SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO

Esperienza sciamanica: cerimonia dell’ayahuasca

Esperienza sciamanica e cerimonia dell’ayahuasca

Scopri le reti di coscienza che collegano la terra e il cielo, le persone e le piante e tutto ciò che si trova nel campo visivo esterno leggendo l'anteprima del libro di Josè Luis Stevens

Viaggi di potere con le piante di medicina: visioni con l’ayahuasca

Lena, Anna e io facciamo viaggi in Perù da oltre ventanni per studiare e per imparare dalla tribù degli Shipibo, nella giungla dell’alta Amazzonia. Quel popolo è formato da una tribù di circa 25.000 persone, stanziate in piccoli villaggi disseminati lungo il percorso del Rio Ucayali. Col passare degli anni ho lavorato lì con vari sciamani e ayahuasqeros, nel bene e nel male. Un ayahuasqero è uno specialista nel lavoro che viene svolto servendosi di svariate piante mescolate e riunite sotto il nome di ayahuasca, e nel canto degli icaros, o canti sacri, che le guidano durante le cerimonie. Iniziammo a svolgere quel lavoro sotto la guida di un francese e dopo di lui fummo condotti ad altri, per poi approdare a un gruppo di insegnanti shipibo.

Incontrai per la prima volta Pierre Materez nella mia città natale di Santa Fe, dov’era stato chiamato dal figlio di un’anziana signora affetta da leucemia. Da potente guaritore e ayahuasqero qual'era, Pierre trascorse varie settimane intento a curare quella donna con piante raccolte nella giungla peruviana. Secondo le ultime notizie da me ricevute, lo stato di salute della donna era molto migliorato.

Un nostro amico invitò mia moglie e me a una cena con Pierre e con altri amici che volevano incontrarlo. Appena fui presentato a Pierre, un signore dalla corporatura esile con i capelli castani e con occhi gentili ma intensi, lo identificai immediatamente come una persona dotata di integrità, un tranquillo uomo di conoscenza, qualcuno di cui mi sarei potuto fidare e dal quale avrei potuto imparare. Era un guaritore molto attaccato al suo lavoro, che godeva di un’ottima reputazione e che offriva la sua opera sciamanica a indigeni peruviani, meticci e visitatori dall’estero.

Durante quella cena Pierre ci parlò brevemente della vita nella regione amazzonica del Perù e del proprio impegno di curandero (guaritore). Raccontò alcune delle esperienze che l’avevano condotto in quei luoghi per reperire e poi per sviluppare i suoi orti botanici. Era stato un cercatore di conoscenza fin da giovane e aveva viaggiato nella sua Europa natia, in India e negli Stati Uniti alla ricerca della conoscenza e della verità spirituale. Aveva imparato molto e alla fine si era stabilito nel suo Paese adottivo, il Perù, per coltivare, studiare e catalogare le piante guaritrici della giungla e gli antichi metodi di preparazione di quei vegetali allo scopo di ottenerne i massimi benefici.

Per oltre tredici anni Pierre era stato apprendista di Benito Masteras, uno sciamano tenuto in alta considerazione fra gli Shipibo e i Connibo, e per cinque anni di Miguel e Guillermo Fanela, una squadra composta da padre e figlio, anch’essi sciamani presso i popoli indigeni. Con loro aveva imparato a raccogliere, preparare e a lavorare con molte varietà di piante medicinali. Era venuto a conoscenza delle diete da abbinare alla loro ingestione e aveva imparato gli icaros che devono essere cantati per risvegliare le piante e per attivare le loro proprietà curative. Imparò anche gli effetti potenzialmente nocivi di molte piante e come prepararle in modo tale da eliminare i loro effetti tossici, lasciando però intatta la loro forza guaritrice.

