SALUTE E BENESSERE

L'Insegnante di Yoga - Le Tecniche e le Basi - Volume 1 - Anteprima del libro di Mark Stephens

L'energia sottile

L'energia sottile

Nel primo capitolo abbiamo visto come la nascita e la diffusione delle tradizioni tantriche ha contribuito alla nascita dell'Hatha Yoga, una pratica che insiste sull’esperienza corporea. Gli antichi adepti dell'Hatha Yoga, invece di iniziare dalla meditazione o da altri tipi di pratiche, lavoravano sull’esperienza immediata del corpo fisico. Lo scopo era penetrare attraverso i diversi strati dell’essere che separavano la loro sfera individuale (che includeva la dimensione fìsica e mentale) dalla totalità della natura o dalla dimensione divina. Attingendo alla remota tradizione sapienziale delle Upanishad e da tantissime tradizioni esoteriche, trasmesse attraverso pratiche rituali, canti e narrazioni, intrapresero la loro ricerca sulla base di un modello descrittivo della coscienza e dell’essere via via più complesso. Questo modello è alla base di quelle che oggi conosciamo come l’anatomia e la fisiologia tradizionali dello yoga. Alcuni considerano queste idee una descrizione letterale di processi interiori, mentre altri le considerano semplici simboli da utilizzare nella pratica e nell’insegnamento, utili per tracciare una mappa della via che conduce alla trasformazione di sé attraverso l'Hatha Yoga.

La motivazione principale dello yoga, come affermato da Krishna nel suo dialogo con Arjuna sul campo di battaglia, è di trascendere l’illusione del sé e congiungersi con il vero sé, o atman. Negli Yoga sutra Patanjali spiega in modo più preciso la natura dell’illusione del sé: essa è basata sulle afflizioni mentali (klesha), che ci intrappolano in uno stato di confusione e alienazione. L’ignoranza (avidya), ovvero l’afflizione principale, ci costringe a identificare il nostro sé con la mente e l’esistenza materiale. Dopo secoli di prove ed errori gli yogin «scoprirono che potevano sciogliere la dolorosa ed erronea identificazione, percorrendo a ritroso la via presa dall’essere umano, attraversando diversi livelli di realtà, dal più grossolano e fisico con cui ora ci identifichiamo, fino ai livelli più raffinati della coscienza» (Cope 1999, p. 67). Nel corso di questo processo di scoperta gli yogin dell’antichità descrissero in modo dettagliato un sistema energetico inerente all’essere umano, che è possibile sviluppare ed elaborare consapevolmente. Si tratta di un sistema complesso che combina la medicina scientifica e le teorie dell’anatomia e della fisiologia e si basa su idee che sono al tempo stesso mistiche, simboliche e pratiche. In questo capitolo tratteremo alcuni degli elementi principali di questo sistema e il modo in cui si influenzano reciprocamente. Prenderemo in esame i kosha, i prema, le nadi, i bandha, i chakra, i guna e i dosha e ci soffermeremo via via a riflettere su come rendere questi concetti qualcosa di realmente vissuto nel nostro insegnamento.

Le cinque guaine

Un concetto cardine dell’anatomia sottile è che l’energia di ciascun essere incarnato è contenuta all’interno di una serie di cinque guaine (kosha) connesse l’una all altra, che insieme compongono i “tre corpi” {sharira). La teoria dei kosha è delineata per la prima volta nella Taittirìya Upanishad (Gambhirananda 1989) e permette di tracciare una mappa del viaggio interiore dello yoga:

