SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO   |   Tempo di Lettura: 7 min

Gli enigmi dell’origine del nome “Elohim”

Gli enigmi dell’origine del nome “Elohim”

Mauro Biglino e Massimo Barbetta ci aiutano a capire da dove proviene la parola "Elohim" e gettano un po’ di luce sui segreti connessi alla loro stessa essenza.

Gli enigmi dell’origine del nome “Elohim”

Il nome generico della divinità ebraica, citata innumerevoli volte nell’Antico Testamento, fin dal primo versetto della Genesi, è “Elohim”, che, così come sembra essere strutturato lessicalmente, è il plurale maschile del termine “El" o “Eloh”, a cui viene aggiunta la desinenza del plurale “-im”.

La traduzione semantica, formalmente, sarebbe, pertanto, “Dei”, mettendo in crisi, potenzialmente, già su basi linguistiche e lessicali, la sussistenza del monoteismo, apparente caposaldo teologico della religione ebraica.

Certezza monoteistica?

Dobbiamo rilevare che quello che è stato fatto diventare un caposaldo della religione ebraica, in realtà, non può essere considerato come un elemento monolitico, saldo, assodato e non discutibile.

La questione è infatti dibattuta anche in abito rabbinico e proprio su base biblica.

Nel testo Esodo Shemot (Rav Shlomo Bekhor, Avigail Hadad Dadon) si analizza la preghiera fondamentale dell’ebraismo, lo “Shemà Israel’ (“Ascolta Israele”) riportata in Deuteronomio 6, 4 e seguenti che recita così: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore...».

Altre traduzioni, al posto di “Unico” traducono “Uno solo”, ma il testo citato della casa editrice ebraica mette in evidenza una questione di ordine linguistico, che pone in discussione questa presunta certezza monoteista.

Nel commento specifico, riservato a questa preghiera fondamentale per l’ebraismo, leggiamo, infatti, testualmente:

«A questo proposito, è necessario capire dapprima una ben nota difficoltà riguardo allo “Shemà”, in cui si afferma che Dio è uno, ma non che è unico; il termine uno è, infatti, un aggettivo che si attribuisce a qualcosa che si può contare; è compatibile con un secondo. Unico, invece, esclude la possibilità di altri elementi».

Prosegue, poi, spiegando che l’unicità non deriva dall’esclusione dell’esistenza di altri elementi, bensì dalla consapevolezza che l’esistenza del mondo è un tutt’uno con l’esistenza del creatore, introducendo, così, un concetto tipicamente panteistico o immanentistico e richiamando la dottrina del filosofo Spinoza (“Deus sive natura ’) che, nel corso dei secoli, fu fortemente contrastato e ostracizzato.

Altra importante affermazione che nega la visione monoteistica, tradizionalmente trasmessa, si trova negli scritti di uno del massimi esegeti ebrei contemporanei, il prof. Emanuel Tov, il quale documenta ( Textual Criticism ofthe Hebrew Bible, Augsburg Fortress Press, USA 2001) che i termini “Elyon”, “El” e “ Yahweh” (tradizionalmente riferiti allo stesso unico presunto Dio), in realtà, non sarebbero modi diversi per indicare il Dio di Israele, ma corrisponderebbero a tre distinti individui e che la Bibbia parla apertamente di assemblee degli “Elohim’: è persino banale osservare che le assemblee presuppongono, notoriamente, una pluralità di partecipanti, che, in questo caso, sono tutti “Elohim”, vocabolo con il quale l’esegesi monoteista indica il presunto Dio unico. Infatti, sostiene l’esegeta, questi termini rappresentano nomi di divinità conosciute anche in ambito ugaritico e cananeo.

Per la questione della possibile reale natura degli “Elohim” e della loro innegabile pluralità, rimandiamo alla scheda posta al termine del capitolo dedicato a questi individui, dalla natura così apparentemente controversa, altrettanto discussa, ma biblicamente chiara.

Elohim: uno o più di uno?

Poiché in diversi passi biblici il vocabolo “Elohim” ha il verbo reggente al singolare, si è scatenata una vera e propria querelle fra ebraisti, esegeti biblici e linguisti, su come poter conciliare questa incongruenza lessicale.

Esiste una possibile spiegazione glottologica, che intende il vocabolo “Elohim” con la stessa accezione dei termini italiani “Gente” o “Popolo” (corrispettivi dell’inglese “People”) che, pur essendo singolari, e richiedendo, grammaticalmente, il verbo al singolare, si riferiscono a una pluralità di individui, intesi come una comunione di soggetti che condividono, fra loro, struttura, caratteristiche fìsiche, psicologiche e intenti. Tale delucidazione, tuttavia, non ha convinto i fervidi sostenitori del monoteismo. Essi, per tal motivo, hanno così ipotizzato che il termine “Elohim” fosse un misterioso “plurale di maestà” o un “plurale di astrazione”.

