Scopri i segreti celati dietro alla manipolazione dell'informazione tra media e potere, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Claudio e Franco Fracassi.

L'Emarginazione del Dissenso

"Io l'ho fatto", dice la mia memoria.

"Io non posso aver fatto questo", dice il mio orgoglio e resta irremovibile.

Alla fine è la memoria ad arrendersi.

Friedrich Nietzsche

Una Nuova Parola

"Sono le emozioni a far agire gli uomini. La paura, la rabbia, la sofferenza, l'amore, la tenerezza, il senso di colpa, la gioia. Se si vuole far fare qualcosa a qualcuno allora bisogna scatenare la sua sfera emotiva. A questo servono le notizie.

Non bisogna farsi ammaliare dall’etica, dalla correttezza professionale, dall’obiettività. Sono tutti concetti che vengono snocciolati all'opinione pubblica per poterla far cadere nella trappola più facilmente. Sono favolette per creduloni.

Le notizie sono armi, armi potentissime, le più potenti che siano mai state inventate. E come tali vengono usate".

Prima di morire alla veneranda età di cento anni Finn rilasciò alcune interviste in cui raccontava delle sue grandi idee per cambiare il mondo, per influenzare il potere, modificare il corso della Storia. Era molto orgoglioso di sé
e delle sue imprese, anche di quelle meno nobili, come la facilitazione di colpi di Stato o il supporto a operazioni di limitazioni dei diritti umani.

David Finn è stato molte cose: un brillante intellettuale, molto conosciuto negli ambienti artistici newyorchesi, oltre che un influente storico, autore e fotografo della scultura.

Ma più di tutti egli era conosciuto come "il manipolatore". Era il suo soprannome.

Nel 1948 aveva fondato di una delle più importanti agenzie di pubbliche relazioni del mondo (la Ruder Finn) insieme al suo amico d'infanzia William Ruder.

La Ruder Finn avrebbe lavorato per governi, forze armate, servizi segreti, multinazionali, grandi banche, ricchissime società finanziarie. Il loro primo lavoro fu commissionato da John Rockefeller III. L'ultimo (prima della
sua morte) dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

 

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Nel mezzo l'agenzia aveva curato centinaia di compagne di comunicazione, molte delle quali controverse, come quella per dimostrare che le sigarette non facevano male alla salute (commissionata dalla Philip Morris)
e quella per dimostrare che fosse sbagliato diminuire l’emissione di gas serra, che anzi erano segno di benessere e come tali da incoraggiare.

Una società con miliardi di dollari annui di fatturato e quasi mille dipendenti al suo servizio all'opera nei venticinque piani del loro grattacielo situato accanto al palazzo delle Nazioni Unite a New York.

Egli era un uomo dalla mente giovane. Portava molto bene i suoi novantadue anni. Pur molto professionale, non aveva mai avuto problemi di parlare del suo lavoro. Del resto, il suo lavoro era proprio nelle pubbliche relazioni.

Dalle finestre del suo ufficio, che si trovava al ventinovesimo piano di un grattacielo nel ricco East Side di Manhattan a New York, si poteva ammirare il grande palazzo di Vetro, sede delle Nazioni Unite. "Il potere deve stare vicino al potere", era uno dei motti del signor Finn.

Al momento del nostro colloquio la Ruder Finn lavorava (tra gli altri) per il Pentagono, il dipartimento di Stato Usa, la Casa Bianca e il Vanguard Group (il gigantesco conglomerato finanziario che insieme a BlackRock e State
Street gestiva soldi pari a un quarto dell'intera ricchezza prodotta annualmente sulla Terra).

Se i reporter non potevano essere depistati dovevano essere almeno silenziati, nel senso letterale del termine.

Dicessero pure tutto ciò che volevano, tanto nessuno li avrebbe ascoltati.

Gli anni Duemila divennero così gli anni dell’emarginazione di chi non si allineava al flusso principale dell'informazione, dell’emarginazione di chi poneva troppe domande. Anzi, di chi poneva domande e basta. Come è
stato possibile?

Accadde la mattina assolata di martedì 11 settembre 2001.

 

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Quattro aerei con a bordo diciannove dirottatori si schiantarono nell'ordine contro la torre sud del World Trade Center sull’isola di Manhattan a New York, contro la torre nord dello stesso complesso di grattacieli, contro il Pentagono e in mezzo a un bosco della Pennsylvania.

Tremila morti, decine di migliaia di feriti, una città (New York), un Paese (gli Stati Uniti d’ America) e un intero pianeta sanguinanti.

Dalla patria del giornalismo investigativo e da quella del diritto-spettacolo ci si sarebbe aspettati lo scatenamento di inchieste quotidiane, rivelazioni di scandali, dimissioni, processi in diretta tv, conferenze stampa di procuratori affamati di fama. E invece, nulla di nulla, a parte (comprensibilmente) il dolore.