Lo schema dei kosha è strutturato a partire dalla guaina più esterna, quella del corpo fisico, fino ad arrivare alla parte essenziale dell’anima incarnata. Non si tratta di un modello descrittivo del corpo di tipo anatomico ma, come dice Shiva Rea (2002): «È una metafora per descrivere ciò che si prova praticando lo yoga a partire dall’interno di sé, è il processo di allineamento di ciò che oggi chiamiamo “mente, corpo e spirito”, o “connessione tra la mente e il corpo”». Nello yoga si utilizza questo schema per descrivere la natura dell essere, così da armonizzare il corpo, il respiro, la mente, la saggezza e lo spirito o beatitudine. Le cinque guaine sono un tutto energetico, i cui singoli aspetti sono attivi simultaneamente, come nella trame di un tappeto. L Hatha Yoga è un mezzo per divenire consapevoli della trama dell’esistenza, una trama in cui il corpo fisico e i corpi più sottili sono interconnessi, così da portare la consapevolezza in uno stato di sempre maggiore beatitudine.

Il corpo fisico

VAnnamaya kosha è la guaina del sé fisico e prende il nome dal “cibo” dal quale è composto (arma significa appunto “cibo” e maya “fatto di”). La pratica MV Hatha Yoga comincia dall’esplorazione del corpo fisico, anche se è solo l’inizio di tutto il lavoro. In questa dimensione dell’esistenza facciamo esperienza della materia, che è una combinazione di energia e coscienza, anche se non siamo pienamente consapevoli di questa interconnessione. Lo yoga inizia ad accadere nel momento in cui incominciamo a esplorare e a fare esperienza del corpo fìsico nelle sue molteplici connessioni con il corpo energetico, quello intellettuale e quello della beatitudine.

Il corpo sottile

Il Pranamaya kosha, o guaina dell’energia, connette il corpo fìsico con gli altri kosha,, dando vitalità al corpo e alla mente e mantenendoli uniti. E composto dal prana, ovvero dalla forza vitale e pervade tutto l’organismo, manifestandosi, a livello fisico, nel flusso e nel movimento costante del respiro. Essendo parte del corpo sottile, non è possibile vedere o toccare il prana, che scorre nelle centinaia di nodi, o canali energetici, sostenendo l’intero sistema fisico ed energetico. La vita continua fin quando nell’organismo permane questo elemento vitale. Dal punto di vista fisiologico il Pranamaya kosha è associato al sistema respiratorio e a quello cardiaco, ma non è riducibile o sovrapponibile ad essi. Insegnando il pranayama ai nostri allievi, possiamo mostrare loro come espandere e dirigere questa energia per sviluppare un’interazione più fluida e armoniosa tra i kosha, integrando il corpo, la mente e lo spirito. E possibile lavorare sul respiro nel corpo fìsico durante il lavoro di esplorazione delle asana: sperimentando le posizioni, tenendole in modo statico, raffinandone i vari aspetti e uscendo da esse in modo fluido, espandiamo la consapevolezza oltre il corpo fìsico. Usando il prana, come base e guida del nostro lavoro, iniziamo a scoprire le sue manifestazioni più sottili, ovvero i diversi prana vayu, ciascuno dei quali ha un suo modo di muoversi nel corpo e un suo effetto.

Il Manomaya kosha è composto da moti as, cioè dalla mente e dalle cinque facoltà sensoriali, ed è la sede della capacità di pensare e giudicare. E associato al cervello e al sistema nervoso e distingue gli esseri umani dagli altri organismi viventi. Eia la capacità di differenziare ed è la causa della distinzione tra “io” e “mio”, concetti in base a cui può creare uno stato di libertà o di legame. Il respiro fa da ponte tra questa guaina e il corpo fìsico, come possiamo facilmente constatare nel momento in cui uno stress mentale compromette la nostra capacità di respirare normalmente e il nostro benessere, o quando invece il lavoro sul respiro ci porta a sperimentare uno stato di unità tra il corpo e la mente o un senso di pace interiore.

