SAGGI E RACCONTI   |   Tempo di Lettura: 9 min

I Tatuaggi della Dea - Anteprima del libro di Michela Zucca

Un linguaggio cifrato che risale alla notte dei tempi

Metodologia

Fare ricerca vuol dire tentare di ricostruire una storia che abbia un senso, ovvero cercare le tracce di una pratica - di una società, di una cultura, di un’idea, di una credenza, di un mito - e situarla nello spazio e nel tempo, dandole una motivazione plausibile. Bisogna avanzare una serie di ipotesi sulla base delle evidenze raccolte, rifuggire dall’ideologia basandosi per quanto possibile sul metodo scientifico e adottare la regola che, in assenza di altre spiegazioni accertate, la più semplice e più evidente è quella da preferire.

La costruzione storica, infatti, soprattutto quella che riguarda la storia antica in cui le fonti documentarie sono rare e lacunose, è piegata da una parte alla volontà ideologica di dare un senso e una giustificazione alla società patriarcale, classista, metropolitana, stanziale e accentrata che ha preso il potere negli ultimi secoli (la maggioranza della cultura accademica); dall’altra al tentativo di identificare nel passato un’età dell’oro in cui, assieme al patriarcato e alla proprietà privata dei mezzi di produzione, si possono eliminare anche la guerra e la violenza (certa parte dell’ideologia femminista e della sinistra “buonista”).

In questa ricerca, nei limiti delle possibilità umane e tenendo conto dei condizionamenti dati dalla provenienza e dall’appartenenza culturale del ricercatore, si cercherà di lavorare sull’evidenza, avanzando di volta in volta ipotesi basate sul principio della semplicità e associando fra loro punti di vista diversi in un’ottica pluri e multi disciplinare. Lo studio, anche di fatti lontanissimi, deve essere strettamente collegato al contesto territoriale e alla cultura locale. In altre parole, l’archeologia va confrontata con l’antropologia, con la mitologia, con la persistenza di miti, tradizioni e pratiche, con la toponomastica e la linguistica, in un’ottica che fu sperimentata, per prima, da Marija Gimbutas, ma che negli ultimi anni è andata via via arricchendosi anche di altri contributi. Si pensi, ad esempio, all’apporto delle scoperte sulla diffusione del genoma umano per evidenziare le migrazioni dei popoli nell’antichità, e alle continue ricerche archeologiche e antropologiche che rimettono in luce fatti e ritrovamenti prima trascurati e sottovalutati, specie dal punto di vista di genere.

Bisogna lavorare come a un puzzle, costruendo le tessere organiche di un mosaico che, seppure lontane fra loro a livello spaziale, temporale e disciplinare, diventano congruenti nella narrazione di una vicenda (nel nostro caso il tatuaggio sacro femminile) che ha lasciato tracce significative individuabili fino a non molto tempo fa.

Le evidenze archeologiche

Almeno finora, le evidenze archeologiche inequivocabilmente

riferibili al tatuaggio sono molto scarse e distanti fra loro nel tempo e nello spazio, e anche la documentazione letteraria degli autori classici, che per lo più non conoscevano questa pratica o, se la conoscevano, spesso ne erano disgustati, presenta molte lacune a riguardo. Per questa ragione è necessario estendere la ricerca agli ambiti che conservano, fino ai nostri giorni, le tracce di questo tipo di tradizione, per costruire un cammino a ritroso che consenta di identificare le origini e la simbologia connesse all’usanza di modificarsi il corpo in maniera permanente.

Questa ricerca, oltre a evidenziare il legame tra i rituali di body art e la venerazione della Terra intesa come “Madre universale”, vuole sottolineare la connessione fra la spiritualità femminile e la simbologia arcaica associate alla religione della riproduzione, la quale ha nelle Madri il suo fulcro fondamentale ma che persiste ancora sotto forma di venerazione della Madonna. Fino a pochi decenni fa, infatti, la pratica del tatuaggio nei santuari mariani e in molte zone dell’Est europeo era collegata proprio alla Madre di Dio.

In quest’ottica, diventa essenziale il passaggio dalle culture primitive matrifocali, ossia di matrice materna, alle culture storiche del patriarcato. “[...] I simboli della Grande Madre caratterizzavano pure la successione matrilineare da madre a figlia, legittimando in tal modo proprietà e potere.

Non va dimenticato il legame con la cultura dei Celti e il loro pensiero religioso, che rimase attivo fino al tempo di Carlo Magno e che, malgrado vari tipi di proibizioni, mantiene la pratica del tatuaggio in gran parte dell’Europa, anche se probabilmente svuotata del suo significato sacro.