Dopo aver fatto la conoscenza di Pierre a Santa Fe, ebbi la fortuna di fargli visita a novembre del 1996 a Pucallpa, una città della giungla situata nel bacino amazzonico, insieme alla mia famiglia e a un gruppo di trenta dei nostri studenti, mentre ci recavamo a Macchu Picchu e in altri siti sacri. Insieme a lui prendemmo parte ad alcune cerimonie di guarigione all’aperto nei suoi giardini botanici, un’esperienza di cui posso solo dire che fu eccellente e che riuscì a dare una svolta alla vita delle persone che vi parteciparono. Durante quelle cerimonie con l’ayahuasca, vidi concretamente la rete della vita che connette fra loro tutte le forme viventi nella giungla. Riuscii a vedere l’origine dei complessi disegni usati dai Connibo e dagli Shipibo per decorare oggetti d’arte e indumenti in quella zona dell’Amazzonia. Osservai come Pierre e i suoi assistenti si servissero del canto e dei movimenti delle mani per manipolare e riparare le linee frammentate che formavano una rete intorno ai pazienti sotto guarigione. Levando lo sguardo verso il cielo notturno, vidi la brillante luce dello Spirito Divino peruviano sotto le spoglie di Viracocha, che sorrideva benevolo dall’alto su di noi attraverso le nuvole imbevute di raggi lunari.

Le piante medicinali

Durante quel viaggio mi resi conto che Pierre era portato in palmo di mano dalla popolazione locale, che si recava da lui per conseguire la guarigione. Con noi fu cortese e si prese cura di ogni dettaglio della nostra permanenza. Rimasi profondamente colpito dalla passione con cui coltivava il suo giardino, dalla competenza cerimoniale che dimostrava e dalla sua padronanza dell’arte della guarigione attraverso le piante di cui disponeva.

Chiesi a Pierre cosa l’avesse indotto a stabilirsi lì. Mi rispose che da tempo si era messo alla ricerca, in tutta la regione, del posto giusto per creare un giardino e un suo centro di guarigione. Voleva imparare e custodire gli antichi saperi inerenti le piante medicinali, saperi che si vanno rapidamente perdendo a causa dell’invasione dell’Amazzonia da parte della civiltà occidentale. Aveva quindi trovato un giardino inselvatichito e trascurato che ospitava già molte specie di piante autoctone. Vi aveva piantato molte nuove specie e aveva costruito un centro, dotato di una cucina da campo, di un edificio centrale con vari bungalow per dormire, di gabinetti esterni e di box doccia, facendo gran parte del lavoro con le proprie mani e con l’aiuto di artigiani locali.

Aveva pubblicato svariati libri e articoli scientifici in spagnolo, incentrati sulla flora locale e i suoi molti usi, e aveva ricevuto molti ospiti, fra cui scienziati da tutto il mondo interessati alle piante medicamentose. Una volta era stato protagonista di un servizio giornalistico sulle piante, andato in onda sulle televisioni brasiliana e peruviana.

Nel decennio trascorso prima di incontrare Pierre, Lena e io avevamo avuto la straordinaria opportunità di condurre gruppi di viaggiatori verso luoghi sacri di potere in tutto il mondo. Dopo aver incontrato Pierre a Santa Fe, decidemmo di organizzare un viaggio in Perù per recarci da lui nella giungla e per visitare i siti sacri di Macchu Picchu, Cuzco, lago Titicaca e Nazca. Ora eravamo in viaggio verso il Perù con un gruppo di trenta partecipanti, inclusi i nostri figli, Anna e Carlos. La nostra prima destinazione era Pucallpa, dove avremmo incontrato Pierre e partecipato a cerimonie presso i suoi orti botanici.

Il nostro gruppo includeva anche alcuni dei nostri amici più cari e molte persone che Lena e io conoscevamo da anni. Nel gruppo c’erano: Ron, mio migliore amico fin dalla prima elementare, un tipo alto e rilassato che lavorava come ispettore della fauna selvatica a Los Angeles; Pat, di discendenza irlandese e huichol, una timida logopedista proveniente dalla Contea di Marin i cui figli erano cresciuti insieme ai nostri fin dalla nascita; Joan, una psicoterapeuta alta e di straordinaria bellezza, nostra amica, di San Francisco (California); Sarah Chambers, la channeler originaria degli insegnamenti di Michael; e un gruppo variegato di persone di ogni estrazione sociale, inclusa una donna proveniente dall’Islanda. Dopo aver fatto visita a Pierre nella giungla, saremmo stati raggiunti da altre dieci persone circa per il resto del viaggio, ma quel primo gruppo era quello degli irriducibili e voleva fare esperienza dello sciamanismo amazzonico.

