SALUTE E BENESSERE

Il Disegno Unificato di Tutto - Anteprima del libro di Maurizio Forza

Il Disegno Unificato di Tutto - Maurizio Forza - Speciale

Alimentazione e regole fuorvianti

Il Disegno Unificato di Tutto - Maurizio Forza - Estratto

Alimentazione e regole fuorvianti

La prima cosa che dovrei fare cominciando il viaggio verso le mie più o meno stravaganti teorie, è chiedere scusa ai miei pazienti. Nel corso di 15 anni da fisioterapista ed osteopata penso di aver messo a punto e fatto provare a più o meno quindici/ventimila persone, almeno una trentina di stili alimentari diversi, dopo averli provati tutti di persona: dalla dieta dissociata, a quella chetogenica, a quella dell’indice glicemico, a quella vegetariana, a quella vegana, a quella dei gruppi sanguigni, alle ipocaloriche, a quelle ortomolecolari, alle diete dei digiuni, all’ampeloterapia, a quella senza muco, a quella pranica, per poi rendermi conto di tre cose essenzialmente, due delle quali si delineeranno da sole alla fine del capitolo, ma una sicura e certa sin da subito: stavo solo esercitando il mio bisogno di controllo sugli altri.

Come potrete verificare da soli sulle classifiche di vendita, i libri di alimentazione, così come le trasmissioni ed i dibattiti su questo tema, sono un business incredibile che sta continuando a tirare anche in questo periodo di crisi epocale. Dai una dieta ad una persona e la terrai in pugno finché la farà e questo facendo leva sulla più semplice e basilare delle cose: la confusione.

Qualsiasi libro prendiate vi stordirà con tutti i presupposti scientifici che avvaloreranno le sue tesi. Una mole di studi con tutti i sacri crismi randomizzati in doppio cieco con gruppo di controllo e benedizione papale che dimostrano, senza ombra di dubbio, la tesi presentata, indipendentemente dal fatto che questa dica che la carne fa bene o fa male e che il limone crei acidità o basicità (o la determini, come subito obietteranno i più informati).

Da ormai diversi anni l'attenzione della comunità intemazionale è rivolta alla definizione delle linee guida che permettano una chiara ed univoca interpretazione dei protocolli alimentari. Il problema è che si sta facendo una pretenziosa scienza partendo da dati fondati su poco più che supposizioni interpretative.

La conseguenza di questo sviluppo a cascata è aver portato a stimare come l'82% delle malattie conosciute ad oggi abbiano una eziologia di tipo alimentare. Questo nonostante i miliardi di dollari spesi in ricerca e prevenzione.

Perché allora in un campo tanto studiato e scandagliato si è arrivati a tali pessimi risultati? Eppure le cose si sanno... La stessa comunità medica intemazionale dice che:

... Queste le regole per una corretta alimentazione per prevenire le malattie croniche, che però questa volta assumono maggiore importanza perché scritte a quattro mani dall'Organizzazione Mondiale della sanità e dall'ente per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao). Le due Agenzie delle Nazioni Unite hanno messo insieme 75 esperti mondiali e altri 30 di altrettanti Paesi, per stilare il nuovo Diet, nutrition and the prevention of chronic diseases, rapporto 2003 presentato a Roma: "il 60% delle morti registrate nel 2002 nel mondo, 46 milioni di persone, sono attribuibili a malattie evitabili con una corretta alimentazione e una moderata attività fisica", ha detto nel corso della conferenza stampa di presentazione del rapporto il direttore generale dell'Oms Grò Harlem Brundtland (www.eufic.org).

L'equazione perfetta, la dieta bilanciata per la salute, è rappresentata per Oms e Fao da un 15-30% di grassi 55-75% di carboidrati 10-15% di proteine.

Senza dimenticare, precisano gli esperti, una moderata attività fisica. Quindi con questa semplice linea guida su come mangiare e quanto muoverci, in linea teorica, avremmo sconfitto dal 60 all’82% delle malattie che portano alla morte nell’era moderna. Dov’è quindi che stiamo sbagliando?

