Scopri come il gatto insegni a noi umani una quantità di cose indispensabili a una vita degna di questo nome leggendo l'anteprima del libro di Igor Sibaldi.
Darwin e i miei stivali: appunti per un evoluzionismo felinocentrico
Una delle cose che il gatto palesemente non sa di noi, è che crediamo davvero di essere la vetta più alta e luminosa finora raggiunta dell’Evoluzione naturale - al punto da ritenere che anche Dio sia guardacaso a nostra immagine e somiglianza.
Il gatto si meraviglierebbe molto se lo sapesse. Già lo deluderebbe dal punto di vista filosofico questa nostra idea - così angusta - che l’Evoluzione abbia una vetta da raggiungere, che la Natura sia cioè ansiosa e monotona come un trentenne in carriera. Una vetta sola? Come un punto in cima a una piramide? E perché? Perché non mille, milioni di vette in tutte le direzioni? Oltre alla mente cosciente più complicata (che di certo è dell’uomo) perché non porre anche la coda più flessuosa, il passo più felpato ed elegante, il miglior colpo d’occhio nel buio, e via dicendo: sarebbero anch’essi traguardi dignitosissimi dell’Evoluzione, se proprio è necessario parlare di traguardi.
In secondo luogo, lo sconforterebbe quel campanilismo della specie, d’un tal cattivo gusto. L’umano il più evoluto?
Parlando francamente: l’umano? Con le pratiche di divorzio e il patriottismo, le superstizioni e i governi, l’inquinamento e gli ingorghi in città, i tabù, i paurosi vuoti interiori, gli infiniti autoinganni, l’aggressivo terrore della propria felicità? Assurdo. E per di più, in capo a un breve ragionamento il gatto trarrebbe da tale assurdità il dubbio (fondato, purtroppo) che l’umano fraintenda clamorosamente la sua presenza in casa. Dunque lui pensa che il gatto gli stia accanto per ammirazione? Come si può essere così ciechi?
Ma fortunatamente il gatto non lo sa, o se a volte lo sospetta preferisce non saperlo. Quando dunque sente dire evoluzionisticamente, di sé o del collega cane: « Gli manca soltanto la parola », socchiude gli occhi pensando che sia un’allusione ironico-malinconica al fatto che a noi manca pressoché tutto il resto. Quando puliamo la sua cassettina, trova che sia un dovuto, umile gesto di deferenza e gratitudine per i servigi del gatto: per il paziente compito, che lui liberamente assolve, di insegnare al suo protetto - l’umano - una quantità di cose indispensabili a una vita degna di questo nome.
Darwin e Lorenz non ne sapevano, a quanto pare, nulla. La moderna teologia antropologica (così si chiama, in linguaggio ecclesiastico) nemmeno: l’unico, minimo ma promettente segnale di incertezza si è rilevato nella notizia che Benedetto XVI abbia avuto due gatti e avesse voluto tenerli con sé a San Pietro. Sia lode a lui, centosessant’anni di evoluzionismo lo guardano imbronciati dalla loro piramide. Cosa avranno insegnato al Papa, i due gatti?
Né più né meno di quel che insegnano a voi, sperando sempre che prima o poi ascoltiate, come nella fiaba il tenero marchese di Carabàs ascoltò i consigli del suo gatto.
Quotidianamente il gatto aspetta la circostanza propizia, e fa lezione.
Un buon momento è per esempio - a suo parere - quando guardiamo la televisione. Non perché l’apparecchio o ciò che mostra abbiano un buon influsso su di noi, ma perché allora lo sguardo dell’umano (che solitamente si muove frenetico qua e là come quello di un ladruncolo frustrato) sta fermo in una sola direzione e sembrerebbe quindi ragionevole e disposto ad apprendere.
Primo esercizio di gattoterapia
Davanti al vostro gatto-maestro imparate a isolarvi, e concentratevi su un obiettivo alla volta: fa bene al corpo e alla mente.
Allora può avvenire che il gatto si inserisca nel nostro campo visivo e fiduciosamente incominci a fare una cosa che noi chiamiamo ‘lavarsi’. In realtà non si sta lavando, o almeno non così come farebbe se fosse da solo o con altri gatti; sta insegnando. Notate infatti con quanta esagerata, studiata lentezza si lecchi in quel momento; e come getti di tanto in tanto un’occhiata a voi, per sincerarsi che stiate seguendo e prendendo nota. In quel momento si lava, il vostro gatto, più o meno così come sua madre si lavava quando insegnava a lui. E nel suo linguaggio felinamente efficace, con il tono di chi espone i primi rudimenti dell’alfabeto, vi sta dicendo:
«Vedi, senzacoda, com’è importante questa cosa che faccio e che tu non fai mai. Sei simpatico, commovente, sei un bravo cacciatore (anche se non ho ancora capito come faccia uno come te a tornare a casa ogni volta con qualcosa), ma purtroppo vivrai molto meno e molto peggio di quanto potresti, perché nel tuo corpo non c’è nessuna energia mentale. Tu non porti mai la tua attenzione sulle tue membra, non le vedi e non le conosci. Nel migliore dei casi, controlli soltanto periodicamente che siano al loro posto, o che non siano sgradevoli agli altri (gli altri?). Ma così non è bene. Occorre che la tua mente le riempia. Mens sana in corpore sano: la mente deve stare in tutto quanto il corpo, e la salute è una sola in entrambi.
È per questo che io posso arrivare in tre balzi al doppio della tua altezza, mentre tu tra qualche anno sarà già tanto se riuscirai a saltare all’altezza della mia coda. Sei pesante, diventi di pietra, con la tua strampalata idea che la mente cosciente sia soltanto nella testa. E invece la tua mente impara dal corpo un’infinità di cose. Vedi com’è semplice? » dice leccandosi. « Su, prova anche tu ».
E guarda l’umano.
L’umano guarda la televisione.
‘Capirà’ pensa il gatto, e si accoccola. ‘Non può essere così stupido da non capire’.
Secondo esercizio di gattoterapia
La mente è sana se il corpo è sano. Impariamo a fare ginnastica con la mente e a riflettere con il corpo..
Ma se davvero non ci arriva - a volte questo pensiero sfiora il gatto, - ma se è davvero irrecuperabile? Allora, ponderando che il tempo speso con lui sia obiettivamente sprecato, il gatto fa una cosa che gli uomini non notano proprio mai: si alza da dov'è e si allontana. Sale sul davanzale di una finestra, si siede con la punta della coda posata sulle zampe anteriori, e guarda fuori, lontano. E sospira, lentamente, così come noi scuoteremmo il capo.
La maggior parte dei gatti muore con un senso di disperazione didattica, come i più grandi guru e profeti che la storia ricordi, dopo una vita trascorsa a ripetervi infruttuosamente la prima lezione di mens sana in corpore sano mentre guardavate la tv. Chiudendo gli occhi pensano magari che sia stata colpa loro, che abbiano sbagliato qualcosa nel metodo, e si ripromettono di far meglio la prossima volta...
Ma Darwin e Lorenz non lo sapevano.
Data di Pubblicazione: 31 gennaio 2020