Vita, sacrifìcio e rinascita del re sacerdote
Il ramo d’oro
L’antropologo James Frazer nella sua opera monumentale, Il ramo d’oro, pubblicato inizialmente nel 1890 e poi ampliato fino alla stesura definitiva del 1915, spiega le leggi che regolavano la successione dei sacerdoti e dei re divini nell’antichità. Tale successione prevedeva in origine la sistematica uccisione del re o sacerdote per rinnovare la creazione primigenia. L’uccisione avveniva secondo un calendario specifico in genere ogni 7, 9 o 12 anni. La comunità aveva quindi definito un “termine” temporale oltre al quale il re non poteva governare né sopravvivere e anzi doveva essere messo a morte per scongiurare la sua degenerazione fìsica.
Il re infatti ricopriva le funzioni di sacerdote e incarnava il dio: la fertilità dell’intera comunità, degli uomini, del bestiame e delle messi dipendeva dal potere generativo del re e l’indebolimento di esso avrebbe potuto compromettere l’intero ordine. Il re veniva quindi ucciso in virtù del suo carattere di dio o semidio, «essendo la morte e la resurrezione giudicati necessari alla salvezza del suo popolo e del mondo come unici mezzi per perpetuare l’intatta vita divina».
Il ramo d’oro si può suddividere in due principali sezioni: la prima descrive le varie vicende di re sacri, eliminati per rito tradizionale, soprattutto in popolazioni la cui cultura è ancora impregnata e influenzata dalle usanze e dalle necessità agricole. Le ambientazioni sono per lo più africane e inerenti al mondo classico. Tra le tematiche affrontate da Frazer, vi è una teoria sulla struttura della magia, sul culto della natura e degli alberi, sull’origine e diffusione dei tabù, oltre alla riscoperta di numerosi personaggi classici, quali Osiride, Adone, Demetra, Dionisio, messi in relazione a una divinità della terra, della morte e della rinascita stagionale. Qua emerge l’archetipo del re-sacerdote che, sotto il titolo di “re del bosco” (ad esempio il sacerdote di Diana), viene ucciso ciclicamente e sostituito nelle sue funzioni da un successore.
Il re o uomo-dio, infatti, è sensibile di vecchiaia e morte: i suoi adoratori, scrive Frazer,
«devono tener conto di questa triste necessità e affrontarla come meglio possono. Il pericolo è formidabile; perché se il corso della natura dipende dalla vita dell’uomo-dio, quali catastrofi non si devono aspettare dall’indebolimento graduale dei suoi poteri e dalla loro estinzione finale con la morte? Vi è solamente un mezzo per allontanare questi pericoli. Si deve uccidere l’uomo-dio appena appariscano i sintomi che i suoi poteri cominciano ad affievolirsi; la sua anima deve essere trasmessa a un vigoroso successore prima che essa sia seriamente indebolita dalla minacciata decadenza».
L’idea è che si
«deve uccidere l’uomo-dio appena appariscano i sintomi che i suoi poteri cominciano ad affievolirsi: la sua anima deve essere trasmessa a un vigoroso successore prima che essa sia seriamente indebolita dalla minacciata decadenza».
Per evitare dunque il pericolo che il re-sacerdote muoia di morte di naturale e che la sua anima sacra vada persa, o che essa si indebolisca in seguito alla vecchiaia o a una malattia, l’uomo-dio dev’essere ucciso all’interno di un rituale e la sua anima estratta e “convogliata” nel corpo di un successore. Uccidendolo, spiega Frazer, «i suoi adoratori possono in primo luogo esser certi di prenderne l’anima mentre essa sfugge e trasferirla in un degno successore». Si tratta della teoria del dying god, il Dio Morente: il re-sacerdote che in origine governa la tribù e incarna la divinità stessa, a cicli di tempo specifici si immola per il bene della comunità.
Ai primi segni di vecchiaia o malattia, il re veniva messo a morte in modo da scongiurare il caos. Per evitare il sopraggiungere della malattia si decise di mettere a morte il re finché era ancora sano e nel pieno delle forze «affinché lo spirito divino, che egli ha ereditato dai suoi predecessori, possa essere da lui trasmesso a turno ai suoi successori mentre esso è ancora in pieno vigore e per nulla deteriorato dalla debolezza d’una malattia o dalla vecchiaia».
Con il passare dei secoli l’iniziale uccisione del re o capo della tribù che veniva identificato con il dio, venne sostituita con l’uccisione di un famigliare appartenente alla famiglia reale (il figlio o il fratello del re), poi sostituita a sua volta con il sacrifìcio di un criminale e infine con quella di un animale. Era infatti naturale che i re «cercassero di delegare il penoso dovere, insieme con qualche altro privilegio della sovranità, a un sostituto che soffrisse in loro vece».
Il re, cioè, avrebbe cercato un sostituto che morisse al suo posto, godendo ovviamente anche degli onori del ruolo di incarnazione del dio. Si sceglieva e si mandava a morire un’altra persona “per procura”. Troviamo questa modalità ovunque: la tradizione scandinava, per esempio, ci riporta che anticamente i re svedesi potevano regnare per periodi di nove anni, al termine dei quali «venivano messi a morte oppure dovevano trovare un sostituto che morisse in loro vece». La stessa cosa avveniva in Grecia, dove troviamo un ciclo di otto anni. Alla fine del periodo «i sacri poteri del re avevano bisogno di essere rinnovati»: per far ciò, per esempio, Minosse re di Cnosso, ogni otto anni si ritirava nella caverna profetica sul monte Ida per comunicare con Zeus, offrendogli un resoconto del periodo passato e attendendo istruzioni dal dio per il futuro.
Frazer ipotizza che per evitare di essere messo a morte come in passato, come abbiamo visto nel terzo capitolo, Minosse offrisse un tributo a Zeus “per procura” di sette giovani e sette vergini ateniesi per saldare il suo tributo e rinnovare il proprio potere regale. Mandati a Creta, i giovani ateniesi venivano rinchiusi nel labirinto per essere divorati dal temibile Minotauro (o più semplicemente imprigionati a vita fino alla morte per stenti). Costoro, spiega Frazer, «forse venivano sacrificati, probabilmente bruciati vivi nelfimmagine di bronzo di un toro o di un uomo dalla testa di toro, con lo scopo di rinnovare le forze del re e del sole che egli impersonava».
Il sacrifìcio era simile a quello che veniva officiato dai cartaginesi al dio Moloch.
Questo testo è estratto dal libro "Il Dio Cornuto".
Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017