SELF-HELP E PSICOLOGIA

Guarisci il Tuo Passato Cambia il Tuo Futuro - Anteprima del libro di Maria Grazia Parisi

Come e perché il passato ci continua a condizionare (anche se non ce ne accorgiamo)

Come e perché il passato ci continua a condizionare (anche se non ce ne accorgiamo)

Risanare il passato per vivere senza paura">

Risanare il passato per vivere senza paura

Il passato è ciò che forma il nostro bagaglio di esperienze e ci dà modo, replicando ciò che abbiamo imparato, di semplificare le nostre interazioni con il mondo. Può però essere anche ciò che ci condanna a rimanere legati a schemi di reazione che magari, in certi momenti della vita, ci hanno apparentemente o momentaneamente tolto dai guai, ma che, in altri frangenti, ci bloccano come un criceto sulla ruota, impedendoci di lasciare andare paure ormai inutili.

Queste paure tossiche si esprimono in tantissimi modi, ma sono accomunate dalla capacità di impedirci di esprimere il nostro vero potenziale nei diversi settori della nostra vita, da quello affettivo e relazionale a quello lavorativo e, non ultimo, quello della crescita spirituale.

Quando non è realmente presente un pericolo, una minaccia o la necessità di trovare ristoro immediato (cioè una paura o un’esigenza «vera» e perciò sana), l’automatismo di reazione emozionale di origine biologica, se non è appropriatamente gestito, può causare profonda e duratura sofferenza psichica (e addirittura fisica).

Fobie, ansie, preoccupazioni, incapacità di essere coerenti e conseguenti con i propri obiettivi, confusione, mancanza di incisività e di autostima, sensazione di essere vittime o colpevoli, problemi di relazione con gli altri e con se stessi, sono solo alcune delle conseguenze della discrepanza tra ciò che vorremmo fare, o ottenere, e ciò che ci ritroviamo effettivamente a vivere.

Sono queste le occasioni che ci fanno dire: «Non so che farci», e che ogni volta ci fanno sentire incapaci di cambiare la realtà e scontenti. Gli schemi emotivi del passato sono infatti sempre presenti e lavorano anche non richiesti. La volontà, da sola, non può fare molto per modificarli, sul momento, se non con immensi e ripetuti sforzi.

Recuperare le informazioni mancanti

Il pensiero razionale, che siamo soliti tentare di usare in queste circostanze, non è purtroppo lo strumento più indicato, rapido ed efficace per l’immediata gestione delle emozioni.

Per il meccanismo di salvaguardia generale dell’organismo, infatti, quando un’emozione è in atto viene interrotto (o perlomeno reso difficoltoso) il passaggio di informazioni alla componente cognitiva del cervello, e sono posticipati anche eventuali contromisure o contrordini. Possiamo, in effetti, sforzarci di pensare a cosa fare di diverso, questa volta o la prossima, ma se l’emozione è ormai partita la vivremo comunque e, probabilmente, il più delle volte non ci rimarrà che esclamare: «È più forte di me!»

Ciò che può invece servire è introdurre, o mantenere, la capacità di riconoscere correttamente l’emozione (che è, in sostanza, dazione che ci accingeremmo a compiere per proteggerci o mantenere l’equilibrio). Non si tratta quindi di combatterla ma di comprenderla e poi, se non è ritenuta utile, lasciarla andare.

Uno strumento assai efficace per fare questo, una volta percepita l’emozione, è rispondere a due domande: 1. Che emozione sto provando? 2. Se fosse lasciata completamente libera di agire, cosa vorrebbe farmi fare questa emozione? In questo modo forniremo le informazioni prima mancanti alla componente cognitiva, soffermandoci sul significato difensivo o compensativo dell’azione indotta dall’emozione.

Anche se possono sembrare informazioni banali e apparentemente non risolutive, permettono invece in breve tempo alla componente cognitiva di ritornare a ragionare, peraltro non in semplici termini intellettuali (che in quel frangente sarebbero inascoltati e inutili, o addirittura controproducenti), ma aggiornando la valutazione complessiva della situazione con conseguenze immediate, concrete e reali, riguardo alla necessità o meno di continuare l’azione che il corpo voleva intraprendere.