Le basi della ricerca

  • Presenza di reperti preistorici in cui siano identificabili i tatuaggi riferibili (statuette, stele, incisioni ecc.).
  • Presenza di reperti precristiani in cui siano identificabili i tatuaggi (statue/immagini).
  • Ritrovamenti archeologici mummificati in cui siano individuabili i tatuaggi.
  • Analisi dei simboli identificabili nei tatuaggi nel loro contesto.
  • Analisi comparativa dei simboli.
  • Analisi comparativa dei simboli nell’ottica delle migrazioni dei popoli antichi testimoniata dalla diffusione dei genomi umani, fra l’Europa e le steppe asiatiche.
  • Analisi delle fonti documentarie degli autori classici e dei cronisti alto-medioevali.
  • Analisi delle fonti documentarie antropologiche (ove disponibili) o di fonti assimilabili a quelle antropologiche, come gli scritti degli antichi viaggiatori (meglio viaggiatrici).
  • Presenza di simboli legati alla Dea Madre, che poi si tramandano alla cultura e all’iconografia popolare (ad esempio la spirale).
  • Analisi delle forme religiose legate al divino femminile nei popoli in cui sono presenti i tatuaggi.
  • Analisi di genere nei popoli in cui sono presenti i tatuaggi.
  • Analisi della tipologia di società per quanto riguarda le strutture politiche, di classe e di proprietà dei gruppi presi in esame.
  • Persistenze degli aspetti simbolici nei tatuaggi femminili e/o legati al culto della Madonna.
  • Analisi iconografica dei cliché per tatuaggi conservati nei santuari mariani.
  • Analisi dell’articolo sui tatuaggi mariani di Caterina Pigorini.

Il contesto culturale

Secondo il tipo di metodologia adottata in questa ricerca, risulta centrale l’osservazione del “contesto culturale” inteso nell’accezione etimologica latina originaria di “con-tessere”, “ordito”, “tessere insieme”. Con contesto si intendono quindi tutti gli elementi raccolti in grado di produrre il senso di un insieme culturale che si ripete in diversi ambienti geografici e che viene caratterizzato da un elemento (in questo caso, la presenza di tatuaggi femminili). Si tratta di quell’insieme di relazioni complesse, culturali, religiose, mitiche, archetipiche, che forma un ambiente culturale che si ripete e diventa specifico.

I presupposti metodologici da cui si parte riguardano anche il progressivo affrancamento delle scienze sociali dagli indirizzi teorici positivisti, che esigevano che i modelli fossero forgiati sulla base di quelli della cosiddetta “scienza dura”, in modo che i risultati fossero “incontestabili” e possedessero un ben preciso “valore scientifico” fondato su “leggi universali”.

Per quanto possibile, sono stati individuati dei fattori comuni ai luoghi in cui le donne si tatuavano. Tali fattori sono sia di genere, per quanto riguarda la condizione femminile alfinterno della società di riferimento, sia religiosi e simbolici, e si è tentato di dare un’interpretazione di ciascun elemento che rimandasse a un significato e a un’interpretazione possibile, senza tuttavia escluderne altre.

L’antropologia simbolica

Il simbolo è un sistema di comunicazione: per un motivo o per un altro, i gruppi umani trasformano la vita quotidiana, l’ambiente che li circonda, i sentimenti che provano, le relazioni che allacciano fra loro in significati che travalicano le azioni che stanno compiendo (parlare, lavorare, viaggiare, fare figli, suonare), dando a questi atti un valore complesso, un senso culturalmente determinato da quella civiltà, unico, insostituibile e raro. Finora il simbolo è il metodo più immediato e completo. È il più veloce perché è immediatamente comprensibile ed è anche il più ricco, perché al suo interno può includere un messaggio ma anche il suo contrario, sfumando l’intensità di un concetto a seconda della necessità della situazione e cambiando di valore a seconda di chi lo vede, per trasmettere delle informazioni anche di difficile comprensione. E l’espressione più tipica di una cultura e spesso, fuori dalla società che l’ha prodotto, perde di significato, o comunque assume un’accezione diversa.

Dal punto di vista culturale, il simbolo è, per una determinata epoca, la migliore e più adatta espressione possibile per designare ciò che è ancora sconosciuto ma la cui esistenza è comunque riconosciuta come necessaria. Per questo motivo, deve provenire da ciò che di più differenziato e complicato esiste nelfatmosfera spirituale del suo tempo. Ma poiché un simbolo vivo deve racchiudere in sé ciò che di affine esiste in un gruppo umano di notevoli dimensioni per poter esercitare la propria influenza, esso deve abbracciare quello che può essere condiviso da tutti i componenti della comunità. E questo “qualcosa” non può in alcun modo rappresentare un fattore di differenziazione o di difficile accesso, raggiungibile e comprensibile solo a pochi. Deve, al contrario, essere un’entità con una natura primitiva tale che la sua esistenza sia al di là di ogni dubbio. Solo se il simbolo comprende questo qualcosa e lo esprime nel modo più elevato la sua azione si estende a tutti.

Questo testo è estratto dal libro "I Tatuaggi della Dea"

Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017

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