Vediamo quali sono questi errori storico-scientifici ormai patrimonio culturale della nostra generazione:

  • REGOLA I: Le percentuali di accrescimento dell'obesità dimostrano una drastica necessità di riduzione degli apporti calorici ad una larga fetta della popolazione mondiale.
  • REGOLA II: Le calorie assunte, se proporzionali all'attività svolta, vengono bruciate e convertite in energia e non determinano ingrassamento.
  • REGOLA III: I carboidrati fanno ingrassare.
  • REGOLA IV: Le proteine creano meno ritenzione di liquidi dei carboidrati.
  • REGOLA V: Le proteine animali causano i tumori.
  • REGOLA VI: I grassi fanno male.
    E, per ultima, la preferita di tutto il nuovo mondo della new age alimentare:
  • REGOLA VII: La frutta è la principale fonte di vitamine e quindi va assunta in proporzione alla necessità di tali nutrienti.

Queste sono le sette regole che ci hanno insegnato e che, consapevoli o no, si attivano in noi ogni volta che stiamo per addentare una qualsiasi cosa. Cominciamo a chiamarlo con il suo nome biofisico, il boccone di sopravvivenza olografico percettivo. Capiremo insieme cosa vuol dire.

Regola I

Le percentuali di accrescimento dell'obesità dimostrano una drastica necessità di riduzione degli apporti calorici ad una larga fetta della popolazione mondiale.

Alla prima ora del primo giorno del mio primo corso di alimentazione, mi è stato insegnato che, per una caldaia, 100 calorie di mele o 100 calorie di caramelle sono uguali, perché tutte e due producono appunto 100 unità di calore determinante energia. Quando il corpo è in stato di necessità deve utilizzare quello di cui dispone nel modo più veloce ed efficiente possibile. Diciamo che non è esattamente scientifico questo modo di ragionare.

Ogni sostanza chimica che ingoiamo, detta cibo, porta con sé, oltre al potenziale calorico, tutto il carico di informazione biochimiche derivanti dalla sua composizione organica. Mi spiego meglio: le vitamine, i micro ed i macro-nutrienti che compongono una mela determineranno una risposta diversa nell’organismo, a parità di calore prodotto, rispetto a quello che faranno i componenti chimici di una bella caramella gommosa che di composti interni ne avrà altri. Diversi componenti, diversa attivazione di enzimi e sostanze che il corpo dovrà utilizzare per poterle metabolizzare. Lo zucchero bianco tradizionale e i carboidrati raffinati, come la semplice pasta (che dove c’è, c’è casa...), indipendentemente dal carico calorico che hanno, innalzano bruscamente la glicemia costringendo il pancreas a secernere in grandi quantità insulina, necessaria al corpo a prendere questa importante e grossa badilata di zucchero per modularne la presenza nel sangue e nelle cellule. Molti studi hanno messo in relazione questo processo ripetuto nel tempo alla insulino-resistenza, alla sindrome metabolica e ad alcune forme di diabete.

In uno studio nord europeo pubblicato negli anni ’90 e consultabile su pub meet, due gruppi di soggetti furono nutriti con una dieta che prevedeva un surplus di 20 kcal/Kg sul peso corporeo. Un gruppo assumeva le calorie in eccesso da noccioline, l’altro da caramelle.

Nei soggetti del gruppo delle caramelle le analisi del sangue al termine dello studio mostrarono che i marker di patologia cardiovascolare, della funzionalità insulinica e della glicemia subirono un brusco peggioramento, associato ad un rallentamento del metabolismo basale (ovvero il consumo di calorie anche quando si è a riposo. Nel gruppo delle noccioline ci fu al contrario un’accelerazione del metabolismo basale, che sul lungo periodo significa perdita di peso a parità di cibo assunto.

Questo studio, sembra indicare che sia importante scegliere un’alimentazione sana, attraverso il consumo di cibi poco raffinati (aspetto non considerato nelle classiche diete ipocaloriche).

