Inizia il cammino mano nella mano di Katunda, il serpente delle origini, alla scoperta di te stesso, leggendo l'anteprima del nuovo libro di M. M. Judas.
In compagnia di Katunda, l'antico serpente
L'orripilante premessa
Quella mattina mi svegliai di colpo a seguito di un incubo. Mi svegliai sudato e ansimante, col cuore in gola per la paura di quello che avevo visto, ascoltato e vissuto nell’orribile sogno. Spalancai gli occhi, presi fiato come dopo una lunga apnea, mi ritrovai seduto sul letto ancor prima di essere sveglio e mi guardai intorno nella penombra dell’aurora.
Solitamente è un sollievo svegliarsi da un incubo, le prime parole che pensi sono: "Era solo un sogno, per fortuna era solo un sogno". Io mi guardai intorno, lentamente, guardai la sveglia sul comodino, quell’orribile sveglia che faceva “tic-tac”. Con tutte le sveglie silenziose che esistono, perché ne avevo una che faceva tic-tac?
Guardai il comodino su cui era appoggiata la sveglia, quel maledetto comodino sbilenco che aveva bisogno di un libro sotto uno dei piedini per poter stare dritto. Poi guardai il maledetto lucernaio, da cui filtrava quella maledetta flebile luce, preludio di un'altra maledetta giornata.
Infine, riappoggiai la testa sul cuscino e chiusi gli occhi, nella speranza di riuscire a tornare nell’incubo. Perché a volte, raramente, un orribile incubo è meglio di un’infernale realtà. Credo che la differenza la facciano gli odori. Nella realtà puoi sentire l’olezzo della vita che marcisce. Nei sogni, no.
Anche nei lavori di immaginazione puoi riuscire a vedere, a udire, perfino a toccare... ma sentire gli odori è la cosa più difficile. E io non ne potevo più del fetore della vita. Ma l’anelato incubo non tornò e io restai sveglio, in quella putrescente realtà.
Ci misi anni a incontrarla, Katunda, il serpente delle origini e le origini del serpente. Fu lei a presentarsi, a dirmi chi fosse, ma non mi chiese mai chi fossi io. Forse perché sapeva che non lo sapevo. Ad ogni modo fu lì che la incontrai, dopo anni e anni e anni, inaspettatamente, nel bel mezzo di un arido deserto, il più arido che tu possa immaginare.
Katunda non sorride e non sbatte mai le palpebre. E quando le stai di fronte, non distoglie mai, mai lo sguardo dai tuoi occhi. Mai. Può sembrare inquietante, ma non lo è. La verità è che se arrivi fin lì, hai tutta la sua attenzione. E non so se questo è sempre un bene.
Ad ogni modo, è così. Mi chiese come fossi arrivato lì, ai confini del nulla. Anche questo lei lo sapeva, ma voleva essere sicura che io l’avessi capito. Il vento caldo e secco del deserto alzava vortici di sabbia intorno a noi mentre parlavamo, e faceva ondeggiare le sue vesti leggere.
Ma io non avevo caldo, né fame, né sete, né sonno, non ero stanco. Stranamente non ero stanco. Sapevo com'ero arrivato lì, e glielo dissi: "Ho rinunciato a ogni speranza".
Per un attimo, solo per un attimo, ebbi l'impressione che le stesse salendo un sorriso, ma non accadde. Annuì una sola volta, imperturbabile, evidentemente soddisfatta. "Cosa speravi?" mi chiese. Ero nudo davanti a lei, e non avevo alcun motivo di mentire.
Nessuna vergogna, nessun rimpianto, solo la verità. Speravo di riuscire, a un certo punto, a cominciare a vivere, ma non accadde mai. Speravo che qualcuno potesse leggere dentro al mio cuore, senza troppe parole, ma non accadde mai. Speravo di riuscire a capire chi fossi, cosa volessi, ma non accadde mai.
Speravo che se fossi stato leale, onesto e limpido, gli altri lo avrebbero apprezzato, ma non accadde mai. Speravo di non essere frainteso, ma non accadde mai. Speravo di riuscire a trasformare il mondo intorno a me, in modo che fosse vivibile, o almeno sopportabile. Ma non accadde mai.
Infine, smisi di sperare. E qualcosa accadde. Smisi di sperare e per un infinito attimo morii. In quel deserto, in piedi di fronte a lei, ero all’interno di quell’infinito attimo. È proprio vero: la speranza è l’ultima a morire. Poi tocca a te.
Lo so, lo capisco, può sembrare un po’ fastidiosa come premessa, ma è così che tutto è cominciato. E da dove dovrei introdurre se non dall’inizio? E se l’inizio deriva da una morte, perché non dirlo? Non è la vita stessa un continuo evolversi morte dopo morte? E perché ne abbiamo così timore? Perché tutto cambia. Solo perché tutto cambia.