Sorvolammo le montagne di Pucallpa, navigando al di sopra della vibrante vegetazione e delle nebbie che si sprigionavano dalla calotta arborea del bacino superiore del Rio delle Amazzoni. I fiumi serpeggiavano tracciando ampie e lente anse, che quasi si toccavano fra loro ma che erano tenute separate da sottili strisce di giungla. Mentre ci avvicinavamo a Pucallpa, delle colorate linee rosse si rivelarono essere strade tagliate all’interno della giungla che convergevano su quella vasta città tropicale, che si allargava a macchia d’olio. All’aeroporto ci venne incontro Pierre, che curò l’imbarco della nostra comitiva su vetusti furgoni e taxi per coprire il breve tragitto che ci separava dai suoi giardini.

Quando arrivammo, ci condusse ai nostri dormitori, in capanne pulite e rialzate, dai tetti ricoperti di fronde di palma. Le capanne profumavano di legno massello e di creosoto, un distillato usato per la conservazione del legno, necessario in quel clima umido. Dopo esserci sistemati, ci riunimmo tutti per una cena anticipata e per partecipare a una sessione di orientamento sul luogo che ci ospitava e sulle attività dei giorni successivi.

Cerimonia dell’ayahuasca

Il giorno seguente avremmo preso parte alla nostra prima cerimonia dell’ayahuasca nella capanna all’aperto appositamente predisposta per il lavoro di guarigione. La capanna aveva un pavimento di terra battuta e all’esterno era circondata da colonne che sorreggevano il tetto impagliato. Sopra di noi troneggiava un’enorme pianta rampicante di ayahuasca [in realtà il nome della pianta è Banisteriopsis caapi, ed è una delle due piante necessarie a produrre la bevanda nota anch’essa col nome di ayahuasca; N.d.R.] dalla corteccia ruvida e marrone, dotata di bellissime spirali di liane lungo tutta la sua altezza. L’indomani pomeriggio avremmo digiunato, per tenere lo stomaco vuoto e per prepararci ad assumere l’ayahuasca.

Io me ne andai a letto presto e al mattino mi svegliai in quel giardino paradisiaco al canto di centinaia di uccelli sconosciuti. Trascorsi la giornata esplorando i giardini e facendo un salto in città per visitare i negozi e familiarizzare con la zona. Al calar della sera avvertii il senso di anticipazione della potente cerimonia che stava per avere luogo. Per molti membri del nostro gruppo sarebbe stata la prima esperienza con l’ayahuasca, una delle più famose “piante maestre” allucinogene dell’Amazzonia. Io conoscevo bene i suoi effetti ma non l’avevo mai presa nel suo ambiente naturale, nella giungla. Sapevo che si sarebbe trattato di un’esperienza speciale.

Aspettammo fino alle 21:00 circa per dare inizio alla cerimonia, finché fosse decollato anche l’ultimo volo dal vicino aeroporto e fosse scesa la notte. Ci sistemammo ai nostri posti intorno ai muri della capanna cerimoniale e io suggerii che ciascuno formulasse un’intenzione riguardo all’obiettivo che si proponeva di raggiungere. Uno dopo l’altro, i partecipanti diedero voce alle loro speranze e paure e resero note le loro intenzioni riguardo al lavoro di quella sera. Sebbene molti avessero deciso all’ultimo minuto di non partecipare, entrambi i miei figli non vedevano l’ora di fare la loro prima esperienza con le piante sacre. Riuscivo a vedere il loro nervosismo, ma ero molto orgoglioso di loro per il coraggio che dimostravano e per la loro disponibilità a provare qualcosa di nuovo.

L’ayahuasca fu servita a mo’ di tisana, e una dopo l’altra le persone bevvero quella bevanda agrodolce. Io mi sedetti insieme agli altri nell’oscurità della capanna in attesa che giungesse la visione interiore.