Cosa si intenda per cibi sani non ci è ancora dato sapere, comunque sappiamo che i cibi raffinati aumentano l’iper-insulinemia ma non sappiamo ancora perché il corpo necessiti di far lavorare di più il pancreas per far fronte a questi cibi. Milioni di anni di evoluzione e non abbiamo ancora imparato a produrre insulina solo in relazione a quanto glucosio ci serve a livello cellulare? Non si potrebbe fare come le fibre che vengono eliminate dritte dritte e nessuno pare interessarsi al loro transito? Sarebbe un pochino più semplice... fin dove serve zucchero l’insulina esce, quando i livelli ottimali si saturano facciamo partire un bell’impulso all’inibizione della produzione di ormoni pancreatici. La natura fa le cose più semplici possibili, del resto.

Tutta la tradizione dietologica ci insegnava che i cibi vengono scomposti nelle loro forme elementari organiche affinché possano portare i nutrienti a livello cellulare. Arrivati lì, ad opera dell’ossigeno, subiscono un’ulteriore trasformazione chimica che prende il nome di ossidazione, che è quella che viene messa in relazione alla generazione del calore, come se il corpo “bruciasse” le sostanze ingerite in allegre stufette. Ecco perché si vanno banalmente a calcolare le calorie degli alimenti vedendo quanto calore producono, “bruciandole” in un’apposita strumentazione in laboratorio. E il risultato di questa misurazione stabilisce appunto le “calorie” (unità di energia termica). Quindi una caloria corrisponde all’energia necessaria per far aumentare di 1 °C la temperatura di un litro di acqua. Lo schema che ne deriva è il seguente:

1 grammo di proteine produce circa 4,5 calorie 1 grammo di grassi produce circa 9 calorie 1 grammo di carboidrati produce circa 3,75 calorie 1 grammo di alcool etilico produce circa 7 calorie.

Quindi, in teoria, lardo e vino vanno benissimo per scaldare la stufetta corporea. Ma ragionando in questo modo, si sorvola sul fatto che, così come la strumentazione utilizza energia per funzionare e rilevare i conteggi fatti, anche il corpo umano utilizza energia per elaborare gli alimenti e innescare i processi di digestione, assorbimento e produzione finale di energia. Oltretutto questo processo di combustione produrrà tossine di scarto che a loro volta impiegheranno altra energia per essere espulse (quando riescono ad essere espulse...). E allora tutti giù a far i conti alla carne che teoricamente, con le sue 4,5 calorie al grammo fomite, ne consuma probabilmente altrettante se non di più nelle ore necessarie per la trasformazione in energia. Ecco la ragione per la quale esistono diete basate sulla proteine per far dimagrire, con dati medico-scientifici a supporto di tale tesi, come gli studi del dr.Wilson4 che ha mostrato come nel corpo i cibi si trovino in un ambiente di lavoro molto diverso da quello del laboratorio. Questa prova sperimentale è stata eseguita misurando il flusso di energia nervosa nel corpo prima e dopo pasti, composti da vari tipi di alimenti. Si è potuto evidenziare che certi alimenti (di cui parleremo ancora) costringono il corpo ad un grande mega lavoro energetico per essere utilizzati.

Qual è la conclusione che i nostri amici in controtendenza alla dietologia ufficiale hanno tratto da questi dati? Che gli alimenti considerati calorici, e quindi energeticamente utili a far carburare la macchina umana, devono essere considerati non sulla base delle calorie loro attribuite, ma sul loro indice nutrizionale, ovvero il rapporto fra l’energia che forniscono e l’energia che il corpo usa per elaborarli, per non correre il rischio di consumarne di più di quella che entra con la loro digestione. Altrimenti, come avviene nelle diete iperproteiche, si dimagrisce mangiando carne perché il corpo brucia nella digestione della carne più calorie di quelle che essa apporta.

Chetogenesi

Teoricamente giusto. Peccato che le diete iperproteiche facciano dimagrire per un fenomeno che si chiama chetogenesi, che non c’entra davvero niente con quello che ho appena descritto.