Per facilitare ulteriormente il rilascio dell’energia emotiva in eccesso possiamo aggiungere una sorta di potente «distrazione» della componente emotiva del cervello, ottenuta attraverso un semplice trucco neurologico (che vedremo a p. 26). Dopo pochi secondi dalla momentanea «sospensione» della reazione emozionale così ottenuta, comparirà infatti spontaneamente (e senza sforzo ulteriore) la rivisitazione più attuale ed evoluta del significato della situazione, e un nuovo atteggiamento e un nuovo comportamento complessivo. Quest’ultimo stavolta sarà frutto della capacità di deliberare (e quindi della libertà) del soggetto più che delle sue reazioni standard, e fornirà con ogni probabilità anche un’esperienza positiva e rafforzante per la personalità e un deciso aumento della consapevolezza di sé.

Forse è fin troppo facile!

Dopo anni di pratica e insegnamento di tecniche ultrarapide per sciogliere «daH’interno» le emozioni vincolanti e condizionanti, ho notato che spesso le persone, dapprima motivate dalla propria sofferenza a liberarsi velocemente di quanto le blocca e le schiaccia, si accontentano di arrivare a una risoluzione parziale del malessere.

Una volta ottenuto quello che consente loro di tirare avanti con il minimo del disagio (o avendolo addirittura azzerato), talvolta si fermano, quando invece potrebbero ottenere ben altro - un benessere maggiore, più profondo e stabile; una più acuta consapevolezza e padronanza di sé; un’attitudine più rilassata e gentile nei confronti di se stessi e degli altri, per non elencare che alcuni vantaggi - semplicemente accettando di andare oltre la semplice fine del problema che li ha spinti a cercare una soluzione rapida, efficace e il più possibile indolore.

Credo che questo atteggiamento sia in buona parte frutto di una sorta di condizionamento collettivo da parte dei modelli culturali e sociali correnti, che fa in modo che non ci venga sempre spontaneo assumerci in pieno la responsabilità del nostro benessere e della nostra vita, cioè del nostro reale potere. Portare fino in fondo la consapevolezza di tale potere (e responsabilità) richiede di non cercare scuse o vie di fuga, ma di prenderci davvero cura e carico di noi stessi, sapendo che è la nostra visione delle cose, prima ancora delle cose in se stesse, a poterci far stare bene o male.

Per ottenere ciò occorre impegnarsi ogni giorno a risolvere la maggior parte delle emozioni e situazioni negative. A questo impegno di più costante lavoro su di sé sono maggiormente predisposti coloro che hanno provato e sopportato grandi crisi e non vogliono più tornare sui propri passi, le persone che fanno del cambiamento guidato una professione (per esempio gli psicoterapeuti, i counselore chi svolge professioni dedicate all’aiuto), e quelle che cercano in modo consapevole un metodo di crescita personale.

Forse il problema per chi ha sperimentato questi esercizi, capaci di sciogliere le emozioni che generano sofferenza inutile, è che appare fin troppo facile, una volta presa confidenza con essi, liberarsi in poco tempo e stabilmente di quanto ci ha fatto soffrire per lunghi periodi. Perciò, possiamo essere tentati di «assumerli» solo al bisogno, quasi fossero un analgesico, tornando poi al nostro consueto modo di funzionare, di pensare e di comportarci. Ma, così facendo, stiamo rinunciando a uno strumento di grande forza e potere: la capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni, senza reprimerle.

Secondo alcuni, questa sorta di resistenza - comune a qualunque percorso di autoconoscenza - è dovuta alla naturale tendenza dell’ego di autoconservarsi perché la fine della paura tossica coinciderebbe con la sua morte. L’ego, quindi, si ribellerebbe alla sua stessa fine facendo in modo che la persona si dimentichi di avere sempre con sé un potente strumento di autoconoscenza e, quindi, di autoguarigione.

Il mio parere a questo riguardo è leggermente diverso. Interpreto infatti la funzione dell’ego non come una sorta di Mr Hyde nascosto dentro di noi e pronto a farci lo sgambetto, ma alla stregua di un riflesso nervoso di salvaguardia: a volte serve, a volte - la maggior parte, nel caso di un adulto - intralcia.

Per quanto concerne le emozioni - altri riflessi nervosi di salvaguardia, se vogliamo - sappiamo per certo che il miglior modo di gestirle non è sopprimerle, o peggio reprimerle, ma comprendere il loro ruolo, onorarlo e poi lasciare che si esauriscano quando non è il loro momento. Così può essere per le cosiddette «resistenze dell’ego»: vogliono sempre salvaguardarci da qualcosa, di solito il timore di una nuova sofferenza. Una volta preso atto di questo, si possono tranquillamente lasciare andare nel momento in cui abbiamo scoperto il loro ruolo e compreso che non ci serve, non ci interessa e non ci appartiene più. Riconoscendo e lasciando andare ogni paura, la resistenza stessa si risolve.

