Che cos'è l'Epigenetica Ambientale e quella Relazionale? Come guarire senza medicine? Scoprilo, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Luigi Marcello Monsellato.

Epigenetica ambientale

I nuovi modulatori del network umano

Viviamo in un periodo storico ipertecnologico e iperspecialistico, nel quale coesistono diverse e straordinarie modalità di intervento sull'organismo umano (biotecnologie, ingegneria genetica, trapianti) con una sempre più dilagante ignoranza sui temi di fondo della regolazione del benessere e della salute.

Questa sorta di analfabetismo attuale coinvolge non solo le persone, ma soprattutto gli operatori della salute, che vivono la contrapposizione tra l’impennata vertiginosa delle conoscenze scientifiche e la sempre più limitata capacità di indagine e di intervento terapeutico, ingessati in ambiti superspecialistici.

E sempre più evidente, dai grandi studi epidemiologici e da studi sperimentali, che la stragrande maggioranza dei malanni che angustiano l'umanità si struttura nelle cattive relazioni che gli esseri umani stabiliscono tra di loro e con l’ambiente.

L'inquinamento e il riscaldamento globale, la attuale scorretta alimentazione e il vissuto del lavoro e della vita sociale contemporanei determinano le caratteristiche degli ambienti urbani, stili di vita e comportamenti che rappresentano le radici delle principali patologie moderne.

 

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Tossicità ed epigenetica: il ruolo della chimica ambientale

I geni regolano, o meglio sono regolati e influenzano, l’attività delle cellule dell'organismo, che ci permettono l’esistenza grazie ai loro funzionamenti fisiologici, estremamente precisi e utili anche per la relazione più efficace tra le cellule stesse, basti pensare alla capacità delle cellule delle ghiandole endocrine di produrre gli ormoni che servono per la produzione dei gameti maschili e femminili.

La memoria, l'apprendimento, lo stress e la guarigione sono tutti influenzati da classi di geni che vengono attivati o silenziati in cicli temporali che possono variare da un secondo a molte ore. L’ambiente che attiva i geni comprende sia l’ambiente interno — la connotazione emotiva, biochimica, psichica, energetica e, perché no, spirituale dell’individuo — che l’ambiente esterno.

Quest'ultimo include la rete sociale e i sistemi ecologici in cui la persona vive. Gli alimenti, le tossine, i rituali sociali e i segnali sessuali sono esempi degli influssi ambientali esterni che interessano l’espressione genica. Le ricerche stimano che "approssimativamente il 90 per cento di tutti i geni è impegnato... nella cooperazione con i segnali che giungono dall'ambiente" (Richardson, 2000).

Come già spiegato, le cellule del nostro organismo entrano a contatto con l’ambiente che ci circonda in vario modo, attraverso un'interazione con fattori chimico-fisici esterni ma anche attraverso fattori legati al cibo che mangiamo, i liquidi che beviamo e l’aria che respiriamo.

Il concetto fondamentale è quello legato al fatto che l’ambiente in cui viviamo è direttamente legato alla buona attività delle cellule del nostro corpo, il che intuitivamente ci porta a capire bene come una passeggiata sulla spiaggia sia più salutare di una passeggiata nel centro di una città trafficata, o come sia più sano mangiare cibi senza conservanti.

Va però detto che quando parliamo di ambiente non intendiamo solo l’ambiente fisico che circonda noi individui, bambini o adulti, ma anche quello che interagisce con un embrione o un feto, per i quali, ad esempio, l’ambiente circostante sarà l'utero della madre.

 

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Di conseguenza le interazioni che l'embrione o il feto avrà con l'ambiente saranno direttamente legate alle abitudini della madre e anche all'ambiente in cui proprio la madre vive.

Un tragico ma ben conosciuto esempio è quello della talidomide, farmaco utilizzato contro nausea e vomito che se assunta dalle donne incinte provoca la nascita di figli focomelici, cioè nati con una malformazione congenita per cui le estremità del corpo presentano un aspetto rudimentale, simile a quello delle estremità delle foche.

