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Fisiognomica: noi siamo la nostra faccia

Fisiognomica: noi siamo la nostra faccia

Impara a comprendere cosa comunica il tuo viso e quello delle persone con cui ti relazioni leggendo l'anteprima del libro si Antonella Marangoni.

Nel volto c’è tutto

Ogni volto porta in sé un mondo d’informazioni uniche e preziose, ma non sempre ne siamo consapevoli.

Abbiamo scritto in faccia il nostro vissuto, le esperienze e le emozioni che ci hanno forgiato, i talenti e i limiti, anche quelli che non siamo riusciti a esprimere.

Il volto non è solo una superficie epidermica da mostrare al mondo come biglietto da visita. È molto di più. È un importante indicatore di ciò che siamo stati, che siamo e che potremo essere. Gran parte di quanto accade nella nostra vita è mostrato al mondo proprio dal volto, e i suoi segnali sono evidenti.

Nello splendido romanzo Gli amori infelici non finiscono mai di Isabella Borghese compare l’uomo senza volto, un personaggio che la giornalista romana introduce così:

«nel momento dell’incontro il viso di chi abbiamo davanti si trasforma presto in messaggi, emozioni, qualità, pregi e difetti. Sa parlare in silenzio quando la voce preferisce abbandonarsi alla riservatezza. Il viso di un uomo è la sua carta d’identità, il primo affaccio sul mondo. Con il tempo, ogni smorfia di un volto che al primo incontro è solo fronte, occhi, naso, guance, bocca e mento, e tutto quello che sa suscitare, si fa persona e identità. Ci racconta i suoi umori e i suoi tremori. L’uomo, insieme alla propria storia, è anche la sua faccia».

Trovo queste parole adatte al nostro intento, comprendere cosa comunica il nostro viso e quello delle persone con cui ci relazioniamo, consapevoli che conoscere in primo luogo noi stessi sia fondamentale anche per capire gli altri.

Padroneggiare una sorta di “morfo-chiaroveggenza” applicabile al viso potrebbe quindi diventare un canale interpretativo molto efficace.

Per fare questo è indispensabile non considerare ciò che compone il volto come un semplice insieme di tratti superficiali che, mescolati tra loro, formano la parte più esposta e vulnerabile del nostro corpo. E invece opportuno sviluppare una nuova concezione che ci porti a comprendere che ognuno di noi è scultore di se stesso e delle proprie forme e che quindi ci “rimodelliamo” in ogni momento della nostra preziosa esistenza.

Vedere la forma per percepire l’essenza che racchiude

Questo è il senso che daremo al nostro percorso. Durante il nostro viaggio alla scoperta della meravigliosa e affascinante superficie del volto umano vedremo, in modo semplice ma efficace, come tutto questo sia possibile.

In Anatomia e significati simbolici alla voce “faccia” si legge:

«derivato dal latino facies, il termine italiano ha un’estensione semantica minore rispetto a quello antico visto che questo significa, prima di tutto, “aspetto, apparenza”. Le accezioni racchiuse nella parola latina, però, sono molto più pertinenti rispetto a quella italiana, visto che in realtà la faccia è quella parte del corpo che ci rappresenta e ci presenta agli altri. Alla radice del termine, infatti, c’è il verbo latino facere che significa sì fare, ma anche rappresentare».

Nel dizionario della lingua italiana "faccia” è la parte anteriore della testa umana, dalla fronte al mento.

“Viso” deriva invece dal supino del verbo videre, “vedere”, e fa riferimento all’organo della vista.

Nel Dizionario dei simboli alla voce volto umano si legge:

«il suo simbolismo è collegato con quello della testa, però si arricchisce con tutte le possibilità inerenti all’espressione. Di per sé il viso simboleggia l’apparizione della realtà animica nel corpo [...] Simbolo dell’irradiazione della vita spirituale nell’essere umano, espressione dei suoi colori, il volto umano può essere sicuramente la più perfetta manifestazione del mondo visibile».

Userò dunque questi termini alternandoli, sempre con l’intento di descrivere e capire meglio la geografia di questi affascinanti luoghi: i nostri tratti somatici.

