SAGGI E RACCONTI   |   Tempo di Lettura: 7 min

Il cammino della sacerdotessa Itfat

Itfat - Vadim Zeland - Speciale

Viaggia anche tu insieme alla sacerdotessa Itfat e i suoi amici attraverso la metarealtà, leggendo il nuovo libro di Vadim Zeland, terzo volume della saga di Tafti.

Il cammino della sacerdotessa Itfat

Quando il tempo si fermò

La sacerdotessa Itfàt arrancava per il deserto sconfinato e parlava da sola. Era una personcina piuttosto stravagante, non si capiva bene di che paese ed epoca fosse e nemmeno quanti anni avesse, poteva averne venti o forse quaranta. Indossava un lungo abito di velluto blu scuro, quasi nero, che le arrivava fino ai talloni, ornato di un colletto tempestato di brillanti. Sulla mano sinistra sfoggiava un anello con un cristallo dello stesso riflesso blu scuro del vestito.

Il suo viso era coperto da una spaventosa colorazione da rituale color porpora, picchiettata sugli zigomi da macchioline bianche. Gli occhi erano verdi, i capelli erano neri, tagliati a caschetto. Cos’altro si potrebbe aggiungere? Nonostante tutto il suo aspetto brutale, Itfàt era bella.

Perché mai riuscisse a muoversi in una realtà pietrificata rimaneva un mistero persino per lei stessa, perché la sacerdotessa non sapeva dove si trovasse e non si ricordava come fosse capitata lì.

"O dèi, sovrani del mondo! Riportatemi a casa!" esclamò in modo capricciosamente indignato più che con tono di lamentela.

"Dove sono i miei servitori, i miei sudditi? Se non vi presentate subito al mio cospetto vi farò tagliare la testa!"

Questo, forse, l’aveva detto con una certa esagerazione, dal momento che non aveva fama di governante crudele e sanguinaria.

"Bene. Se questo è lo scherzo stupido di qualcuno, la pagherete!" continuò.

 

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Dove sono? Chi sono?

Itfàt era già piuttosto stanca, ma aveva ancora grinta sufficiente per comportarsi da principessa capricciosa, e ciò nonostante le circostanze. Bisogna riconoscere, infatti, che ella aveva un cuore coraggioso. Un altro, al posto suo, avrebbe già avuto una crisi isterica o sarebbe caduto in trance, tanto più che il paesaggio era davvero surreale e spaventoso: ovunque onde di sabbia uguali si estendevano fino alla linea dell’orizzonte.

L’aria non si muoveva, non era né caldo né freddo. Il cielo, privo di sole, brillava di un bagliore giallo, mentre la sabbia era, al contrario, di un colore celeste.

"Bene-bene, forza e coraggio, vediamo un po’… cerchiamo di capire di cosa si tratta: di un orrore da incubo o di un incubo da orrore?" disse la nostra eroina, che aveva la consuetudine di ripetere le parole.

"A me non può succedere niente del genere! Sono io che creo incubi e orrori che fanno tremare tutti! Ebbene, vi avverto per l’ultima volta! Se non mi troverò immediatamente, in questo stesso istante, nel mio tempio, mi arrabbierò, e voi sapete bene quanto ciò sia terribile!" esclamò, prima di cadere in ginocchio per la disperazione. "No, adesso scoppio a piangere!"

D’un tratto si rese conto di ricordarsi a malapena di dove venisse e chi fosse. In testa le si confondevano vaghi frammenti di ricordi: rammentava di essere un’alta sacerdotessa, governante di un certo paese, di avere un tempio, servitori, un Maestro, ma altri dettagli non le venivano alla mente. Non riusciva nemmeno a ricordare il suo nome.

"O dèi, ditemi chi sono!"

Ma ecco che, pronunciate queste parole, sentì improvvisamente levarsi dal vuoto e diffondersi tutt’intorno una sorta di sussurro, come un soffio di vento che cominciò a fluttuare da un lato all’altro:

"Itfàt, Itfàt! Sacerdotessa Itfàt! Sacerdotessa, sacerdotessa!"

"Strano, è un po’ come se il nome fosse il mio, ma al contempo non lo fosse," borbottò, cercando intorno a sé l’origine della voce, "Chi c’è qui?"

"La Soglia, la Soglia!" rispose il sussurro.

"La Soglia di cosa?"

"Del tempo, del tempo!"

"Dove sei? Mostrati!"

Ma il sussurro si estinse improvvisamente così come si era levato, e non rispose più.

"Ho capito…" sospirò Itfàt, senza attendere risposta, "Sarà un incubo. O mi sveglio subito, o impazzirò. Non ne posso più."