Dopo circa due ore mi era chiaro dai sospiri e dai lamenti di chi mi era accanto che la gente stava già provando gli effetti dell’ayahuasca. Quanto a me, stavo sentendo molto poco, se si eccettuava il fatto che ero in preda a capogiri. Pierre venne a chiedermi come stavo e gli dissi che stavo bene, ma sentivo pochissimi effetti. Mi chiese se volevo bere ancora e io acconsentii. Me ne versò un’altra tazza e bevvi con una smorfia. Praticamente ancor prima di riguadagnare la mia postazione sulla stuoia ebbero inizio le mie visioni vere e proprie.

Non molto tempo dopo Pierre venne a vedere come stavo. Riuscivo a malapena a stare seduto davanti a lui mentre iniziava a cantare gli icaros e a fare il suo lavoro di guarigione su di me. Senza alcun preavviso fui colto da un intenso conato di vomito, ricaddi all’indietro verso una fossa intorno al muro della capanna e diedi violentemente di stomaco. Espellere fu difficile ma allo stesso tempo estremamente soddisfacente. Sentivo che mi stavo liberando di tensioni a lungo trattenute e di un vecchio bagaglio emotivo che non volevo più portarmi dietro. Dopo la purificazione mi sdraiai senza più riuscire a muovere un solo muscolo, mentre il mio corpo era percorso da brillanti flussi di colore e di energia. Gradualmente divenni consapevole della presenza di milioni di punti luminosi all’interno della capanna precedentemente avvolta dal buio che la illuminavano in modo tale da permettermi di vedere tutto molto distintamente.

Dopo aver assunto la seconda dose di ayahuasca non solo vomitai, ma mi resi conto che la medicina stava facendo effetto anche sul mio intestino. Questo rappresentava un problema perché le latrine erano situate a una certa distanza dalla capanna cerimoniale. Raggiungerle comportava camminare lungo un sentiero fangoso sovrastato da piante e alberi giganti e poi inforcare una diramazione e percorrere un altro sentiero meno segnato che alla fine sbucava alla latrina. Non era realistico pensare di riuscire a restare seduto ancora per molto, però alzarmi e percorrere quei sentieri inebriato dall’ayahuasca mi sembrava un’impresa monumentale. Sotto la spinta dell’inevitabile, dovetti alzarmi in piedi e incespicare nell’oscurità per trovare il sentiero giusto per arrivare a destinazione, dove avrei potuto liberarmi. Scoprii che la mia torcia frontale era del tutto inutile perché il suo raggio di luce ondeggiante mi distraeva a tal punto da impedirmi di vedere dove stavo andando.

Di solito quando si ingerisce dell’ayahuasca il processo comporta seguire le visioni e i paesaggi interiori a occhi chiusi, ma quando li si apre si realizza un effetto meraviglioso. L’ayahuasca rivela le reti di coscienza che collegano la terra e il cielo, le persone e le piante e tutto ciò che si trova nel campo visivo esterno. Camminare sotto l’effetto dell’ayahuasca è come muoversi attraverso molti spessi veli e tende a forma di grata. L’effetto è molto bello ma un po’ sconcertante. Scoprii che mi veniva spontaneo allungare braccia e mani davanti a me per attraversare quei meravigliosi veli, un po’ come attraversare l’armadio ne Le cronache di Narnia, solo che ora si camminava nella giungla, non sulla neve. Le piante, gocciolanti di umidità, irradiavano vita, e qui e là le polle colme di cangiante luce lunare decoravano il terreno, quando le nuvole permettevano alla luna di far capolino di tanto in tanto. Centinaia di lucciole si erano posate sui rami degli alberi più alti, accompagnate dal suono del continuo sgocciolio della vegetazione nelle pozzanghere sottostanti. L’aria era spessa e la fragranza dei fiori profumava l’umida brezza calda. Mi trovavo davvero in un altro mondo.