Nel volto si esprime la vita. Per questo è una superficie misteriosa attraverso cui esplichiamo funzioni che ci appaiono molto semplici e scontate ma che in realtà sono fondamentali per la nostra esistenza: mangiare, bere, respirare, conversare e inviare messaggi che ci identificano.

Legato al tempo che trascorre e agli stadi evolutivi della nostra esistenza, il volto esprime i nostri sentimenti ed emozioni più importanti quali gioia, dolore, rabbia, stupore. Eppure, fondamentalmente, conosciamo pochissimo il suo grande valore.

“Perché il volto?”, si chiede il giornalista e scrittore Daniel McNeill nel suo libro La faccia. Storia e segreti del volto umano, e afferma: «la risposta va cercata nell’evoluzione, che per l’anatomia è lo scrigno contenente il tesoro del significato».

E ancora:

«la faccia ha uno scultore bravissimo: si chiama ricerca del cibo. Per questo la bocca è sempre dominante [...] è il vano d’ingresso in cui un animale assimila il mondo, incominciando a trasformarlo da non sé a sé. La faccia umana vera e propria nasce in Africa alla fine di una grande era glaciale, 130.000 anni fa, con il moderno Homo sapiens. E' assai diversa persino da quella dell’uomo di Neanderthal, il nostro cugino più prossimo. Infatti, quando gli archeologi vogliono distinguerlo da noi, per prima cosa esaminano la faccia. Gli uomini di Neanderthal avevano l’arcata sopracciliare sporgente; noi abbiamo solo le sopracciglia. Loro presentavano un cranio a forma di luna [...] mascelle lunghe e strette, e denti massicci che usavano come morse. Avevano nasi simili a grandi erpici di carne e cavità oculari profonde; in pratica erano privi di mento. Ma soprattutto, conservavano un leggero prognatismo. La nostra faccia è piatta. Forse la scomparsa del prognatismo è l’aspetto più sconcertante dell’evoluzione».

La nostra faccia. La scrutiamo con poca benevolenza, alla ricerca dei segni del tempo che passa o di qualcosa che in apparenza non ci soddisfa, imputando la responsabilità al caso e all’ereditarietà familiare senza renderci conto che, se di responsabilità si deve parlare, questa è soprattutto nostra.

Al termine delle mie conferenze, amo citare questa frase di Albert Camus tratta dal romanzo La caduta, del 1956, che porta in sé un concetto su cui riflettere: «dopo una certa età, ognuno è responsabile della propria faccia».

A proposito di responsabilità, è pertinente ciò che scrive il docente di etica delle relazioni e della comunicazione, Furio Semerari, in Etica ed estetica del volto:

«il proprio volto ha effetti su chi lo guarda: effetti diversi (positivi o negativi, modesti o rilevanti, passeggeri o prolungati) a seconda non solo delle espressioni che assume, ma anche dello stato d’animo o della più generale e profonda condizione interiore di chi lo guarda. [...] Gli effetti di conoscenza, del resto, in generale s’intrecciano inestricabilmente con quelli psicologici, sono colti sempre secondo una determinata tonalità emotiva che affonda le sue radici nel vissuto personale di chi conosce. Ciò è tanto più vero quando oggetto di conoscenza è qualcosa che, come il volto, esprime, in maniera molto spesso immediata e diretta, un vissuto personale. Se il proprio volto ha effetti su chi lo guarda (dato facilmente e universalmente verificabile), si pone il problema di una responsabilità di ciascuno per il proprio volto e le sue espressioni, ovvero per quel che il proprio volto e le sue espressioni possono implicare in termini di condizionamento dell’esistenza altrui: si pone, o s’impone il problema di un’etica del volto proprio».

Fattori che determinano la formazione del volto

La formazione del volto dipende, ovviamente, da molti fattori. Vedremo come e in che misura il patrimonio ereditario ne è responsabile, considerando anche che le nostre peculiarità fisiche e psichiche sono continuamente permeate, favorite o inibite da molti fattori esterni tra i quali l’educazione, il clima, le relazioni, l’ambiente.