Facile, di conseguenza, capire l’importanza delle abitudini materne per la formazione del bambino, e la naturale capacità delle cellule, comprese le gonadi, di essere un bersaglio continuo per una serie di agenti, siano essi fisici o chimici, cosa che può provocare stravolgimenti del pvA portando anche a mutazioni epigenetiche legate a una modifica del genoma.

Ampliando il discorso va da sé che un'analisi più generale aiuta a capire il tutto, partendo dalle differenze che un contesto socioeconomico, ambientale e anagrafico possono provocare sull’individuo.

È stato dimostrato, del resto, come diversi cambiamenti epigenetici, che è possibile verificare nel neonato ma anche nell’adulto, siano direttamente collegati all'esposizione dell'utero materno a una serie di agenti tossici, ma anche all'utilizzo di alcuni farmaci, e ancor più grave è la possibilità che questi cambiamenti possano trasferirsi di generazione in generazione.

Affronteremo il discorso legato allo stress, che molti studi hanno verificato essere trasmissibile in modo intergenerazionale, tra i quali quello di Rachel Yehuda, tra le massime esperte negli studi sul cosiddetto stress post-traumatico, che, insieme ai suoi colleghi, ha verificato come molti neonati presentavano un livello di cortisolo alterato come le madri vittime di eventi traumatici in gravidanza, nel dettaglio lo stress per la caduta delle Torri Gemelle a New York l'11 settembre del 2001 (Yehuda et al., 2015).

 

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I pericoli delle “epimutazioni”

Nel campo della ricerca e dell’uso dei farmaci, così come in quello della nutrizione e dell'ambiente, gli scienziati, al fine di testare il potenziale tossico di una sostanza, fanno ricorso a un particolare test, denominato DL50 (in inglese Lethal Dose 50), che si riferisce alla dose della sostanza stessa somministrata in una volta sola in grado di uccidere più del 50%, cioè della metà, di una popolazione campione di cavie, solitamente ratti.

In altre parole, se la sostanza ingerita o anche inalata è capace di sopprimere oltre la metà degli individui ai quali viene somministrata, allora può essere a tutti gli effetti considerata tossica e, dunque, proibita; diversamente può essere tranquillamente utilizzata e commercializzata.

Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che questi criteri di valutazione presentano risvolti problematici fino a qualche tempo fa disattesi. Ciò vale in particolare per gli effetti epigenetici derivanti dai farmaci e dalle droghe, del tutto sottovalutati e minimizzati dai ricercatori.

Nonostante taluni prodotti chimici vengano sottoposti a test di mutagenesi allo scopo di verificare eventuali modificazioni del codice genetico in grado di causare eventi tumorali, c'è da dire che alcune droghe come la cocaina e gli oppiacei e taluni farmaci come, ad esempio, l’acido valproico (utilizzato per numerose malattie neurologiche) interagiscono con le HDAc (istondeacetilasi), ossia un fattore di regolazione epigenetica che sopprime il marcatore acetile sui geni.

 

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L'acido valproico, ad esempio, è un principio attivo utilizzato nel trattamento dell’epilessia sotto forma di valproato di sodio (Depakin), valutato dal laboratorio farmaceutico che lo produceva e commercializzava non pericoloso. In realtà, esso è un inibitore di enzimi deacetilasi, essenziali nei meccanismi epigenetici.

In altre parole, questo farmaco impedisce la regolazione dell'espressione genica, in particolare dei geni codificanti essenziali alla sopravvivenza cellulare. Pertanto, l’uso di questo farmaco “anticonvulsivo” tanto apprezzato avrebbe dovuto essere assolutamente proibito in gravidanza in quanto epitossico ma almeno fino al 2015 la sua attività di inibizione delle deacetilasi era ignota.

Stesso discorso vale per il pes (dietilstilbestrolo), prescritto tra il 1950 e il 1977 alle donne che intendessero evitare un aborto. Un tempo si riteneva che questo farmaco fosse sicuro tant'è che le future mamme lo assumevano in tutta tranquillità; oggi è ormai risaputo invece che questo farmaco sia estremamente pericoloso per la salute tant'è vero che si ritiene sia la causa di malformazioni o patologie croniche gravi nei nascituri.