Dopo il trambusto assordante di quei giorni di fine estate il silenzio, altrettanto assordante.

Come fu possibile?

Fu possibile perché era iniziata una nuova era nel rapporto tra media e potere.

Nel gennaio del 1994 - ha raccontato Finn - venne da nipolare la realtà, ad accusare finanche il proprio governo di qualsiasi nefandezza, pur di avere visibilità. C'era chi credeva nei rettiliani, chi che la Terra fosse piatta, chi nelle
scie chimiche. Si trattava di matti, persone poco credibili e intrise di negatività, di esseri bisognosi di essere al centro dell'attenzione.

In altre parole, quando a qualcuno veniva dato del complottista chi lo ascoltava spegneva il cervello o ancor prima spegneva l'udito. Come quando si toglie l’audio al televisore e si vede qualcuno sullo schermo aprire e chiudere la bocca senza capire ciò che dice.

 

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Il Falso come Metodo di Emarginazione

"Dalla Casa Bianca ci fecero sapere che erano veramente soddisfatti di noi", proseguì Finn. "Il nostro lavoro non era terminato però. Bisognava trovare una soluzione anche per chi manifestava".

Questa volta la parola era non solo già esistente ma anche di uso comune, comprensibile ai più: negazionista.

Chi è negazionista è convinto che l’Olocausto non ci sia mai stato, o quanto meno non nei termini che ci è stato raccontato. In altre parole, è un nazista.

Finn: "Pensammo che abbinare la parola complottista a quella negazionista avrebbe dato i frutti sperati. E così fu. Nessuno voleva farsi vedere a braccetto con un nazista, nessuno voleva farsi accostare a un nazista, nessuno voleva nemmeno parlare con un nazista. Specialmente se il nazista in questione era anche complottista. Ovvero, matto e poco credibile. Magari anche depistatore di professione".

"Decidemmo di andare anche oltre. Avevamo notato che dopo l’11 settembre erano spuntati sul web alcuni personaggi che cercavano di screditare chi indagava e chi non accettava la verità ufficiale. Sospettavo lavorassero per
la Cia, anche se non ne ho mai avuto la conferma diretta.

Perché non trasformarli in un punto di forza della nostra strategia? Bisognava dargli una veste filosofica e ideologica. Se ci fossimo riusciti avremmo stretto gli avversari del governo in una vera e propria morsa da cui non si sarebbero potuti facilmente liberare", aggiunse “il manipolatore”.

"Creammo così il concetto di “fake news”. Le notizie false sono sempre esistite, dalla notte dei tempi". Finn aveva deciso di rivelare i suoi segreti, senza reticenze: "Quel che avremmo dovuto fare sarebbe stato diffondere l'idea che ci fossero dei soggetti che diffondevano false notizie per professione e che dall'altra parte c'erano dei paladini della giustizia, i nostri paladini, che si battevano contro il Male per poterci far riconoscere la verità: i fact checker.

Costoro avrebbero smascherato i narratori di bufale e reso vane le fake news. Come? Appoggiandosi alle fonti ufficiali, ovvio. Un modo diverso per dire: “Ciò che vi sta raccontando il governo è vero”. Insomma, quale modo migliore per zittire chi contestava il governo sbattendogli in faccia come verità assoluta, incontestabile, proprio ciò che dicono le istituzioni".

Sguinzagliati come fossero dei mastini da battaglia, i debunker (così venivano chiamati solitamente) azzannarono uno dopo l’altro i giornalisti rei di aver contestato le affermazioni dell’Amministrazione Bush e poi dei Presidenti Usa che sarebbero seguiti.

Per poi tracimare in tutto il resto del mondo Occidentale. I complottisti-negazionisti non ebbero più tregua. Una guerra senza quartiere che rese le redazioni giornalistiche sempre più docili al potere.

 

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L'Uomo dei Videogiochi

C'era una volta un'azienda chiamata Kuma Reality Games, comunemente abbreviata in Kuma Games. Tutto girava intorno a un sito, principalmente incentrato sul videogioco Kuma War. Vere battaglie venivano inserite nel
gioco solo pochi giorni dopo la loro conclusione.

Un successo mondiale. Molte aziende del settore chiesero di per poter acquistare altri giochi. Si fecero sotto perfino diverse televisioni, come History Channel.

Un giorno di dicembre 2011 tutto cambiò.

Su un canale della televisione di Stato iraniana, un uomo di nome Amir Mirza Hekmati confessò pubblicamente di aver lavorato con il governo degli Stati Uniti per spiare in Medio Oriente.

La maggior parte di ciò che aveva da dire non era incredibilmente importante, ma una citazione spiccava dal resto: "Dopo aver lavorato per la Darpa (un'agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare), sono andato alla Kuma Games. Questa società di computer riceveva denaro dalla Cia per produrre, progettare e distribuire gratuitamente film e videogiochi con l’obiettivo di manipolare l'opinione pubblica in Medio Oriente".