Quest’ultimo riveste una notevole importanza, poiché non è soltanto uno spazio costituito da cose e persone, ma è il luogo dove si vive e ci si misura con gli altri.

L’ambiente è quindi un insieme di stimoli che condizionano anche il nostro sviluppo psicofisico.

Anche l’ordine di nascita potrebbe avere la sua influenza sulla formazione del nostro percorso somatico. Freud, padre della psicoanalisi, sosteneva che l’ordine di nascita di un bambino nella sequenza di fratelli e sorelle poteva influenzare il suo percorso e rivestire una notevole importanza nel suo sviluppo.

Potremmo avere dunque attitudini e ruoli diversi secondo la posizione che rivestiamo all’interno della famiglia d’origine: per esempio, se siamo primogeniti, secondogeniti, figli unici e così via, e in base al sesso di appartenenza delle persone di un dato nucleo.

In termini di dimensioni e consistenza strutturale il viso raggiunge il suo massimo sviluppo nel periodo in cui l’essere umano ha più modo di consolidare le proprie esperienze e sfruttare le energie a sua disposizione, anche per situazioni concrete. Questo periodo è compreso tra i trenta e i sessant’anni, indicatore che può risentire della soggettività personale. Con il progredire dell’età andiamo incontro a un cambiamento biologico che riporta le nostre strutture a dimensioni più contenute. Sulla conformazione facciale influiscono quindi le condizioni esistenziali, sociali e ambientali. Lo spiega molto bene lo scrittore Friedrich Marker ne L’alfabeto della fisionomia.

«la lotta tra struttura psico-fisica e il destino dell’individuo, fra le tendenze istintuali e la gamma vastissima delle forze che vi si oppongono, contribuisce a dare al volto la sua forma esteriore in parte definitiva, in parte soggetta a mutamenti, che chiamiamo fisionomia. Alla formazione delle parti carnose del viso contribuiscono le tensioni che muovono la muscolatura nelle diverse funzioni, come masticare, lavorare, parlare, e nel manifestarsi delle varie emozioni di tipo fisico e psichico».

Anche il linguaggio agisce sulla formazione del viso, spiega sempre Marker nel suo libro, puntualizzando che:

«la pronuncia americana, ad esempio, richiede di spingere in avanti la mascella; tensioni muscolari più dure si riflettono sulla muscolatura e sulle ossa in modo ben diverso dai movimenti elastici richiesti dai suoni fluidi ed eleganti del francese. La particolare struttura di una lingua è (come la struttura corporea) una conseguenza delle qualità peculiari di un popolo. Ed entrambe si influenzano reciprocamente».

Sappiamo che la faccia è l’immagine più presente e percepibile del nostro corpo.

Dichiara indicativamente età, sesso, razza e il nostro benessere o malessere.

Sostiene la nostra identità. Fa bella mostra di sé persino su monete, banconote e francobolli, a conferma del suo grande valore, e ogni giorno, nel mondo, migliaia di scatti la ritraggono cogliendo le sue molteplici sfumature.

Contenitore capiente di tutti i nostri trascorsi e per tutte le nostre ambizioni, essa veicola messaggi restituendo un feedback colmo di significato.

Quando incontriamo qualcuno, la prima cosa che facciamo è guardarlo in volto, poiché esso ne custodisce la storia.

«Un viso è una persona che si affaccia: vediamo, per così dire, la persona attraverso la sua persona (nel senso latino del termine), il suo viso»: così scriveva un pilastro delle neuroscienze, il dottor Oliver Sacks. Nei momenti importanti, chiediamo ai nostri interlocutori di guardarci in faccia, e, in un bacio d’amore dolce e intenso, tendiamo a prendere tra le mani il volto della persona destinataria dei nostri sentimenti.

D’altro canto, la mimica è la prima forma di contatto tra la madre e il bambino.

Alcuni esperimenti hanno mostrato che i neonati, posti davanti a un foglio bianco e uno con un volto disegnato, hanno una reazione guardando il disegno.