Per quelli che a me sembrarono secoli, incespicai su un sentiero che qualche ora prima mi era stato del tutto familiare ma che ora varcava un incredibile mondo alieno. Non riuscivo a riconoscere niente ma continuai a seguire il sentiero e poi imboccai la biforcazione. Alla fine riuscii a raggiungere una delle latrine ma mi vidi davanti un enorme ragno, della grandezza e forma di una tarantola, che si accovacciò direttamente all’ingresso. Certo di non avere il coraggio di sfidare quel ragno sul suo territorio, capii che in qualche modo (e rapidamente) avrei dovuto trovare l’altra latrina, perché ormai il bisogno si faceva drammaticamente impellente.

Tornai dunque sui miei passi, alla ricerca di una diversa biforcazione che pensavo mi avrebbe condotto là. Improvvisamente mi ritrovai di fronte a un box doccia all’aperto e riuscii a capire che quello non era il luogo che cercavo. Però sapevo che l’altra latrina era vicina, così mi misi alla sua ricerca. Finalmente la intravidi in lontananza e, correndo all’impazzata, mi diressi là, ma solo per scoprire che un altro enorme ragno, una tarantola nera e pelosa, stava appostato nella stessa identica posizione del primo. Inorridito e confuso, controllai se per caso avessi semplicemente rifatto il giro finendo per ritrovarmi alla prima latrina. Dopo essermi orientato capii che quella era davvero l’altra latrina e che, ahimè, gli aracnidi giganti erano due. A quel punto non avevo scelta. Mi costrinsi ad avvicinarmi al ragno, che si acquattò, pronto all’attacco. Per mia fortuna saltò in un buco seminascosto sotto il pavimento della cabina. Io corsi dentro giusto in tempo per liberarmi. Non c’era tempo per rilassarsi però, perché nella mia immaginazione tutta la cabina pullulava di tarantole. Ne scannerizzai ogni anfratto, sempre consapevole del fatto che almeno un ragno fosse di certo in agguato dentro il buco sotto l’entrata, lì, a mezzo metro da me.

Appena potei uscii da lì e ripresi il tragitto per tornare alla capanna cerimoniale ma, non so come, deviai dal sentiero finendo per perdermi senza speranza fra le piante dell’orto botanico. Dopo un po’ cominciai a disperare di riuscire a fare ritorno. Mi ero completamente, irrimediabilmente smarrito, nonostante la superficie dei giardini non superasse l’acro [circa 4000 metri quadrati; N.d.R.]. Grazie al cielo vidi un fascio di luce e udii una voce che mi chiedeva dove fossi. Era uno degli assistenti di Pierre, incaricato di riportare indietro i partecipanti che, come me, si erano persi. Mi guidò tenendomi per il braccio e appena scorsi la capanna cerimoniale, un luogo che mi sembrava di non vedere più da anni, feci un immenso respiro di sollievo.

Una straordinaria serie di visioni

Mentre ero sdraiato nella mia postazione cominciai ad avere una straordinaria serie di visioni. Vidi una sorta di tempio davanti a me che mi suscitò il desiderio di entrare. Mentre mi avvicinavo, notai che era pieno di persone immerse nella luce più straordinaria, proveniente da un punto al di sopra di loro. Cercai di entrare, ma il tempio era talmente affollato di persone con le braccia tese sopra il capo per ricevere quella luce da non consentirmi l’accesso. Desideravo ardentemente percepire anch’io quella luce, tanto che spinsi per farmi largo, ma riuscii a esporre alla luce solo il lato destro del mio corpo. Quella luce squisita, di una sfumatura tra il rosa dorato e il bluastro, penetrava in me e io non avevo mai provato una tale beatitudine,

una tale gioia, sebbene non potessi riceverla completamente. Era come una manna celestiale, la luce della forza cristica, la potente presenza dell’Io Sono, la luce dei colori dell’arcobaleno per i buddisti. Non so per quanto tempo quella situazione fosse andata avanti, ma in un certo senso quell’esperienza mi cambiò la vita per sempre, perché a quel punto sapevo cosa significasse fare esperienza della pura essenza, senza alcuna traccia della mia personalità inferiore. Non c’era nulla che desiderassi di più che restare in quella luce per sempre. Tuttavia quella visione si affievoliva lentamente col passare dell’effetto della medicina e sentivo un senso di esultanza per aver provato una gioia simile e allo stesso tempo un senso di perdita per non essere più in contatto con quella sensazione. Non ho mai dimenticato che cosa si provava, né quanto io desideri riprovarlo ancora. Non ho alcun dubbio che mi accadrà, quando verrà il momento giusto. Si era trattato di un assaggio, un invitante assaggio dello Spirito, solo per attirarmi sul sentiero spirituale; ma non era stato sufficiente a farmi perdere di vista il mio compito qui, in questo mondo.

