SELF-HELP E PSICOLOGIA

Ecco Svelato il Vero Motivo per cui fai Qualsiasi Cosa

vero Motivo  Qualsiasi Cosa

Anteprima del libro "#OltreLaPNL" di Andrea Favaretto

Perché fai quello che fai

Fingo di essere un mago e ti rivelo il motivo per il quale stai leggendo questo libro. Non solo, so anche perché ti alzi ogni mattina e fai le cose che fai e, ancora di più, conosco i motivi che spingono tutti gli altri a fare quello che fanno. È la risposta è sempre la stessa: ottenere dei risultati.

Tutto quello che fai tu, che faccio io, che chiunque fa punta all’ottenimento di risultati, piccoli o grandi che siano. Vogliamo raggiungere risultati dal lavoro (carriera, guadagno o semplice soddisfazione), dalla lettura di un libro (imparare qualcosa o rilassarci), dal pranzo con un amico, dalla visione di un film, da una chiacchierata.

Il risultato è la conseguenza di uno o più processi/azioni messi in atto ogni giorno e in qualsiasi campo (relazioni, lavoro, sport eccetera) per una strategia iniziale conscia o inconscia. Sicuramente gli obiettivi che vogliamo raggiungere sono positivi, perché sarebbe stupido impegnarsi tanto per stare peggio, a meno che non si parli di masochismo!

Malgrado tanto sforzo, però, non sempre otteniamo quello che vogliamo. Non sto parlando delle sconfitte che fanno parte del gioco, gli incidenti di percorso tipo una vendita non conclusa o una partita persa in un torneo. Per risultati negativi, intendo quelle aree in cui, nonostante l’impegno, nonostante l’attenzione (il focus), nonostante lo sforzo, da un po’ troppo tempo il livello di soddisfazione raggiunto non è quello desiderato.

La maggior parte delle persone si riferisce a queste aree parlando di “fallimenti totali”. Chi fa formazione e conosce la PNL non usa parole depotenzianti come queste. A tale proposito, vale una massima eloquente: «Non esistono fallimenti, esistono solo risultati.» Niente a che fare con la motivazione, il pensiero positivo o il vedere il bicchiere mezzo pieno. Questa massima indica che se in qualche area della tua vita ottieni risultati positivi è fantastico, hai fatto delle azioni molto efficaci, utilizzando una strategia molto efficace, che ti dà come conseguenza questo tipo di risultato.

Dall’altra parte, però, se in una certa area della tua vita hai raggiunto dei risultati negativi, cioè un livello di soddisfazione basso, non stai sbagliando, non è un fallimento: significa che la strategia attuata è efficace nel farti ottenere ciò che non vuoi, qualcosa di diverso rispetto alla tua volontà.

Non stai sbagliando, sei un professionista nell’ottenimento di risultati negativi esattamente come lo sei quando raggiungi ciò che vuoi in un altro ambito della tua vita. Fa girare le scatole, vero?

Mi sembra già di sentirti: «Andrea, ma allora tu mi stai dicendo che non si tratta di sfiga?»

No caro mio: se da vent'anni non perdi un grammo, non è sfiga. Se in un certo ambito da un po’ troppo tempo non ottieni quello che vuoi, ma ottieni quello che non vuoi, il problema, probabilmente, non sta nelle tue azioni bensì nella strategia a monte, dove per strategia intendo l’utilizzo di determinate risorse principalmente interne (le convinzioni che hai di te stesso, le convinzioni che hai del mondo).

Tutto ciò influenza i tuoi comportamenti, le tue azioni e, di conseguenza, i tuoi risultati, e funziona a 360°, a livello tanto personale quanto professionale.

È una bella notizia, perché il lavoro che farai con il libro verterà su queste strategie interne: se un’area della tua vita non va come vuoi, nei prossimi capitoli potrai capire in che modo ti stai auto-sabotando, cosa fai per ottenere ciò che non vuoi e come evitare di farlo.