Una delle massime esponenti in riconoscimento facciale, la psicoioga Vicki Bruce, sostiene che quando veniamo al mondo siamo già consapevoli della nostra faccia. E lo scrittore e giornalista francese Paul Brulat nel 1919 scriveva che i volti ingannano raramente e si ha l’anima del proprio volto e il volto della propria anima.

"Cambiare faccia" sta purtroppo diventando una moda

Si cerca di inseguire i canoni dettati da una società che ci vuole belli, giovani e attivi ad ogni costo.

Tendiamo a elaborare altre facce di noi, senza difetti, senza quel tratto che ci infastidisce, senza quel dettaglio che, invece, ci contraddistingue perché rappresenta qualcosa di personale che ci sembra scomodo mostrare.

Il fenomeno Facebook è indicativo del rapporto con il nostro volto. Lo fotografiamo cercando di evidenziare gli aspetti migliori, lo ritocchiamo con le applicazioni a disposizione e lo postiamo alla ricerca di consensi e apprezzamenti.

In questo modo rischiamo di allontanarci dalla vera conoscenza di noi stessi e degli altri.

Il viaggio verso l’accettazione delle nostre forme passa attraverso un percorso arduo fatto di un continuo confronto con l’immagine che vorremmo avere per piacerci di più, ma soprattutto per piacere di più agli altri.

Tutti noi possediamo bellezza e dettagli speciali anche se, a volte, i canoni ai quali aspiriamo hanno una fisicità diversa dalla nostra. Inseguiamo modelli che non hanno le nostre fattezze e spesso siamo critici quando ci osserviamo allo specchio. Il grande cantautore Fabrizio De André sosteneva che la fatica di guardarsi allo specchio è quella di dover corrispondere a un ricordo migliore.

Ho conosciuto una persona che ogni giorno, specchiandosi, esaltava la propria bellezza, peraltro piuttosto comune, con frasi positive e benevole.

Ebbene, questa persona, rivista a distanza di molti anni, conservava freschezza e armonia nei tratti del proprio amatissimo volto.

Si dice che la positività aiuti in tutte le situazioni e che il pensiero crei: credo che questi due stimoli, uniti anche ad altre componenti, abbiano contribuito al mantenimento dell’aspetto fisico che desiderava.

Se crediamo, come dice lo scrittore americano Denis Waitley, che la vita sia un’autoprofezia che si autoavvera, possiamo proiettare i nostri desideri e andare verso il loro soddisfacimento anche quando riguardano aspetti di noi che vogliamo valorizzare. L’incontro con quella persona mi è stato di esempio, anche se, onestamente, non sono mai riuscita a emulare l’efficace pratica mattutina da lei eseguita abitualmente.

Ho lavorato e sto lavorando molto, però, per osservare, capire e dare un valore a quella che io credo sia la parte più esposta e significativa di me.

Molto spesso penso che, se non avessi avuto l’opportunità di incontrare menti insolite che in primis hanno colto l’importanza di questo studio e lo hanno divulgato, mi sarei persa un viaggio appassionante e stimolante continuando a guardare il mio volto e quello delle persone che mi circondano con un approccio totalmente diverso da quello che ho imparato strada facendo.

Ricordo, però, di essermi emozionata in passato ascoltando una canzone di Franco Battiate, dal contenuto intenso quanto raffinato, che racchiude nei suoi versi un’analisi morfologica molto precisa: «leggo dentro i tuoi occhi da quante volte vivi, dal taglio della bocca se sei disposto all’odio o all’indulgenza, nel tratto del naso se sei orgoglioso, fiero, oppure vile». Fisiognomica è il titolo dell’album dal quale è tratta la canzone omonima ed è proprio da quest’antica scienza che inizieremo insieme il nostro percorso, mettendo ordine tra emozioni e cognizioni.

Mi auguro sia, per chi legge, un’esperienza esplorativa straordinaria come lo è stata per me; come scrisse Krishnamurti: «dimenticate tutto quello che sapete su voi stessi, dimenticate tutto quello che avete pensato di voi. Cominceremo come se non sapessimo niente».

Data di Pubblicazione: 25 marzo 2019

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