SALUTE E BENESSERE   |   Tempo di Lettura: 7 min

La Farmacoresistenza

Farmacoresistenza

Anteprima del libro "Antibiotici? No, Grazie!" di Gabriele Graziani e Luciano Graziani

Il trattamento per i farmacoresistenti

Poco dopo l’introduzione della penicillina negli ospedali, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, i ricercatori isolarono ceppi di Staphylococcus aureus resistenti. Già nel 1950 questi ceppi furono causa di malattia negli ospedali nei quali era stata usata in abbondanza la penicillina. La penicillina semi-sintetica meticillina introdotta negli ospedali nel 1960 è stata temporaneamente in grado di combattere le infezioni causate da ceppi resistenti di Staphylococcus aureus ma già due anni dopo, nel 1962, uno studio riferiva della comparsa di ceppi batterici ad essa resistenti.

Nel 1991 oltre il 40% dei ceppi di Staphylococcus aureus isolati nei grandi ospedali risultava resistente alla meticillina (i cosiddetti Staphylococcus aureus resistenti alla meticillina o MRSA) e alcuni di questi ceppi erano resistenti a tutti gli antibiotici, a esclusione della vancomicina.

Gli enterococchi resistenti alla vancomicina (VRE) sono invece batteri che risultano resistenti a tutti gli antibiotici approvati dalla FDA (Food and Drug Administration — Agenzia statunitense per l’approvazione dei farmaci) fino al 1994. Il 15% delle infezioni da enterococco nelle Unità di terapia intensiva risultava avere origine da ceppi resistenti sviluppatisi al di fuori delle Unità stesse.

A oggi, gli antibiotici rimangono un’arma efficace contro molte infezioni di origine batterica, tuttavia alcuni di essi non sono più in grado di combattere infezioni nei confronti delle quali essi erano efficaci fino a pochi anni fa. La diffusione dello Staphylococcus aureus meticillino-resistente e dell’enterococco vancomicino-resistente e la previsione che altri batteri svilupperanno resistenza nei confronti di pressoché tutti gli antibiotici, ci mette in allerta sul fatto che stiamo per entrare in un’era post-antibiotica.

Farmacoresistenza dei batteri

Nel 2013 nel mondo si sono avuti 480.000 nuovi casi di resistenza multipla al batterio della tubercolosi riscontrati in cento Paesi. Questo fatto sta a significare anche che i cicli terapeutici di trattamento della tubercolosi resistente sono più lunghi e costosi delle terapie standard.

Nel Sud-Est asiatico (regione del grande Mekong) è comparsa la resistenza al miglior trattamento disponibile contro la malaria da Plasmodium falciparum (terapia combinata con artemisinina).

Una gran parte della farmacoresistenza riguarda infezioni molto comuni in ogni parte del mondo (tratto urinario, infezioni del sangue, infezioni polmonari).

Si è avuto il fallimento dei trattamenti della gonorrea* anche con le cefalosporine di terza generazione. Questa infezione batterica risulta intrattabile in dieci Paesi. La gonorrea può diventare presto una patologia intrattabile dal momento che non sono in corso di sviluppo nuovi farmaci specifici.

Il trattamento terapeutico dei pazienti infettati da batteri farmacoresistenti comporta numerosi problemi e rischi. Tra i problemi possiamo annoverare quello di ricoveri ospedalieri più prolungati e di trattamenti terapeutici anch’essi più prolungati e costosi, per non parlare del disagio creato all’ambiente familiare del paziente.

Tra i rischi vi sono quello di un’evoluzione della malattia più complicata e in particolare un aumentato rischio di morte, come evidenziato dalla tabella seguente, tratta da un Rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sulla farmacoresistenza, pubblicato nel 2014.

La tabella evidenzia che la mortalità attribuibile a ceppi resistenti alle varie classi di antibiotici è doppia rispetto a quella attribuibile alle infezioni dovute a batteri non farmacoresistenti.

Già nel 2014, l’OMS rivelava, nel suo rapporto, che la farmacoresistenza non è una previsione per il futuro, bensì una situazione di fatto attuale che riguarda tutti i Paesi del mondo e che sta mettendo a rischio la capacità di trattare infezioni che si riscontrano abitualmente nelle comunità e negli ospedali.