Di queste sostanze, un tempo considerate non tossiche, attualmente si conoscono grazie agli studi sull’epigenetica gli effetti secondari a lungo termine, seppur dopo la sospensione del trattamento, ad esempio una certa incidenza nello sviluppo di tumori, malattie cardiovascolari e anche obesità, disturbi neurologici e cognitivi, diabete, infertilità e disfunzione sessuale.

All’uso di antidepressivi (ad esempio, il Prozac) è legato il rischio di alterazioni epigenetiche a lungo termine, in quanto determina un aumento cronico del tasso di serotonina nel cervello (ciò è stato riscontrato in numerose patologie come il diabete, l'obesità, il ritardo mentale, il cancro, l'Alzheimer, il Parkinson).

 

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I fattori di rischio

Sono stati svolti diversi studi che indicano come esistano particolari periodi, nello sviluppo del feto prima e del neonato poi, nei quali si verifica una sensibilità superiore agli stimoli che arrivano dall'ambiente, e che sono direttamente legati all’epigenetica: nel dettaglio l’ultimo periodo di gravidanza e i primi mille giorni di vita del neonato, quando le cellule, i tessuti e il connettoma raggiungono il massimo della plasticità e sono esposti a sostanze tossiche che possono sviluppare reazioni patogenetiche.

C'è stato un enorme cambiamento dei sistemi biologici negli ultimi anni, legato all’esponenziale utilizzo di prodotti chimici industriali che sono stati introdotti nella vita di tutti i giorni con una facilità disarmante.

Sostanze tossiche ormai parte integrante dell'ambiente familiare e domestico, produttivo e sociale, capaci di creare un danno su cellule e tessuti non solo diretto, ma anche riscontrabile nel tempo, agendo sul sistema neuroendocrino e immunitario.

Queste sostanze, accumunate dalle stesse caratteristiche tossiche, appartengono al gruppo delle Endocrine-Disruptors Chemical (EDC), e basta elencarle per capire il loro vasto utilizzo: pesticidi, Bisfenolo A (utilizzato R nella produzione di scarpe sportive come le Converse), ftalati (utilizzati nella produzione di cosmetici), diossine, idrocarburi aromatici, detergenti e via dicendo (Ferguson et al., 2016).

 

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La loro azione condiziona gli organismi da un punto di vista epigenetico con effetti transgenerazionali dannosi riscontrati grazie a studi condotti sugli animali e sugli uomini. Non è certo una scoperta recente che determinate sostanze possano compromettere seriamente l’attività cerebrale, oltre che causare l'insorgenza di malattie del neuro-sviluppo, aumentate in maniera esponenziale con l'aumento di piombo, arsenico, mercurio, idrocarburi policiclici aromatici e via dicendo nell’aria che respiriamo o negli alimenti.

Non è un caso che il proliferare di una serie di patologie negli ultimi anni vada di pari passo con la produzione, come mai prima nella storia dell’uomo su questo pianeta, di sostanze di scarto tossiche, decine di migliaia di prodotti di processi termochimici e in continuo aumento.

Abbiamo spiegato come il feto e il neonato siano particolarmente sensibili all'interazione con l’ambiente, va allo stesso tempo sottolineato come ogni tessuto o organo abbia un suo peculiare spettro di esposizione piuttosto specifico. In questa dinamica il cervello ha una fase di ipersensibilità embrio-fetale che non solo si manifesta in tutto il periodo fetale, ma che accompagna il bambino nei primi due anni, periodo in cui avviene la formazione del connettoma e delle reti neuronali.

Tra le sostanze tossiche più comuni troviamo il piombo e il mercurio: il primo ha la capacità di recare danno a livello neuronale grazie alla facoltà di oltrepassare sia il filtro plasentare che la barriera ematoencefalica, mentre il secondo, metallo pesante e fortemente neurotossico, agisce in particolare nelle fasi di mielinizzazione e di formazione delle sinapsi.

 

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Data di Pubblicazione: 25 gennaio 2023

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