Scoprirai che l’assunto “volere è potere” non è sempre alido, ma se credi di poter ottenere ciò che realmente vuoi allora il discorso cambia.

La PNL secondo me

Non so se conosci le arti marziali, ma ci tengo a farti un esempio che rappresenta bene il mio modo di vivere la PNL.

Circa più di vent'anni fa ho iniziato a praticare karate e sport da combattimento perché, durante l’adolescenza, ero il bersaglio preferito di alcuni bulli. A quel tempo, se eri bravo ti difendevi, se non ci riuscivi andavi a casa e lo dicevi ai tuoi, che te ne davano il doppio.

Alla fine, stufo di quel trattamento e impaurito dalla vita, decisi che era giunto il momento di reagire. Mi iscrissi ad un corso di difesa personale a Pavia, la mia città. Oggi si può scegliere tra un gran numero di discipline (mixed martial arts, wing chun, krav maga, ju-jitsu brasiliano e altre), ma allora cerano solo karate e kung fu. Iniziai a frequentare un corso basato sulle tecniche di karate, ma non la versione completa perché quella disciplina mi sembrava troppo lunga da imparare: io avevo bisogno di qualcosa di pratico e immediato, da usare subito, ogni giorno.

A questo corso eravamo in quattro: un ragazzino di circa dieci anni, una signora, un uomo sulla cinquantina ed io.

Alla prima lezione arrivò il maestro in kimono, con la cintura nera consunta (e quando hai la cintura nera rovinata vuol dire che ne sai, che non sei certo uno alle prime armi) seguito dall’assistente, un piccoletto con il kimono talmente lungo da farci il risvolto.

I due esordirono con il tipico saluto del karate, dicendo: «Oss!» Noi quattro, un po’ smarriti, cercammo di mimare il gesto ma ne uscì qualcosa come quando lo fai e non lo fai, ma non farlo è peggio e così scegli il male minore. La signora rispose: «Buonasera!»

Una situazione da commedia di Carlo Verdone.

Per farla breve, il maestro iniziò a parlare di princìpi di difesa personale: mai offendere, difendersi solo se si è attaccati, cercare di evitare i colpi e cose simili. E poi, fortunatamente, passammo alla pratica. Con voce ferma e autoritaria, il maestro disse: «Posizione di guardia. Dovete essere sempre pronti. Cercate di stare in guardia anche quando camminate per strada.»

Già mi vedevo a passeggiare per la città con le gambe così aperte, un pugno avanti e uno all’altezza del torace...

«Mai sferrare il pugno diritto, il pugno deve ruotare e, mentre colpisci, devi urlare per accompagnare il movimento, che solo così diventava più efficace... Kiaiii!» Ed ecco l’urlo tipico del karate.

Ad un certo punto il maestro disse: «Ora vediamo dei casi reali.» Finalmente eravamo arrivati alla parte che mi interessava di più. «Primo caso: come difendersi da una bottigliata in testa», continua lui.

Ma certo, a chi non è mai capitato di girare tranquillo per le strade della sua città e venire preso a bottigliate in testa? Anzi, sei in un bar con davanti cornetto e cappuccino, quando arriva un tipo e ti dà una bottigliata in testa.

Il maestro proseguì la sua spiegazione: «La tua parata deve essere con la mano e taglio della mano, e poi pugno per spappolargli il fegato.»

Continuavo a visualizzare quella scena grottesca: mollo il cappuccino e spappolo il fegato a qualcuno? Ma chi sono, Ken il Guerriero? Poi magari finisco pure in galera.

«Tu gli colpisci il fegato, lui si piega, cioè si chiude. Tu allora fai la mossa di apertura, carichi e barn! Con un calcio gli spacchi il ginocchio.»

Non so se hai mai visto le dimostrazioni dei maestri di karate, ma sono una cosa al limite del coreografico: tutto è perfetto, sembra un film. L’assistente (il ragazzo dal risvolto al kimono d’oro) vola nell’aria, le tecniche non potrebbero essere più precise.