Cosa possiamo aspettarci dalla fine delle paure tossiche

Se abbiamo deciso di intraprendere un serio percorso di deprogrammazione dal nostro passato, e di conseguenza dalle paure tossiche che abbiamo incontrato, possiamo aspettarci alcuni cambiamenti che diventeranno via via sempre più stabili e durevoli:

  • Minore necessità di difendersi.
  • Minore necessità di dimostrarsi in gamba o superiori.
  • Più fiducia in se stessi e nel mondo.
  • Maggiore capacità di provare gioia e gratitudine.
  • Accettazione, rispetto e apprezzamento di sé.
  • Accettazione, rispetto e apprezzamento degli altri.
  • Più tolleranza e pazienza, senza eccessivi sforzi per raggiungerla.
  • Più libertà dalle opinioni e dalle aspettative degli altri.
  • Maggiore percezione del proprio ruolo e più chiara direione della propria vita.
  • Minore fatica a trovare la propria strada e a seguirla.
  • Maggiore capacità di comprensione degli altri e del loro punto di vista.
  • Aumentata capacità di empatia e migliori relazioni affettive e lavorative.
  • Più apertura mentale e affettiva.
  • Maggiore capacità di riflessione e di equilibrio.
  • Minore o nessun tempo passato a rimuginare e a preoccuparsi.
  • Maggiore capacità di lasciare andare le proprie reazioni obsolete e negative.
  • Sempre minore tempo passato in uno stato emotivo avverso.

Nel tempo, ciò potrà portare anche a:

  • Fine della dipendenza da cose e persone.
  • Maggiore successo nelle proprie iniziative, senza doversi sforzare di essere o di apparire.
  • Minore interferenza da parte del proprio ego.
  • Maggiore libertà di espressione di sé e di autodeterminazione nelle relazioni e, in generale, con gli altri.
  • Aumento della spontaneità e simpatia.
  • Rafforzamento dell’immagine di sé.
  • Aumento della soddisfazione e della percezione del proprio successo personale.
  • Facilità al perdono e a liberarsi di pesi del passato, propri o altrui.

In chi lo desidera ed è predisposto:

  • Deciso aumento della consapevolezza di sé e della capacità di sentire l’appartenenza a un «Tutto» dotato di senso e trascendenza.
  • Intensificazione della capacità di provare gratitudine e amore incondizionato.
  • Emozioni e libertà. Dalla biologia all’evoluzione consapevole
  • Che cosa sono le emozioni e perché ci fanno bene (e male)

Le emozioni sono una di quelle cose che ci salva la vita o contribuisce a distruggercela; forse la più importante. Nessuno può esserne esente, anche chi è testardamente convinto di non sentirle o di poterne fare a meno. Sono il prodotto di un processo di adattamento antico quanto la vita sulla Terra. Rappresentano le risposte più immediate e istintive deputate a farci reagire nel modo più utile a prolungare la nostra esistenza e quella della nostra specie.

Chiunque sia vivo, perciò, deve provare emozioni. Le emozioni sono azioni e comportamenti che vengono espressi su una base innata e biologica. Nessun animale, tantomeno noi, ha bisogno di imparare i comportamenti che hanno a che lare con la sua sopravvivenza. Sono iscritti nella sua struttura e natura: tutti veniamo al mondo con un ventaglio di possibili azioni istintive per la nostra difesa e il nostro equilibrio. Paura, rabbia, ma anche il congelarsi e il bloccarsi di fronte a una situazione sconosciuta o un pericolo, non hanno bisogno di istruzioni particolari per essere messe in atto al momento giusto. Ci accadono, e basta.

La maggior parte degli esseri viventi si limita ad applicare, nella sua vita, quanto è già più o meno scritto nel suo DNA: cosa mangiare, quali pericoli evitare, quando e con chi accoppiarsi. È come se avesse delle linee guida, o una specie di pilota automatico che la governa e la obbliga a scegliere di volta in volta ciò che l’evoluzione ha escogitato per la sopravvivenza della sua specie.

