto d’amore.

Sua zia l'aveva corretta quando, impaziente, Sarah aveva affrettato il processo. Sua zia le aveva detto, più e più volte: “Sarah, cara, abbiamo tutto il tempo del mondo. Fare torte non significa solo averle fatte. Si tratta di farle”.

E Sarah pensava di aver capito. Ma ora fare torte significava soltanto sfornare una torta dietro l’altra! Era diventato un lavoro. Il piacere di fare torte era perso per sempre. Almeno, così pensava.

L'orologio continuava il suo incessante ticchettio. Vedevo Sarah che sembrava farsi sempre più piccola. Sapevo quanto fosse opprimente per lei ritrovarsi così fortemente indebitata, sentirsi così impotente di fronte a quella situazione. Dov'era sua zia ora? Chi le avrebbe insegnato cosa fare dopo?

M: “Sarah, dissi con più tatto possibile. “È il momento d’imparare di nuovo tutto sulle torte, di ricominciare daccapo”.

 

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Il Tecnico che soffre di una Crisi Imprenditoriale prende l’attività che ama fare e la trasforma in un lavoro. Il lavoro che nasce dall’amore diventa presto routine, in mezzo a una marea di altre faccende meno familiari e meno piacevoli.

Piuttosto che mantenere la sua specificità, che rappresenta l’unica abilità che possiede e per cui ha intrapreso la sua attività, lo specialista diventa generalista e inizia a fare qualsiasi cosa, e il lavoro che amava diventa banale, una mansione da sbrigare prima di trovare il tempo per tutte le altre cose da fare.

Spiegai a Sarah che ogni Tecnico che soffre di una Crisi Imprenditoriale sperimenta esattamente la stessa cosa:

  • Primo, EUFORIA
  • Secondo, TERRORE
  • Terzo, ESAURIMENTO
  • Quarto, infine, DISPERAZIONE

Un terribile senso di perdita — non solo di quello che sentivano più vicino: il loro rapporto speciale con il lavoro, ma la perdita di uno scopo, la perdita di se stessi. Sarah mi guardò con un senso di sollievo, come se si sentisse compresa, ma non giudicata.

S: “Hai il mio numero” mi disse. “Ma ora cosa devo fare?!”

M: “Lo farai un passo alla volta” le risposi. “Quello del Tecnico non è mica l’unico problema che devi affrontare”.

Data di Pubblicazione: 3 novembre 2022

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