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L'importanza del corpo e della dimensione energetica nella Nonviolenza

Apprendere Attraverso la Nonviolenza - Pio Castagna - Alfredo Panerai - Speciale

L'importanza del corpo e della dimensione energetica attraverso la Nonviolenza, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Pio Castagna e Alfredo Panerai.

L'importanza del corpo e della dimensione energetica nella Nonviolenza

Il limite di un approccio solo teorico

Il modo di apprendere la nonviolenza già descritto ha lo scopo di contenere i limiti di un approccio solo teorico. Siamo convinti che questo tipo di approccio presenti alcuni pericoli legati ad una visione della nonviolenza di tipo moralistico, dogmatico, monopolizzante ed astratto.

Nello stesso ambito dei movimenti e dei gruppi impegnati per il cambiamento sociale si assiste spesso ad un eccessivo disquisire su questi punti di principio, contribuendo ad inficiare la portata trasformatrice e a mortificare la forza propulsiva della nonviolenza, facendole perdere l'autobus dell’incisività sul piano concreto nei vari appuntamenti che la storia le ha riservato.

Riteniamo che tutte le possibilità di riscatto possano rimanere valide nella misura in cui si faccia un salto culturale e di mentalità.

Siamo consapevoli della complessità e della delicatezza del momento storico e politico che stiamo attraversando. Ma se per un attimo dovessimo dare fiato a quelle parole di M.L. KingHo un sogno” o a quelle di Gandhi quando disse “Sii tu il cambiamento che vuoi fosse nel mondo” tutto potrebbe cambiare.

Noi invitiamo a credere nella nonviolenza come forza di cambiamento, come se fosse una fede.

Come in ogni fede, o si crede, e si crede realmente, o altrimenti si va ad infoltire il girone degli ignavi a cui fa riferimento Dante nella "Divina Commedia" e per i quali pare non avesse avuto una grande stima.

Un canto popolare brasiliano dice “Se un uomo sogna da solo è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia”. E allora cominciamo a sognare, perché il sogno rappresenta la prima fase di un progetto che, per assumere il carattere di concretezza, necessita del confronto con la realtà sociale, culturale, politica ed economica in cui siamo situati, e anche di una presa di consapevolezza nostra.

 

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Quando la Nonviolenza è integrazione tra mente, corpo ed emozione

Il punto da cui partiamo per questo viaggio è una domanda: come mai, pur essendo convinti di un’idea, pur avendo fatto un'analisi rigorosa della bontà di un comportamento da adottare, poi non riusciamo a cambiare nella direzione di quell'idea e di quel comportamento?

Facciamo come quel fedele che in confessionale, pur promettendo di non fare più quel peccato, poi ci casca di nuovo oppure come quel bambino che ripetutamente trasgredisce l'ordine della madre di non prendere più la marmellata dal frigorifero. Perché al fermo convincimento di un’idea o di un proposito non sempre corrisponde la prassi conseguente?

Ricordiamo l’esperienza di un setting formativo condotto alcuni anni fa. Fummo colpiti dal comportamento di una persona che, già dal momento in cui si presentò, rivelò molto di sé perché era inchiodata alla sedia, in posizione quasi perfettamente simmetrica, senza staccare il palmo delle mani dai braccioli della sedia, senza che lasciasse recepire tratti di respiro.

Sembrava quasi una statua che magicamente parlasse, sciorinando parole da un freddo paradiso mentale, perfetto nella sua cronica immobilità. In quel momento, quella persona ci trasmetteva informazioni di sé, ma non emozioni.

Quel suo atteggiamento, a livello epidermico ci procurava un po’ di fastidio ma anche un po’ di compassione per lui. Probabilmente quella persona, come tante altre, viveva in un mondo immateriale, fatto di idee e strutture logiche, ma privo di emozioni.

Vedendolo così incollato a quella sedia, la nostra fantasia ci diceva che probabilmente ci trovavamo di fronte ad un individuo talmente spaventato da rimanere paralizzato e condannato a dirigere tutta la propria energia nel movimento mentale.

 

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Abbiamo citato questo esempio per dire che, per essere persuasi della nonviolenza, dal nostro punto di vista, non basterà avere chiaro in mente tutto il suo quadro teorico, l’enucleazione dei suoi principi e la conoscenza di tutte le tipologie di gestione nonviolenta dei conflitti, se poi non si fa esperienza del conflitto interiore — fatto di gestione personale delle emozioni, del proprio corpo e della mente — non si cerca cioè un approccio globale con le varie parti di cui si è costituiti.

Un ruolo centrale hanno le emozioni. L'emozione è causata da un evento per il quale la persona prova sensazioni, pensieri, azioni e risponde a questo stimolo con una secrezione ormonale che attiva nel corpo una carica energetica, che noi chiamiamo “emozione”.

