Scopri il significato di questo simbolo arcaico leggendo l'anteprima del libro di Giovanni Francesco Carpeoro.
Il labirinto, mito, simbolo e storia
La principale fonte di informazione relativa alla narrazione mitica del labirinto proviene dalle Metamorfosi di Ovidio. La narrazione è, per sommi capi, in questi termini. Minosse, figlio di Zeus (che si era trasformato in un toro bianco per amare sua madre, la bella Europa), regnava su Creta, dove aveva alla sua corte Dedalo, grande architetto, di origine ateniese, musico e inventore anche della danza.
Dedalo aveva ucciso, prima di trasferirsi a Creta, il geniale nipote Talos, perché invidioso di essere da questi superato in maestria. Poseidone, dio del mare e dei grandi sconvolgimenti atmosferici, volle dimostrare il suo favore a Minosse inviandogli un grande toro bianco, evocativo anche della sua origine, ponendogli una condizione: che dopo i festeggiamenti, il toro venisse a lui sacrificato. Minosse, per via della bellezza del toro, decise di tenerlo per sé, facendo un altro sacrificio a Poseidone. Provocò così la reazione dell'iracondo dio, che fece nascere un'insana passione per il toro medesimo in Pasifae, moglie del re.
Fu il geniale Dedalo a fabbricare per l'infelice regina un simulacro di mucca, dentro il quale la donna si nascose e, venendo posseduta dal toro tratto in inganno, riuscì a placare il suo tormento. Dall'innaturale unione nacque un mostro dalla testa taurina e il corpo d'uomo, il Minotauro, che venne rinchiuso al centro del labirinto, appositamente costruito da Dedalo. Intanto Minosse, a causa dell'uccisione del figlio, avvenuta durante i giochi di Atene, pretese dalla medesima città che, ogni nove anni, sette giovanetti fossero mandati a Creta affinché venissero dati in pasto al Minotauro. Dopo diciotto anni Teseo, figlio di Etra e di Egeo, re di Atene, ma forse figlio segreto di Poseidone, decise di andare egli stesso a Creta, con gli altri sei giovani, per interrompere il triste tributo, uccidendo il Minotauro.
Egli partì da Atene dispiegando sulla nave una vela nera e promettendo a suo padre Egeo che, se la missione fosse andata a buon fine, al ritorno l'avrebbe sostituita con una bianca. All'arrivo a Creta venne messo al corrente che le difficoltà dell'impresa erano due: uccidere il Minotauro e ritrovare la strada per uscire dal labirinto. La bella Arianna, figlia di Minosse, innamoratasi di Teseo, decise di aiutarlo e, su consiglio del geniale Dedalo, gli diede un'ascia bipenne, cioè doppia, unica arma capace di uccidere il mostro, e un gomitolo di filo, che l'eroe avrebbe dovuto srotolare entrando nel labirinto, lungo la via percorsa, per ritrovarla, riavvolgendolo, al ritorno. L'eroe eseguì la missione, poi salpò portando con sé Arianna, che venne poi abbandonata sull'isola di Nasso dall'eroe ingrato.
Arianna venne punita per aver concorso alla morte del fratello, ma fu una punizione di poca durata, perché presto divenne sposa di Dioniso. La maledizione di Arianna fece dimenticare a Teseo di sostituire la vela nera con quella bianca, cagionando il suicidio del padre Egeo, il quale vedendo la nave bardata a lutto entrare nel porto, si buttò nel mare, che da quel giorno prese il suo nome. Minosse, infuriato anche con Dedalo, rinchiuse il medesimo e il figlio Icaro nel labirinto. Il geniale architetto fabbricò delle ali di piume e cera per sé e per il figlio, fuggendo in volo. Ma anche per Dedalo era pronta la punizione per l'omicidio del nipote Talos, poiché, malgrado le sue raccomandazioni, il figlio Icaro, ebbro della sensazione del volo, si levò troppo in alto, vicino al carro del sole, il cui calore sciolse la cera delle ali, facendolo precipitare e morire.