Questo gioco lo vedremo essere usato di frequente: prendere una presunta verità, rivederla alla luce delle recenti scoperte scientifiche, e sostituirla con una nuova teoria che in più ribalta diametralmente quella precedente, più avrà presa sulla popolazione che si sentirà ovviamente ingannata e che cercherà, come avviene da sempre, direi, un nuovo salvatore. Nell’attesa che arrivi qualcuno a fare la stessa cosa anche con la nuova teoria perpetrando alTinfinito questa ruota di tentativi.

Certo, provando ad alimentarsi in questo modo si alleggerisce il carico di lavoro che tiene impegnato il corpo nel metabolismo, rubando energia alle altre funzioni biologiche, grazie a certi meccanismi che come vedremo, non sono di natura biochimica, bensì prettamente fisico-vibrazionale, di derivazione neuropsichica. Del resto lo sappiamo: ''‘'l’anello risponde all’unico signore, Sauron ”.

Lungi da me emettere giudizi o consigli in merito ad una dieta piuttosto che ad un'altra, dato che sto scrivendo questo libro proprio per scusarmi per averlo fatto fino ad ora. Ma che ci sia qualcosa di strano è più che certo, ed è ora di diradare la nebbia, cominciando per prima cosa a renderci conto che la luce che seguiamo è appunto nebbia.

L’AIDAP ha fatto conoscere in Italia un interessante editoriale, pubblicato nel giugno 2012 dal British Medicai Journal sugli effetti a breve e lungo termine delle diete iperproteiche.

Gli studi sugli effetti a breve termine delle diete iperproteiche hanno evidenziato la loro capacità di determinare una riduzione dei livelli plasmatici di trigliceridi, di emoglobina glicata, di concentrazione di insulina e della pressione sistolica. Tali effetti determinano a loro volta un miglioramento di condizioni quali il diabete di tipo 2 e la steatosi epatica non alcolica.

Continuando con la lettura sugli effetti a lungo termine,si cita poi uno studio prospettico svedese (Lagiou P. et al, BMJ 2012; 344:E4026) che ha analizzato l’associazione tra l’aderenza a una dieta iperproteica e l’incidenza di malattie cardiovascolari, in un gruppo di 43.396 donne seguite per circa quindici anni. Lo studio ha indagato la comparsa di malattia ischemica cardiaca, di infarto emorragico o ischemico, di emorragia subaracnoidea e di malattia arteriosa periferica. I dati hanno mostrato che una maggior aderenza a una dieta iperproteica è correlata a una maggior incidenza di malattie cardiovascolari, indipendentemente dai comuni fattori di rischio.

Quindi siete pazzi se, per star subito meglio,vi candidate alle malattie del lungo termine. Poi, quale è il lungo termine? Quanto è il breve termine? Iperproteiche animali o vegetali? Farla, se vi serve, per tre quattro settimane e poi cambiare regime è davvero così concettualmente complicato? E poi, soprattutto le persone del gruppo a breve termine, cosa hanno fatto dopo? Hanno mantenuto i miglioramenti ottenuti grazie ad un nuovo stile di vita, o hanno continuato a peggiorare? O forse, dato che non sono più stati monitorati, non è che magari l’hanno pure continuata in modo inconsapevole e sono stati bene comunque? Tra l’altro, come hanno fatto quelli del primo gruppo a migliorare i parametri dei trigliceridi mangiando più proteine, che li innalzano, come “sanno tutti” e come sembrano affermare gli studi di Wilson citati prima?

La dieta chetogenica

Come potrete verificare su wikipedia, la dieta chetogenica, che è poi il nome scientifico delle cosiddette iperproteiche, è stata messa a punto nel 1920, ed è nata come trattamento conservativo e curativo per i bambini malati d'epilessia. Messa a punto dagli studi di alcuni pediatri, come Rollin Woodyatt e Mynie Paterman, è stata recentemente rivalutata e sperimentata. Il concetto è mantenere costanti i livelli di insulina, ovvero impedire l’accumulo degli zuccheri abbattendo il consumo di carboidrati in favore di quello derivante da lipidi e proteine. Questo per abbassare i livelli di glucosio in modo che il corpo attinga alle sue riserve le energie. Dai grassi assunti appunto. Seguendo un tale regime dietetico, basato sul calcolo delle calorie ingerite, si stimola la secrezione di ormoni che favoriscono lo smaltimento del grasso e in più regolano l'appetito.