Il Vijnanamaya kosha, la guaina “composta di coscienza” (vijnana) si riferisce agli aspetti riflessivi della coscienza legati alla discriminazione, alla decisione e alla volontà. E associato agli organi della percezione ed è l’aspetto che determina il nostro senso di individualità. L’aspetto riflessivo della coscienza è presente nel momento in cui sperimentiamo una visione più profonda di noi stessi e del mondo. A volte il Vijnanamaya kosha è definito “guaina della saggezza”, pur continuando a identificarsi con il corpo (soggetto al cambiamento e non senziente) e con il pensiero. Ma nel momento in cui percepiamo il corpo fìsico e i corpi sottili come un unico insieme, maturiamo una visione più profonda dell’unità del sé e della natura, dell’ego e della sfera divina. Se questa esperienza è ancora ricoperta dalle tracce della memoria, ovvero da manas, l’identità resta incentrata sull’ego, ovvero sul Vìjnanamaya kosha e non sul sé supremo. Ma, come afferma Shiva Rea, quando «il testimone dell’esperienza si dissolve nell’esperienza del momento presente» Vanandamaya kosha può finalmente rivelarsi.

Il corpo casuale

L’anandamaya kosha è la guaina della beatitudine, o ananda, un concetto già presente nelle Upanishad. Esso è conosciuto anche come corpo causale (Karana sharira). È la coscienza eternamente presente, che è stata e sempre sarà, anche quando la mente, i sensi e il corpo sono inattivi, come accade durante il sonno. Si manifesta spontaneamente nei momenti di quiete interiore e di tranquillità, catturando un riflesso della sfera divina, che è beatitudine assoluta.

Il prana

Il prana viene descritto in diversi modi: come l’energia che pervade l’universo a tutti i livelli; come energia fisica, mentale, intellettuale, sessuale, spirituale e cosmica; come l’insieme delle energie vibranti; come tutte le forme di energia, quali il calore, la luce, la gravità, il magnetismo e l’elettricità; come l’impulso fondamentale alla base di ogni attività; come l’energia che crea, protegge e distrugge; come il vigore, il potere, la vitalità, la vita e lo spirito; come il principio della vita e della coscienza; come il soffio di vita di tutti gli esseri nell’universo; come il perno su cui gira la ruota della vita; come essere e non essere.

Queste sono soltanto alcune definizioni del prana che, insieme, si riferiscono alla forza vitale che sostiene la vita e permea gli esseri viventi e l’energia, in tutti i processi naturali dell’universo. La sua importanza viene sottolineata in una storia riportata nella Chandogya Upanishad (Nikhilananda 2008), dove si narra di come le cinque principali facoltà della natura, cioè la mente, il respiro (ovvero il prana), la parola, le orecchie e gli occhi, discutessero su quale tra loro avesse la supremazia. Questa disputa rispecchia la condizione umana ordinaria, nella quale le facoltà non sono integrate ma competono per ottenere la nostra attenzione. Per risolvere la disputa viene deciso che ciascuna dovrà, a turno, abbandonare il corpo per verificare cosa accade in sua assenza. Alla fine il prana risulta il vincitore della contesa, dato che, senza il respiro, non c’è vita. Tuttavia, benché il prana sia associato al respiro, è qualcosa di più della semplice aria che respiriamo. Nei Veda, negli Yoga sutra e nella Hathayoga pradipika, il respiro è considerato la porta di accesso al mondo delle correnti energetiche vitali generate nel corpo umano e responsabili dei processi biologici. La prima esposizione delle concezioni relative al prana si trova nelle Upanishad, dove è considerato parte della dimensione del mondo fisico, sostegno del corpo e madre del pensiero e, dunque, della mente. Nella Taittiriya Upanishad vengono descritte cinque manifestazioni energetiche, o funzioni, del prana dette vayu, cioè “venti” o “soffi” (Gambhi-rananda 1989, 1. vii. I):

Esistono diversi modi per portare gli allievi a una maggiore consapevolezza dei vayu durante una lezione guidata.