Significato della parola "labirinto"
L'etimologia, molto incerta, del termine labirinto, viene attribuita comunemente, ma non senza contestazioni e ipotesi alternative, alla parola greca labrys, che designava l'ascia doppia o bipenne, una specie di scure sacrificale che aveva la lama da entrambi i lati. Tale simbolo è stato ritrovato a Creta, disegnato e inciso nel palazzo di Cnosso, ritenuto comunemente la sede del labirinto, con tale frequenza da supportare la deduzione che il medesimo avesse anche fornito l'etimo del nome della leggendaria costruzione.
Un'altra ipotesi etimologica trova fondamento nella concezione del labirinto come viaggio/ritorno al centro e nel ventre della terra. Ecco quindi l'uomo che torna alla materia originaria, come narrato nel mito di Deucalione e Pirra. I due, sfuggiti al diluvio scatenato da Zeus, ricevettero da un oracolo l'indicazione di gettare alle loro spalle le ossa della madre: si trattava delle pietre della terra. Le pietre lanciate da Deucalione si trasformarono in uomini, quelle lanciate da Pirra in donne. Il termine greco per pietra è laos, forma più antica di laas, che significa genericamente «popolo», mentre nell'Odissea viene adoperata come «uomini», «gente». Tale ipotesi esclude quindi che il labirinto debba il suo nome al termine labrus, l'ascia bipenne, bensì proprio al termine laos, «pietra».
Altre ipotesi vedono la parola labyrinqos legata all'etrusco thaura, «sepolcro» o al licio labra, «ipogeo». Oltre alle narrazioni mitiche dei due protagonisti Teseo e Arianna, e a quella dell'antagonista, il Minotauro, anche la figura di Dedalo è dal punto di vista simbolico rivelatrice e fondamentale. Dedalo, proveniente dalla patriarcale Atene, fu colui che giunto a Creta costruì il labirinto nel quale venne imprigionato il polo antitetico della civiltà umana, della polis: il mostro che divora i giovani della comunità ateniese, la cancellazione, o il sacrificio del suo futuro.
E proprio l'imprigionamento del mostro, la sua separazione dal contesto umano e sociale, è il vero presupposto dell'impresa di Teseo, l'uccisione del medesimo e l'annullamento della feroce ma parziale compensazione del suo imprigionamento, l'annuo tributo sacrificale da parte della civilissima Atene. Significativo è anche il nome stesso, Dedalo, comunemente ricollegato alla definizione di abile costruttore, senza che venga a sufficienza sottolineato il collegamento con le arti della fusione dei metalli, così fondamentali nella ars costruendi, ricollegabili all'etimo sumero dè-dal, «fiamma».
Il mitico costruttore resta però imprigionato dalla sua costruzione nelle viscere della terra e riuscirà a fuggire tramite due aspetti che dalla terra sono indipendenti: il genio di costruire le ali e l'aria, che le medesime sostiene. È doveroso anche sottolineare che le uscite dal labirinto nella narrazione mitica esaminata siano due: una orizzontale tramite il filo d'Arianna, dettato dall'amore, che consente di ripercorrere all'indietro il percorso d'ingresso, l'altra in verticale, tramite la costruzione delle ali da parte di Dedalo, ispirata alla ragione e al genio.
D'altro canto è duplice anche il simbolismo dell'eroina femminile: da un lato l'Arianna che cede alle lusinghe del maschile e aiuta Teseo a riuscire nella sua impresa, dall'altro lato l'Arianna meno banale, meno debole, ma anche più significativa per l'etimo del suo nome, che richiama sia il ragno (dall'ebraico arag, «tessere», «intrecciare», ma anche ereg, «tessuto») sia il grande contesto della tradizione iniziatica femminile, quella della tessitura, Minerva e Aracne in Grecia, la dea Neith in Egitto o Na'ma, figlia di Lamech e sorella di Tubakcain, di discendenza cainica nel mito massonico di tradizione biblica.
Infine, anche se abbiamo già avuto modo di farne cenno in precedenza, sarà opportuno sottolineare ancora la distinzione fondamentale della figura in esame dall'altro simbolo, pur collegato, della spirale, sulla base della caratteristica propria di un labirinto, e cioè quella di disegnare un percorso nel quale sia concreta e ricorrente la possibilità di sbagliare strada, e quindi perdersi. Pertanto gli elementi costituenti del simbolo del labirinto sono quattro: il punto di partenza, la meta, il percorso giusto e le deviazioni errate.
Data di Pubblicazione: 24 luglio 2019