Ma in quel momento le affiorò alla mente il ricordo degli insegnamenti del suo Maestro: per tornare dal sogno alla realtà, devi renderti conto di chi sei, di chi sei veramente.

"Io non sono io," proclamò la sacerdotessa, "Io sono io!"

Ma l’incantesimo non le fu d’aiuto. Non era successo nulla.

Allora chi sono io?

 

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Il deserto celeste

Del resto, cosa sarebbe potuto accadere se lei in ogni caso non si ricordava chiaramente di se stessa? Persino il nome che il sussurro aveva pronunciato, le sembrava, per così dire, non proprio il suo. E che significa “non proprio”?

"Bene, e adesso cosa facciamo, Itfàt?" si chiese, "Allora, vediamo un po’… mi chiamo Itfàt, mi chiamo Itfàt. E quale sarà la mia prossima mossa? Muoversi è inutile. Ovunque si vede solo sabbia e nient’altro che sabbia, fino all’orizzonte. Però… Cos’altro diceva il Maestro?"

Il nuovo ricordo rinfocolò in lei la speranza: bisogna svegliarsi nel sogno e allora sarà possibile controllare il sogno stesso. A questo fine si deve guardare attentamente ciò che ci circonda, controllare che tutto sia in ordine o notare se c’è qualcosa di fuori posto e cosa esattamente. Bisogna vedere la realtà.

"No, intorno a me e con me non c’è niente che sia a posto! È tutto sbagliato! E cosa ci sarebbe poi qui da vedere, a parte la sabbia? A proposito… e perché mai è celeste?" Itfàt si sedette e cominciò a farsi scivolare la sabbia da una mano all’altra.

"La sabbia non è sabbia. La sabbia è sabbia!" disse, cercando di individuare nelle cose ordinarie un’essenza insolita, come le aveva insegnato il Maestro, "Cos’ha di insolito questa sabbia tranne il colore? Si compone di granelli e si lascia versare, come si addice alla sabbia…"

Nello stesso istante la sabbia davanti a lei cominciò ad alzarsi e a vorticare, fino a formare un enorme imbuto che prese ad allungarsi verso il cielo. Lo spettacolo era terrificante. Itfàt lanciò un urlo e cercò di allontanarsi da quella tromba di sabbia ma il suo tentativo sembrava inutile: ovunque lei corresse, il vortice le si ritrovava sempre di fronte.

Tra l’altro, con le scarpe che calzava, aveva poco da correre. Infatti inciampò e cadde.

 

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Separarsi dalla paura

Una folle disperazione si era già quasi impadronita di lei, ma ella si riprese e si calmò un po’, tanto più che il vortice di sabbia pareva non volerle arrecare alcun danno.

"Bene, devo cercare di stare tranquilla… Sono già così spaventata che oramai non c’è niente che possa ancora farmi paura. E se non c’è niente altro, perfetto, è già meglio. Però tutte queste cose mi hanno già stufata. Ora separo da me la mia paura: qua io e là la mia paura. Basta, non voglio più conviverci! Adesso me ne vado da questo posto e lascio la paura nelle mie scarpe. Tanto non mi servono a niente lo stesso. Via, via da me!" disse, togliendosi le scarpe e lanciandole nell’imbuto di sabbia.

"Ecco fatto! Benissimo! Adesso io sono qui, e la mia paura è rimasta là!"

Le scarpe scomparvero nel vortice ed esso prese a girare con ancor maggior vigore, emettendo un ronzio crescente. Itfàt pensò che le cose si stessero mettendo davvero male e che forse sarebbe stato il caso di intraprendere qualcosa di più efficace per evitare che finissero ancora peggio.

"Su, dài, Itfàt-Itfàt, sacerdotessa-sacerdotessa, sfòrzati! Devi vedere questa dannata realtà, capire di che si tratta, sennò per te è la fine. Questa non è solo sabbia, non è solo un vortice. Allora, che cos’è? Pensaci, su, velocemente, sbrigati, presto, presto!" e mentre si esortava in questo modo, ebbe una folgorazione.

"Clessidra!" esclamò, "Ecco che cos’è! È una clessidra! Ti vedo ora, mascherina, sei una realtà diabolica!"

In quel medesimo istante il vortice cessò di ruotare, il ronzio fu sostituito da un tintinnio di vetro e il gigantesco imbuto si sgretolò a terra. La sabbia acquisì il suo colore giallo naturale e il cielo prese a brillare di azzurro. Solo il sole era ancora assente nel cielo.

 

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Data di Pubblicazione: 29 novembre 2021

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