Dall’azienda di newyorchese nessun commento. Meno di una settimana dopo, però, le sedi mediorientali di Kuma Reality Games furono tutte chiuse.

Mark Sargent era un giocatore di videogiochi professionista. Aveva anche lavorato come analista di software. Era anche consulente per Darpa. In quanto tale era stato segnalato alla Ruder Finn.

 

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"È vero. Lo contattammo su indicazione del Pentagono. Ci dissero che sarebbe stato l'uomo giusto per noi", confessò il fondatore dell'agenzia di comunicazione. "Ci era stato assegnato un nuovo lavoro: screditare dal punto di vista scientifico i ricercatori “insubordinati” ed estendere ai blogger il bavaglio che era stato messo ai media dopo l’11 settembre".

"La nostra idea era quella di creare una nuova moda scientifica, chiaramente improponibile per qualsiasi persona che si autodefinisse seria ma che avesse appeal sufficiente per attirare un po' di seguaci. L'importante era ci fosse un numero sufficiente di seguaci da renderla una storia per i media. Tutto il resto sarebbe venuto da sé", continuò Finn.

Sargent pubblicò nel 2015 una serie di video su YouTube intitolati “Flat Earth Clues” (indizi sulla Terra piatta), che mettevano in dubbio la forma accettata della Terra. Dieci milioni di persone guardarono quei video, favorendo l’ascesa del moderno movimento della Terra piatta.

L'ex campione di videogame sostenne che la Terra è un disco piatto, con un gigantesco muro di ghiaccio attorno alla circonferenza. Si dice che una cupola indistruttibile sia attaccata al bordo, rendendolo un sistema chiuso. Sargent sostenne che tutti i governi del mondo avevano mentito sulla forma del pianeta e che la Nasa aveva falsificato il programma Apollo e tutti gli altri programmi di esplorazione spaziale.

Un articolo sulla prestigiosa rivista d'inchiesta “The New Yorker” ha spiegato come la serie di video di Sargent sia stata determinante nel convertire le persone al suo punto di vista: "Gli esperti scientifici hanno indicato il bias
di conferma come un modo per mantenere una convinzione controfattuale, selezionando solo prove a sostegno e respingendo qualsiasi prova di conferma come parte della presunta cospirazione globale".

Si trattava di una vecchia teoria apparsa in Inghilterra nel 1816 per opera del segretario di una comune socialista radicale Samuel Birley Rowbotham. Iniziando a indagare sulla forma della Terra studiando quella della superficie
dell’acqua (in particolare un tratto rettilineo del Bedford Canal, un canale artificiale realizzato nel Seicento nella contea di Cambridge), il britannico arrivò a ipotizzare che se la Terra fosse stata curva anche la superficie delle acque avrebbe dovuto incurvarsi, seguendo la forma del pianeta.

Quindi non c'era curvatura: la Terra era piatta.

 

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I membri della Flat Earth Society affermarono che la Nasa e altre agenzie governative fabbricavano prove che la Terra fosse sferica. La Nasa, in particolare, stava Sorvegliando il muro di ghiaccio antartico che circonderebbe la
Terra, manipolando e fabbricando le sue immagini satellitari.

L'immagine perpetuata pubblicamente era mantenuta attraverso una pratica su larga scala di compartimentazione, secondo la quale solo un numero selezionato di individui aveva conoscenza della verità.

"Tutto questo era più che sufficiente. Era nato il” terrapiattismo”. Come avrà capito, la nostra agenzia dà grande importanza al potere delle singole parole", concluse Finn. "Grazie al nostro uomo avevamo una meravigliosa teoria assurda, fuori dal tempo, e soprattutto fuori dalla scienza, che era il principale obiettivo che ci eravamo prefissati.

Non avrebbe importato, poi, quante persone effettivamente credessero al fatto che la Terra potesse essere piatta. Migliaia di giornali, televisioni, blog, siti di ogni genere, pagine Facebook parlavano dei terrapiattisti. Eravamo riusciti a introdurre una nuova Categoria di paria nella società. Qualcosa che ci sarebbe tornato molto utile in futuro. E che certamente sarebbe tornato utile ai nostri committenti".

Adesso sì che i rompiscatole e i troppo curiosi erano stati messi realmente all'angolo.

La guerra dell’informazione era stata apparentemente vinta. I media, i potentissimi media erano stati costretti ad allinearsi, pena la perdita della cosa più preziosa che avevano: la credibilità.

Ma come si era arrivati a tanto? Com'era possibile che un sistema così complesso e variegato come quello mediatico avesse ceduto la sua autonomia e la sua indipendenza così facilmente?

Ha inizio il nostro viaggio nel mondo dell’informazione.

Data di Pubblicazione: 30 giugno 2022

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