È interessante notare che ero riuscito a esporre alla luce solo il mio lato destro, quello maschile. Forse il mio lato femminile non aveva bisogno di essere guarito allo stesso modo. Sarà il tempo a dirlo, come sempre accade.

Quando, di primo mattino, scomparvero gli effetti dell’ayahuasca, uscii e mi sedetti insieme a Carlos sotto un albero enorme che irradiava tutta la magia di migliaia di lucciole, e le osservammo rapiti. Carlos, rimasto praticamente senza parole, riuscì a balbettare con tono reverenziale: «Papà, come riesci a fare questo più di una volta?». Grazie a quel commento compresi che la sua prima esperienza di stati alterati di coscienza gli aveva ispirato reverenza e che non l’avrebbe mai presa alla leggera. Parlammo per ore e sentii di aver sviluppato un nuovo legame con lui, ora che avevamo in comune un’esperienza di quella portata. Stava dando prova di avere una mente inquisitiva e percettiva, resa ancor più acuta dalla sua nuova esperienza. I giorni in cui mi rivolgeva solo borbottii erano ormai finiti. Molti anni dopo, mio figlio la considera ancora una delle sue esperienze più formative, che lo ha condotto verso moltissime altre avventure per conto suo. La definisce una fonte di ispirazione primaria per il suo lavoro di direttore e produttore di cartoni animati.

Più tardi il mio vecchio amico Ron, esperto di fauna selvatica, si unì a noi e fece affermazioni profonde sull’esperienza che aveva vissuto. Ci eravamo conosciuti in prima elementare e ora, moltissimi anni dopo, eravamo seduti nella giungla peruviana intenti a scambiarci pensieri ed emozioni. Una grande sensazione di amore sembrava avvolgerci tutti mentre osservavamo il cielo colorarsi di rosa all’arrivo dell’alba.

Quel giorno mi sedetti a chiacchierare con Pierre, che mi parlò delle diete a base di piante della giungla e mi disse anche che stava costruendo un complesso in un luogo più lontano e isolato, nel folto della foresta, dove poter seguire quelle diete con molta più privacy e intimità. Dal momento in cui ne parlò seppi che si trattava di qualcosa che volevo fare, tuttavia sarebbe stata un’esperienza personale, poiché ritenevo che non molti avrebbero accettato di accompagnarmi in una simile avventura. Quanto mi sbagliavo! Non trascorse molto tempo che mi ritrovai nuovamente in Perù per rifare l’esperienza.

Post scriptum

Talvolta ci si deve smarrire per potersi ritrovare. Perfino quando ci si è smarriti, esistono segni e simboli in attesa di insegnarci qualcosa di prezioso. La luce è la migliore amica di uno sciamano. Rivolgetevi sempre alla luce per trarne il nutrimento dell’essenza. Talvolta abbiamo bisogno di navigare nel buio per poter raggiungere la luce della verità. Ciò sembra scritto nel nostro processo evolutivo di esseri umani.

Perfino una parte di qualcosa di buono può essere fantastica.

Il desiderio di perfezione e di interezza a volte può impedirci di apprezzare ciò che si realizza nel momento presente.

Talvolta abbiamo bisogno di purificarci da qualcosa per poterci sentire liberati. Quella purificazione può avvenire in molti modi: energeticamente, simbolicamente o attraverso il vomito e l’evacuazione. In qualsiasi modo si manifesti, la cosa importante è che avvenga per fare posto ad altra essenza, altra conoscenza, altra bellezza, altro amore.

Un’ulteriore lezione appresa è questa: un’esperienza strutturata e sorvegliata a base di piante di medicina, se vissuta nel contesto adatto, può essere positiva per i giovani (meglio che farne una sulle strade urbane).

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2018

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