Una tartarughina appena nata sa già che deve affrettarsi verso il mare, anche se non l’ha mai visto e nessuno le ha spiegato che è necessario per la sua sopravvivenza. È da subito al massimo della sua efficienza, non deve imparare a nuotare, né a distinguere cosa è buono da mangiare e cosa no. In ogni frangente saprà per istinto quali comportamenti sono più adatti, da cosa stare alla larga e cosa è bene per lei e la sua specie. Però passa la vita a fare ben poco altro. E, soprattutto, la sua libertà di cambiare quanto la natura ha stabilito è veramente minima.

Emozioni e creatività

Noi, no. Siamo, in origine, molto meno programmati della tartarughina, nasciamo «ignoranti» del mondo ma anche più liberi e, diciamocelo, più creativi. A differenza di altri animali, anche se condividiamo con loro la possibilità di esprimere i comportamenti emotivi, dobbiamo imparare quasi tutto riguardo a quali situazioni richiedono una certa reazione e quali no. Non lo sappiamo quasi mai in anticipo, ma almeno possiamo incuriosirci e sperimentare.

Avere meno programmazione innata e più esperienze soggettive da compiere equivale alla possibilità di dare significati e valori inediti agli oggetti che ci circondano, e anche di cambiarli dal loro stato originario. È così che impariamo cose nuove e che riusciamo anche a modificare il nostro ambiente.*

Questo ci dà un vantaggio sulle altre specie: possiamo infatti padroneggiare molte cose e situazioni che altri animali, per istinto, rifuggirebbero. Dominiamo il fuoco, la velocità, voliamo in cielo, andiamo sott’acqua e persino nello spazio. Riusciamo addirittura a convincere altri animali, piante e l’ambiente stesso a spingersi oltre i loro limiti naturali: li addomestichiamo, li modifichiamo, li sfruttiamo economicamente. Insomma, li condizioniamo a nostro vantaggio.

Un’altra caratteristica dell’essere uomini è il nostro apprendimento in continuo divenire. Ci insegniamo l’un l’altro, con l’esempio e la capacità di imitazione, praticamente per tutta la vita. Ogni cosa che qualcuno di noi impara, infatti, può essere trasmessa ed entrare a far parte di una cultura condivisa.

Tutto questo è un bene, perché così possiamo imparare quasi tutto da tutti: il nostro limite è dato solo dai confini della nostra immaginazione e della nostra capacità di fare associazioni mentali. Inoltre, non avendo praticamente veti innati, per qualunque problema siamo, almeno in teoria, in grado di trovare soluzioni inedite, mai sperimentate dalla natura.

In realtà, però, questa faccenda di non avere veti, istruzioni o paure innate è anche un’arma a doppio taglio. Infatti, se ogni cosa che incontriamo è, almeno in origine, teoricamente neutra, e se la massima parte del nostro personale addestramento viene effettuato dal contatto con i nostri simili e dal tipo di esperienze che facciamo, da un lato siamo continuamente esposti all’apprendimento, dall’altro subiamo anche un vero e proprio condizionamento.

Sarò più esplicita: l’apprendimento non è altro che una forma vantaggiosa di condizionamento. Quando impariamo a leggere o a scrivere, o una lingua straniera, o a ballare, a guidare l’auto o la bicicletta, condizioniamo il cervello a rispondere a certi stimoli in un modo particolare. Man mano che il cervello forma nuovi collegamenti dedicati a queste attività potremo padroneggiare il condizionamento/apprendimento per trarne profitto. Dopo un po’, non dovremo neanche più pensarci; anzi, saremo tanto più bravi quanto più ci verrà naturale mettere in atto ciò che abbiamo imparato senza prestarvi l’attenzione che gli dedicavamo all’inizio. E questo vale praticamente per ogni attività.

Può però succedere che ciò che è utile in una particolare circostanza porti svantaggio quando le condizioni cambiano - quando varia il contesto, insomma.

Se hai imparato che nasconderti (per evitare un problema o una certa persona) ti fa stare meglio, non sarà un grande affare rimanere defilato anche quando sarebbe meglio e utile metterti in luce o impegnarti per risolvere la situazione.

Se hai imparato che urlare più forte di tutti ti può evitare un conflitto, ci saranno volte in cui lo scatenerai proprio urlando.

Se hai imparato ad alleviare un disagio usando una certa sostanza o un certo comportamento, sarai esposto al rischio di diventarne dipendente.

Questo testo è estratto dal libro "Guarisci il Tuo Passato Cambia il Tuo Futuro".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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