E pensa che tutte queste mosse avrebbe dovuto applicarle anche la signora di cinquantanni. Proprio guardando quella signora mi chiesi: «Ma siamo sicuri che ’sta roba funziona?»

Figurarsi l’espressione interrogativa e perplessa che aveva lei osservando tutta quella serie di improponibili e teoriche tecniche di difesa da attacco con coltello, machete, mazze da baseball...

Decisi di abbandonare il corso dopo qualche lezione, perché non vedevo l’efficacia di quell’approccio. Iniziai allora a frequentare un corso di kung fu, stile shaolin chuan, il kung fu tradizionale cinese, più morbido rispetto a quello tradizionale. Qui, infatti, solo il saluto dura un quarto d’ora. Anche in questa disciplina esiste la posizione di guardia ed è in due versioni: la più tradizionale, complicatissima, che sembra un esercizio di yoga - già mi imbarazzava andare in giro con l’altra guardia, figuriamoci con questa - e l’altra un po’ più stile pugilato.

Questa esperienza suscitò in me le stesse perplessità di quella precedente. Anche in questo caso il maestro si lanciò in una serie di spiegazioni teoriche sulla difesa da coltello, addirittura da nunchaku (quei due bastoni corti attaccati con la catenella usati da Bruce Lee nei suoi film, tanto per intenderci). E se già penso che a Pavia non ho mai visto persone andare in giro con il nunchaku, quindi immagina la mia reazione quando l’istruttore annunciò la difesa contro l’alabarda (mica devo combattere con Goldrake) e contro l’attacco da remo. Ora, è vero che a Pavia ce il Ticino e che ci sono quelli che sanno portare delle barche chiamate barcé (tipica imbarcazione pavese, lontana parente della gondola), però non è che uno poi se ne va in giro con un remo infilato nel cappotto.

Per farla breve, decisi di smettere anche con il kung fu.

Stanco e un po’ demotivato da queste due esperienze decisi di parlarne .con un amico, che mi suggerì di provare una lezione con il suo maestro, un tipo di Milano, istruttore di una disciplina chiamata jeet kune do: la vera difesa da strada, rielaborata in America da Bruce Lee per avvicinare le arti marziali all’Occidente. Più che scettico, gli risposi: «Seee, anche gli altri mi hanno detto che facevano vera difesa da strada.»

Ma lui: «Fidati, Vinicio è bravo e molto pratico, solo che è un tipo un po’ particolare.»

Cedendo alle insistenze del mio amico, decisi di andare ad incontrare questo tizio. Mi trovai davanti un signore di quarantacinque anni, stile Vasco Rossi ai tempi della Vita spericolata: capelli un po’ lunghi, un po’ stempiato. Parlava persino come lui.

«Marco mi ha detto che vuoi prendere lezioni: perché?» fu il suo esordio.

«No, niente» risposi un po’ spiazzato. «Sai, volevo imparare a difendermi.»

«Ah, ho capito: ti frollano!»

Hai notato la differenza? Niente giri di parole, niente pistolotti del tipo: «Bisogna imparare a difendersi perché è importante e bla bla bla.» Mi fu subito chiaro che per Vinicio le cose erano bianche o nere, e che se mi trovavo lì era perché qualcuno mi frollava.

«Vorresti fargli un culo così?»

«Esatto.»

«Va bene, quando vuoi iniziare?»

«Anche subito, ho l’occorrente per allenarmi.»

«Bene, vai a cambiarti, ti aspetto qui.»

Quando uscii dallo spogliatoio, però, non trovai più nessuno. Cominciai a guardarmi attorno e ad osservare le foto appese in palestra, quando sentii: «Quindi vuoi imparare a difenderti? E allora fallo!»