  1. Il Prana vayu, che ha sede nel centro spirituale del cuore, viene risvegliato da Wujjayi pranayama, che lo distribuisce in tutto il corpo. Poiché governa l’area che va dalla gola al centro del cuore, è associato al jalandhara bandita, che regola l’afflusso del respiro e dell’energia. Accompagnare gli allievi nell’osservazione del flusso cosciente dell'ujjayi pranayama è un modo efficace per stimolare una consapevolezza più sottile del jalandhara bandha, che a sua volta aiuta a equilibrare la circolazione di energia sperimentata nella pratica.
  2. L’Apana vayu è la forza energetica associata all’espirazione. Regola l’eliminazione delle scorie, agendo al livello dei reni, del colon, del retto, della cistifellea e degli organi genitali per mantenere in equilibrio l’organismo. Il suo buon funzionamento è favorito dal radicamento ottenuto grazie alle posizioni in piedi e dallo sviluppo del pada bandha e del mula bandha. Portare gli allievi a una maggiore consapevolezza di queste azioni energetiche e suggerire loro di espirare completamente contribuisce a creare un maggiore senso di radicamento, che a sua volta determina una maggiore risolutezza e una maggiore chiarezza nelle azioni.
  3. Il Samana vayu presiede all’area che va dal cuore all’ombelico. È l’energia che alimenta il fuoco interiore, è associato al Manipura chakra e alla forza di volontà che esprimiamo nel mondo. Nella pratica delle asana si possono portare gli allievi a risvegliare e ad equilibrare il Samana vayu attraverso il lavoro addominale, incoraggiandoli a sperimentare come muovere l’energia in modo ampio e profondo nel centro del ventre. Alimentare in modo eccessivo il fuoco con una contrazione eccessiva e prolungata dei muscoli addominali può far sì che l’allievo esprima la propria energia senza discernimento, o addirittura con rabbia, sia nella pratica sia nella vita quotidiana. Il kapalabhati pranayama è uno strumento efficace per alimentare il fuoco, ma va eseguito mantenendo un senso di leggerezza. Esplorare le sensazioni di leggerezza e agio durante il lavoro addominale vigoroso porta un maggiore equilibrio del Samana vayu.
  4. L'Udana vayu presiede all’area che va dalla gola alla testa ed è associato al Vi-shuddha chakra, è la forza energetica che attraverso l’espulsione delfaria permette di esprimersi con la voce. Quando è squilibrato porta ad esprimersi in modo sconnesso e incoerente. Gli effetti purificanti della pratica delle asana e del pranayama equilibrano il flusso dell'Udana vayu. Insegnare agli allievi come praticare Yujjayipranayama, sia in modo intenso sia in modo leggero, è un sistema efficace per aiutarli a trovare l’equilibrio energetico profondo che può permettere loro di esprimersi in modo più chiaro e con maggiore facilità. Guidando pratiche di visualizzazione e meditazione, si possono suggerire agli allievi modalità di esplorazione dell'Udana vayu ancora più raffinate.
  5. Il Vyana vayu è associato all’elemento dell’acqua e circola in tutto il corpo, fungendo da forza unificante di tutti gli altri vayu. È la qualità dell’energia che dà il senso di completezza e unità. Nelle relazioni interpersonali agisce sulla superficie del corpo, dando la sensazione dei propri confini. Governa inoltre il senso interiore dell’equilibrio e della coordinazione. La pratica equilibrata delle asana, del pranayama e della meditazione porta un maggiore bilanciamento del Vyana vayu e favorisce la creatività (associata allo Svadhi-shthana chakra) facendola fluire più liberamente. Insegnare pratiche equilibrate dal punto di vista energetico, che incoraggiano l’allievo ad esprimere creatività e giocosità, forza e flessibilità, è un modo efficace per accrescere il flusso armonico del Vyana vayu.

Questo testo è estratto dal libro "L'Insegnante di Yoga - Le Tecniche e le Basi - Volume 1".

Data di Pubblicazione: 30 settembre 2017

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