Negli ultimi settant’anni gli antibiotici hanno svolto un ruolo importante nella cura delle malattie infettive. Sono stati utilizzati per tanto tempo e anche con forti abusi, tantoché i germi patogeni hanno sviluppato i loro meccanismi di difesa contro di essi rendendoli fortemente inefficaci. Gli individui con organismi resistenti agli antimicrobici affrontano degenze più lunghe in ospedale, una maggiore spesa e una più elevata probabilità di morte dovuta alle infezioni.

Ogni volta che l’antibiotico è somministrato in qualsiasi ambiente (uomo o animale) i batteri naturalmente evolvono sviluppando farmacoresistenza. La resistenza agli antibiotici fa parte del naturale processo di evoluzione dei batteri che può essere rallentato ma non fermato. Sono pertanto necessari sempre nuovi antibiotici per contrastare la resistenza dei batteri e anche nuovi test diagnostici per controllarne lo sviluppo.

Farmacoresistenza dei virus

A titolo di esempio citiamo la farmacoresistenza nei confronti dell’AIDS (HIV) e del virus influenzale. Nell’AIDS-HIV, la resistenza compare nei confronti dei farmaci antiretrovirali. Nel 2013 erano in trattamento antiretrovirale 13 milioni di persone; di queste 11,7 milioni appartenevano a Paesi a basso tasso di sviluppo. La comparsa di resistenza nei confronti degli antiretrovirali può raggiungere livelli tali da compromettere tutti i programmi di investimento sanitario per l’eradicazione dell’HIV.

Per quanto riguarda l’influenza, negli ultimi dieci anni i farmaci antivirali sono diventati rimedi importanti per il trattamento dell’influenza epidemica e pandemica. La causa della farmacoresistenza nei confronti 18 - Antibiotici? No, grazie

dei farmaci antivirali antinfluenzali è principalmente legata alla continua evoluzione dei ceppi virali influenzali. Dal 2012 tutti i virus influenzali di tipo A che colpiscono l’uomo sono diventati resistenti ai farmaci più usati per la prevenzione dell’influenza (amantadina e rimantadina).

Farmacoresistenza dei funghi

Il costante aumento delle micosi sistemiche realizzatosi negli ultimi anni è il risultato di molti fattori, primo fra tutti l’aumento dei pazienti gravemente immunocompromessi. Su tutti i malati di AIDS o quelli con riduzione severa di neutrofili in conseguenza di una chemioterapia, i trapiantati di midollo osseo o coloro che hanno subito un trapianto di altro organo o ancora quelli sottoposti a terapia immunosoppressiva.

Ma questo aumento è sicuramente correlato anche ad altri fattori come il frequente uso di procedure mediche invasive, le cure antibiotiche ad ampio spettro, l’utilizzo esagerato dei cortisonici, la nutrizione parenterale, l’emodialisi* e la dialisi peritoneale. I medicinali contro i funghi oggi disponibili per la cura delle micosi sistemiche possono essere classificati in funzione del meccanismo d’azione.

Il termine “resistenza” accostato alle infezioni provocate dai miceti è di uso relativamente nuovo. Con resistenza clinica si intende la persistenza* o la progressione dell’infezione nonostante la somministrazione di un trattamento antibiotico adatto. In pratica di tratta di un fallimento terapeutico. La resistenza microbiolo gica invece si dice primaria nel caso di microrganismi che non sono mai venuti a contatto con un determinato farmaco e secondaria o acquisita quando emerge solo dopo l’esposizione del microrganismo al farmaco in questione.

Prevedere come si concluderà un trattamento di una micosi sistemica è sempre molto difficile. La resistenza microbiologica in questo caso è solo uno dei tanti fattori che possono contribuire al fallimento della cura. Altri fattori sono correlati all’ospite: lo stato immunitario, il sito e la gravità dell’infezione, la scarsa conformità alla terapia. Altri sono riferibili alle peculiarità del medicinale stesso, come il dosaggio, il tipo di molecola, la farmacocinetica e le possibili interazioni con altri farmaci.

Questo testo è estratto dal libro "Antibiotici? No, Grazie!".

Data di Pubblicazione: 15 gennaio 2018

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