Dopo ogni morte tutto cambia, niente è più come prima. Questo lo temiamo, anche quando le condizioni presenti sono orribili, anche quando tutto ciò che è ci è insopportabile, anche quando non ne possiamo più. Questo è curioso, se ci pensi. La speranza è attaccata alla vita e questo scritto parla del coraggio.
Il coraggio di abbandonare ogni speranza e di lasciare che le morti che pazientemente ci attendono sopraggiungano senza ostacoli, al fine di fonderci con loro, di assecondarle, di lasciarci cullare nelle loro scheletriche e amorevoli braccia. Ti hanno fatto credere che la Nera Signora è maligna.
Ti hanno detto che porta la fine di tutto. Ti hanno illuso che le puoi sfuggire, che la puoi ingannare. È infine ti hanno insegnato a temerla. Non ti hanno mai parlato di quanto fosse gentile, del carico di generosità di cui è abbondantemente provvista la sua abile falce.
Non ti hanno mai raccontato quali limpidi occhi si celano sotto quel tenebroso cappuccio. Non ti hanno mai fatto vedere quanta vita nasce dietro ogni suo delicato passo. E mai immagineresti il profumo che segue il suo passaggio, come a un campo concimato segue un prato fiorito.
Io ci proverò. Proverò a farti intuire quello che ho visto. Quello che vedo ogni volta che si dissolve il velo di un’inutile paura. Quello che scorgo dopo aver accantonato una sterile speranza.
Si, è vero: la speranza è l’ultima a morire. Poi, finalmente, tocca a te.
L'assennata premessa
Parcheggiai la macchina in mezzo agli alberi, aprii la portiera e un'ondata di aria frizzante e profumata di sottobosco mi inondò. Presi lo zaino e il sacco a pelo dal baule e mi incamminai verso quello splendido casale, sprofondato nel verde, in cima a una collina.
L’alba era da poco passata quando arrivai. Nonostante fossi in orario, ero l’ultimo. Nell’ampio spazio del cortile, una dozzina di persone che non conoscevo mi stava osservando curiosa. Non ero a mio agio, non lo ero mai in mezzo alla gente, ma volevo fare quell'esperienza.
Mi avvicinai, mi presentai, chiacchierai. Da dove vieni, come ti chiami, quanti anni hai, che lavoro fai, hai figli, sei sposato, hai già fatto qualcosa del genere, è la prima volta... le domande si susseguivano e io ero curioso di cominciare quei tre giorni di ritiro e meditazione insieme a degli sconosciuti.
Ero abituato a fare meditazione, ormai era una necessità per me, come mangiare, bere e dormire, ma era la prima volta in assoluto che lo facevo insieme ad altre persone, lontano dagli angoli appartati, solitari e silenziosi di casa mia. Dopo un'ora eravamo seduti in cerchio, pronti per cominciare, e l'organizzatore chiese se qualcuno avesse delle domande o delle osservazioni da fare prima dell’inizio.
Quasi subito un uomo alzò la mano e parlò in questo modo: "Che aspettative avete da questa esperienza? Cosa volete portare a casa da questa meditazione di gruppo?"
Trasalii e lo guardai stupito, non capivo se scherzasse, se provocasse... poi capii che era serio. Voleva davvero conoscere le nostre aspettative e ci disse le sue. All’inizio non comprendevo la domanda e quando si rivolse a me dissi la verità: nessuna aspettativa.
Quando medito divento solo un osservatore di ciò che emerge, credo sia controproducente avere aspettative in questo contesto. Ma dalle risposte che udii mi resi conto che per molti non era così. Il Buddha si è illuminato durante una meditazione, quindi se uno più uno fa due, la meditazione porta all’illuminazione.
Rimasi abbastanza turbato da quelle considerazioni, probabilmente c'erano domande importanti che non mi ero mai posto, era a questo che pensavo alla fine di quella giornata, quando dopo la frugale cena, nel bel mezzo del cortile, mentre guardavo una delle lune più belle che avessi mai visto, mi rollai una sigaretta, provocando intorno a me commenti scandalizzati e ovazioni sorprese.
"Tu fumi? Ma come? Fai yoga, fai meditazione e fumi?" Alcuni di loro erano increduli e mi guardavano con aperto disappunto. Qualcuno arrivò a chiedermi se mangiassi anche la carne, come aggravante della mia già precaria situazione.
Allora le domande, che già si erano insinuate dal mattino nella mia testa, aumentarono. E fu così che in quello splendido luogo, attorniato da quelle profumate colline, con quella meravigliosa luna sospesa nel cielo, mi venne voglia di urlare un'imprecazione, così da fugare ogni dubbio sulla mia dissolutezza.
Invece sorrisi, finii la sigaretta, dissi buonanotte e mi ritirai nella mia “cella”, seduto sul sacco a pelo, a meditare. Era il giorno del mio quarantacinquesimo compleanno.
Data di Pubblicazione: 9 marzo 2022