Nel momento in cui il sistema metabolico si adatta a questa nuova condizione alimentare, il corpo riduce l’utilizzo delle proteine, affidandosi alla combustione dei grassi e utilizzando corpi chetonici come fonte preferenziale per produrre energia. I corpi chetonici altro non sono che sottoprodotti acidi derivati da alti livelli d’ossidazione degli acidi grassi. In condizioni di grave carenza da glucosio, come quella indotta dal non mangiarne a sufficienza secondo le linee guida tradizionali, il corpo inizia appunto a far ricorso ai corpi chetonici, che vengono normalmente prodotti in quantità minime e sono facilmente smaltibili.

Se però la produzione di questi ultimi aumenta notevolmente, il loro accumulo nel sistema sanguigno determina una condizione che prende il nome di “chetosi”, nella quale il pH del sangue si abbassa, diventa cioè più acido, condizione definita acidosi metabolica. Cosa non compatibile con la vita.

Come vedremo, in questi casi il corpo deve far ricorso ai suoi bicarbonati per ristabilire le condizioni di pH ottimale. Alla fine si dovrà poi eliminare dal corpo tutto il derivato acido accumulato e tamponato, attraverso un aumento di diuresi, cosa che fa sgonfiare le cellule di grasso, determinando un dimagrimento.

Lo sapete che il grasso è composto dal 95% di acqua? Se avete 30 kg da perdere, 27 sono solo di acqua... quindi dovete perdere 3 kg di lipidi in realtà... E invece sotto con le diete povere di grasso, come negli anni ’9013.

Diete ipocaloriche, motivate ricorrendo agli studi sul concetto errato di combustione calorica degli alimenti, dato che "se vuoi dimagrire l’unica cosa che conta è mangiare meno cibi grassi e calorici”, che servivano in buona sostanza alle multinazionali del cibo per creare linee di prodotti che non facessero perdere clienti tra coloro che cominciavano a informarsi sugli effetti del cibo sulla salute. Quindi ecco nascere i cibi light.

Smascherato l’inganno dai meglio informati e più dotti, sotto a consigliare cibi ad alto regime calorico ma basso indice di conversione energetica metabolica, cioè dell’energia spesa dal corpo per metabolizzare i cibi. Anche perché ti spiegano, che, se non elimini i cibi che ti creano acidosi metabolica, nel lungo periodo ti verrà una malattia ischemica cardiaca, un bell’infartino, o una emorragia subaracnoidea o quantomeno una malattia arteriosa periferica. Quindi, vedete voi se ci volete ascoltare o volete andare incontro a morte certa e dolorosa e sarà meglio convincere anche nostra moglie, dato che non la vorrete di certo sopportare ancora per tanto, magari ridotta in stato semi-vegetativo per un bell’ictus causato dal pollo arrosto.

Ma allora, direte voi: le dobbiamo fare o no queste diete iperproteiche? E per quanto tempo?

Come avrete capito l’importante per chi scrive, è darvi una nuova chiave di lettura, che porti l’attenzione su come vengano proposte nuove soluzioni a nuovi problemi evidenziati rispetto a temi su cui ogni teoria scrive tomi interi, visto anche che i libri sull’alimentazione sono quelli che continuano a vendere di più. Per me l’importante è che riprendiate il potere decisionale nella vostra vita. La conoscenza critica è il primo passo verso tale potere.

Ho voluto che questo capitolo fosse il primo proprio perché chi considera l’alimentazione il fattore fondamentale per la salute può anche decidere di non leggere le parti seguenti del libro.

Quindi i conteggi calorici degli alimenti sono totalmente da riscrivere. Bene. Cosa facciamo? Un attimo ancora di pazienza, perché in effetti le cose si complicano ulteriormente...

Questo testo è estratto dal libro "Il Disegno Unificato di Tutto".

Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017

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