Questa produce una tensione fisica e psicologica crescente che cerca di liberarsi attraverso risate, pugni, lacrime che diminuiscono la tensione ed eliminano gli ormoni dello stress. Così il corpo può cominciare a rilassarsi e l’energia scorre liberamente, la salute organica è preservata, l'emozione si smorza e la persona è pronta per accoglierne un’altra.

A nostro avviso, nell'esempio di quel signore rigido citato sopra, se nella sua vita avesse fatto esperienza del ciclo dell’emozione, se avesse mostrato competenze nella gestione del conflitto intrapersonale, avrebbe aumentato la coerenza tra il dire e il fare, tra ciò che è chiaro in mente e il comportamento conseguente.

Se vogliamo impegnarci per il cambiamento sociale, sarà necessario riflettere sul modo con cui superare i blocchi personali, costituiti da incertezze, timori, dubbi, angosce, disagi, paure, preoccupazioni e così via.

Blocchi che non ci consentono di essere soggetti sociali di cambiamento se non a parole; blocchi che costituiscono delle oppressioni che ci risucchiano e, nel lungo termine, demotivano l’impegno. Oppressioni che Boal definiva “invisibili” ossia non chiaramente e immediatamente identificabili in una persona o in una struttura, eppure in grado di coartare ugualmente la volontà, la libera espressione dei bisogni e l'esercizio della rivendicazione dei diritti.

Sarà proprio l’attenzione al corpo e alla sua dimensione energetica la chiave attraverso cui liberarci da quelle oppressioni; ma andiamo per gradi.

Ci sono momenti in cui non ci si sente bene, si avverte un peso sullo stomaco, la mente è confusa e i pensieri straripano. Questi disturbi di ansia, vuoto o irrequietezza sono la punta più visibile di un iceberg. Cosa fare in questi casi? Fuggire? Bere? Drogarsi? Dimenticare? Rimanere incollati alla televisione o allo smartphone? Evidentemente si tratta di diverse forme di violenza che faremmo a noi stessi.

 

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Il primo livello della nonviolenza è quello di non nuocere a se stessi. D'altronde una società così atomizzata e deprivata di relazioni umane e sociali significative non può che creare disturbi nelle persone. È il prezzo da pagare per questo sistema economico dove conta soltanto il denaro, il successo e la ricchezza.

Ma il nonviolento non è politicamente uno sprovveduto, conosce la realtà e se si dilunga, come stiamo facendo, nella riflessione sul piano del conflitto interiore, non certo per onanismo intellettuale o per sviare dal conflitto sociale, quanto per avere contezza di quei blocchi personali che, piaccia o meno, fanno parte della realtà con la quale misurarsi.

Nella misura in cui si affrontano e si risolvono le situazioni personali di impasse, si sarà in grado di affrontare più efficacemente gli altri livelli del conflitto, non fosse altro perché si avrà maggiore serenità. Apprendiamo dalla nonviolenza che non esiste un prima e un dopo: i due livelli del conflitto vanno affrontati contemporaneamente.

Per non nuocere a se stessi e per uscire dai rischi dell’individualismo, un piccolo rimedio c’è ed è anche alla portata di tutti: trovare una persona con cui stabilmente conversare e con cui condividere l’infelicità nascosta.

Chi fa vita di coppia o di famiglia può essere avvantaggiato, ma non è detto, visto che coppie e famiglie a volte risultano distratte dalle seduzioni o dai problemi causati dalla società, per cui trovare una persona fuori da questi ambiti potrebbe fare al caso.

Il risultato di questo ascolto profondo sarà il sollievo per il protagonista, in quanto potrà chiarire i suoi pensieri e gli atteggiamenti conseguenti diverranno più positivi. In questo modo la persona può iniziare a provare speranza, poiché il confronto profondo con un’altra persona permette l’espressione dei propri vissuti emotivi e questa rappresenta un importante fattore di salute psicofisica, in alternativa all’inibizione dell’azione che porterebbe invece al disagio psicologico o psicosomatico.

Quando si riesce a trovare una persona con cui parlare di tutto, con la certezza di essere ascoltato e capito; quando ci sentiamo in sintonia con un altro essere umano, ci riesce più facile rivelare ciò che ci turba e diventa possibile assumere la responsabilità di agire, per cambiare la situazione.

In questo senso siamo tutti protagonisti della nostra vita, poiché tutti possiamo assumere la responsabilità principale di decidere cosa va fatto e di prendere provvedimenti risolutivi per i nostri problemi. L'altro che ci ascolta può dare sostegno e incoraggiamento, ma la soluzione è personale.

 

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Data di Pubblicazione: 29 marzo 2023

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