In realtà, come evidenzia Howard Schwartz, per gli ebrei la presenza di più individui, soggetti o agenti, all’interno del termine “Elohim” era un dato consolidato. Egli afferma, infatti, che la creazione dell’“Adam”, ad esempio, fu dovuta a quattro agenti, intesi quasi in senso simbolico: il Cielo, la Terra, le Acque e lo stesso Dio.

Secondo Filone Alessandrino Dio disse, riferendosi a questi tre elementi:

«Nessuno di voi è in grado di produrre da solo questa creatura (l’Uomo). Tutti voi dovete unirvi e io mi aggregherò a voi. Insieme faremo l’uomo».

Questo significherebbe che, se è vero che Dio ha avuto bisogno di tre assistenti virtuali, Cielo, Terra e Acque - intesi come principi, o “Elohim” minori - per creare se stesso, in qualche modo avrebbe dovuto prima ancora creare tali principi.

Non dimentichiamo, inoltre, che, secondo la Ghimatria - scienza teologica legata alla Kabbalah, che usa attribuire a ogni lettera ebraica un numero, esaminando ogni parola dal punto di vista del numero che si ottiene sommando le singole lettere che lo compongono - il nome “Elohim ’ corrisponde al numero 86.

Tale numero, peraltro, è lo stesso che si ottiene dalla somma delle lettere che compongono la locuzione “Keli Yahweh”, il “Vaso di Yahweh”.

I “Vasi”, intesi come “recipienti”, sono spesso abbinati al mondo ebraico della “Manifestazione” o dell’aspetto esteriore e sono espressione degli “Olamim”, i “Mondi” (in numero di trecentodieci), sequenzialmente creati da Yahweh nell’Universo, e poi distrutti. Quest’evento si inserirebbe in quell’importante e misterioso fenomeno cosmogonico che è la “Shevirat Ha-Kelim”, la “Rottura dei Vasi”, di cui avremo modo di parlare in seguito.

Per tal motivo il “Vaso di Yahweh”, sinonimo numerico, su base Ghematrica, del termine “Elohim”, potrebbe riferirsi alla manifestazione esteriore dello stesso Yahweh, inteso perciò, anche a livello lessicale, come uno degli “Elohim”.

Un vero dilemma, tuttavia, è cercare di identificare l’etimologia da cui possa essere derivato il termine “Eloh” o il suo plurale “Elohim”. Infatti, nonostante anni di studi e di ricerche, gli esegeti e i filologi ebraici di tutte le epoche non sono riusciti a giungere a una soluzione conclusiva, univoca e dirimente. Si è così creato un ventaglio di ipotesi sui possibili termini che potessero agire da “Quelle” (“Radice, fonte”, per dirla con gli autori tedeschi), del vocabolo “Elohim”.

In ogni caso, nessuno di questi possibili vocaboli “fonte” ha assunto dignità e priorità particolare sull’altro, ma non è da escludere - per lo stesso aspetto polisemico della lingua ebraica e per le sue intrinseche connessioni ghematriche di stampo kabalistico - che ognuno di questi termini contribuisca a fornire un segmento di verità sull’articolata primigenia eziologia del termine “Elohim'. Ma non solo, ognuno di questi potenziali termini “radice” potrebbe contribuire a gettare un po’ di luce su alcuni enigmi e segreti connessi all’essenza stessa degli “Elohim”, fornendo nuove chiavi interpretative sul luogo celeste da cui essi provengono; su strane evidenze inerenti porte, portali o elementi architettonici legati ai loro spostamenti; su particolari alberi che richiamano, idealmente, “l’Albero della Conoscenza” o “della Lunga vita”, all’interno del “Gan Eden” e, infine, su animali simbolici a loro connessi.

La collazione globale fra tutti questi termini consentirebbe, perciò, quasi una replica del tema finalistico e cosmologico della mistica ebraica - nota come “Laqath Natsatsot”, “(Ri)unifìcazione delle scintille” - che cercava di ripristinare le singole “Scintille” della luce primigenia, sparse dopo la “Rottura dei Vasi” (“Shevirat Ha-Kelitri'). Ogni singola “fiammella”, o termine “origine”, contribuirebbe a creare una visione globale degli “Elohim” stessi.

Data di Pubblicazione: 24 gennaio 2019

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