Non ebbi neppure il tempo di voltarmi: mi piombò uno schiaffone in piena faccia, a mano aperta. Anche se io arrivavo quasi ai due metri e lui aggiungeva a stento il metro e sessanta, Vinicio iniziò a martellarmi di pugni su tutto il corpo, la testa piantata alla bocca del mio stomaco, e giù botte come se piovesse.

Io, spaesato, presi a scappare per tutta la palestra.

Ad un certo punto mi trovai chiuso in un angolo, in preda al panico. Vinicio continuava a darmele di santa ragione: schiaffoni in faccia, pugni alle braccia, al tronco e alle gambe.

Ad un passo dal trasformarmi in una banana Chiquita, tutto pieno di bollini blu, improvvisamente mi scattò qualcosa dentro: non so bene come successe, ma sollevai il maestro e lo lanciai a due metri da me.

«Okay, stop, fermiamoci un attimo!» fu la sua reazione.

«Ah, adesso che ti ho sganciato mi dici di fermarci?!»

«So che non ti aspettavi una lezione del genere», commentò lui serafico, «però questa è la strada. In strada non ti avvertono quando stanno per prenderti a pugni, non ti dicono da dove arrivano, chi te li dà. In strada ci sono le macchine, c è il marciapiede, ci sono imprevisti di ogni tipo. In strada funziona così: o sei pronto a reagire, oppure le prendi. Non è tanto importante la tecnica, ma la psicologia con cui affronti la cosa. Ci hai messo un po’ troppo a reagire, te ne sei prese tante: dobbiamo lavorare sul tuo killer instinct.»

Usò proprio queste parole, istinto da killer, perché per lui era semplice: o frolli o vieni frollato.

Ad ogni modo, a quel punto non riuscivo più a capire se stavo peggio per quello che mi stava dicendo Vinicio o per le botte prese. Nonostante questo, però, ho imparato molto più da quell’esperienza di venti minuti che da ore di lezioni teoriche con gli altri istruttori.

«Adesso possiamo studiare le tecniche» continuò Vinicio, «perché se studi la tecnica ma non capisci un cazzo, allora non sei pronto. Se non osservi la situazione, se non sei mentalmente ed emotivamente preparato, la tecnica ti serve a niente. Purtroppo, la maggior parte di quelli che fanno difesa personale sono dei cazzoni che le prendono sempre, che vengono frollati continuamente. Io sono nato in strada, litigando in strada. Quando sei pronto, quando sai che la psicologia ce, allora possiamo spiegare la teoria. Se invece sei abituato solo alla teoria, quando passi alla pratica sarai sempre troppo lento.»

Quell'esperienza ha rivoluzionato il mio modo di vedere le cose.

Ho scelto di raccontare la storia di Vinicio perché la PNL, per me, è proprio questa: la forma di apprendimento migliore non è la spiegazione teorica, non sono gli appunti, le risposte alle domande e, solo in ultima battuta, l’applicazione.

Il sistema di apprendimento più rapido e più efficace, anche se si tratta di un libro, è esattamente l’opposto: leggi e fai gli esercizi. Ovviamente, le prime volte è possibile che l’esecuzione non venga precisa, ma osserva cosa succede.

Fai in modo, ogni volta che leggi qualcosa, di applicare quel concetto su di te e vedi come rispondono la tua mente e il tuo corpo. Studia te stesso, utilizza ciò che trovi in queste pagine per stare bene con te stesso: solo così avrai modo di capire la vera essenza della PNL.

Se invece stai leggendo questo libro solo per imparare qualcosa da usare con gli altri, quindi verso l’esterno, ti perderai la vera essenza del lavoro.

Collegandomi al discorso di Vinicio, non seguirò una spiegazione preconfezionata. Il volume è stato strutturato in modo da per poter essere letto a cominciare da qualsiasi capitolo, non per forza dall’inizio alla fine: il mondo reale non segue degli schemi predefiniti.

Questo testo è estratto "#OltreLaPNL".

Data di Pubblicazione: 6 marzo 2018

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