L'insonnia è curabile ma dobbiamo sapere come affrontarla. Scopri la sua origine, le cause e le cure.

Insonnia - Cause e Cure

Che cos'è l'Insonnia?

Il termine insonnia indica un fenomeno soggettivo, perché ogni persona ne ha una percezione individuale. Alcuni trovano naturale dormire 3 o 4 ore per notte: sono i cosiddetti dormitori brevi, che dormono meno del 75% delle ore di sonno necessarie ai loro coetanei. La storia annovera in questa categoria personaggi illustri, come Thomas Alva Edison e Napoleone.

Per i dormitori lunghi invece, tra cui ricordiamo Albert Einstein, 9 ore di sonno sono il minimo necessario per sentirsi in forma. Secondo il profilo psicologico tracciato da un ipnologo americano, i dormitori brevi sono persone efficienti, ambiziose, conformiste, sicure di sé e poco apprensive. I dormitori lunghi sono meno soddisfatti di sé, più critici, apprensivi, leggermente depressi, ma spesso dotati di creatività e senso artistico.

In linea teorica, l'optimum si colloca, per un adulto, attorno alle 7-8 ore di sonno.

Si può definire ‘insonne’ una persona che ha difficoltà ad addormentarsi o che non riesce a dormire quanto, e soprattutto come, vorrebbe.

L’insonnia infatti si manifesta non soltanto come difficoltà ad addormentarsi in presenza di un bisogno fisiologico di sonno; molto spesso una persona si autodefinisce accompagnata da stati di ansietà.

Statisticamente, l’insonnia presenta nel corso della vita un andamento ondulatorio: 

  • tra i 20 e i 40 anni il disturbo sembra affliggere prevalentemente le donne, specie se sposate e casalinghe, con una percentuale del 23,1% contro il 14,7% della popolazione maschile;
  • intorno ai 45 anni, il numero degli insonni si attesta sul 20% in entrambi i sessi;
  • verso i 55 anni, le insonnie femminili registrano un’impennata, con valori attorno al 40%, mentre quelle maschili salgono al 30% intorno ai 60 anni.

Si può dunque ritenere che l’insonnia femminile abbia un picco in corrispondenza della menopausa, e quella maschile aumenti in concomitanza con l’età del pensionamento, due eventi che possono instaurare uno stato psicologico di ‘lutto’ a causa della perdita ‘di ruolo’ o della perdita di ‘identità personale’.

 

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Il sonno per gli antichi

Credenze antiche e ipotesi scientifiche: fin dai tempi antichi l’uomo ha considerato il sonno come una condizione di perfetto riposo, assolutamente necessario per ristorare il corpo e la mente dopo le fatiche della giornata: una fase durante la quale il cervello ‘interrompe’ qualsiasi attività, chiudendosi agli stimoli del mondo esterno, e il corpo è in un atteggiamento quasi di morte apparente.

Questo parallelo tra morte e sonno era così sentito che per gli antichi Greci il dio del sonno, Ipno, era fratello di Tanatos, dio della morte.

Gli antichi credevano che, durante il sonno, l’anima dell’uomo fluttuasse in uno stato intermedio tra vita e morte e potesse quindi ricevere messaggi dagli dèi, sotto forma di sogni rivelatori, ma anche cadere preda dei demoni.

Molti filosofi, tra cui Platone, erano convinti che fossero i vapori dei cibi digeriti dallo stomaco a far addormentare le persone.

Altri, invece sostenevano che il fattore responsabile del sonno fosse la pressione esercitata da un accumulo di sangue nel cervello: questa teoria ebbe seguaci ancora nel XVIII secolo.

 

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Perché si dorme?

Per quanto sconcertante possa sembrare, nonostante i circa 100 anni di studi sull’argomento e la mole di dati ricavati, non siamo ancora riusciti a capire quale sia il significato funzionale del sonno. In altre parole, non sappiamo perché dormiamo.

Sappiamo però che la privazione del sonno causa un grave stress all’organismo, un deperimento che, nell’animale, può portare anche alla morte. Il sonno quindi è da considerare indispensabile per l’economia vitale dell’individuo. La mancanza di certezze non ha impedito un’intensa fioritura di ipotesi sul significato del sonno.

Le principali ipotesi:

  • Secondo la teoria adattativa, basata sull’osservazione degli animali, il sonno avrebbe il compito fondamentale di migliorare l’adattamento all’ambiente e favorire l’evoluzione. Grazie all’estrema plasticità del sistema nervoso centrale, durante il sonno le esperienze del periodo di veglia s’imprimerebbero stabilmente nel cervello, determinando continui aggiustamenti nel rapporto tra l’individuo e il suo ambiente che aumentano le capacità di sopravvivenza.
  • ipotesi energetica, durante il sonno si verifica un riequilibrio omeostatico delle funzioni superiori della corteccia cerebrale, allo scopo di favorire i processi di apprendimento e la memoria. Proprio da questa ipotesi ha preso origine la convinzione, molto diffusa fino a qualche tempo fa, che ascoltare cassette di lezioni o di istruzioni mentre si dorme fosse il modo più semplice e veloce per imparare qualcosa.
  • L'ipotesi elaborativa, invece, punta sul metabolismo delle cellule cerebrali, considerando il sonno come una base biologica per l’elaborazione delle informazioni e la loro registrazione. Infatti nella fase REM, in cui si produce la maggior parte dei sogni, il cervello sintetizza una quantità più elevata di proteine, segno inequivocabile che sta lavorando.
  • Per la teoria del gruppo neuronale, il sonno servirebbe a stimolare l’uso delle sinapsi cerebrali che non sono state utilizzate durante la veglia, in modo da rinforzarle ed evitare che si atrofizzino. Dormire significa quindi evadere dai sentieri consueti del pensiero per andare a visitare le zone cerebrali trascurate, farle lavorare e mantenere così l’intera corteccia in buona salute.
  • L’ipotesi strutturale sostiene invece che il sonno ha la specifica funzione di attivare l’emisfero cerebrale destro, incaricato del compito di ‘resettare’ l’intero sistema di registrazione dei dati del cervello, integrando le informazioni raccolte durante la veglia. Questa ipotesi è resa particolarmente interessante dalla scoperta che l’emisfero destro del cervello è più coinvolto di quello sinistro nell’elaborazione dei sogni.

Probabilmente nessuna di queste teorie è completamente esatta, ma ognuna di esse rappresenta una tesserina di un mosaico più ampio.

Se non sappiamo esattamente per quale ragione dormiamo, sappiamo però come avviene il fenomeno e quali parti del cervello sono coinvolte in questo processo.

 

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Come si dorme?

Il sonno è un viaggio straordinario che avviene a nostra insaputa e ci trasporta in dimensioni sconosciute, fuori dallo spazio-tempo in cui siamo abituati a muoverci.

Contrariamente all’opinione corrente, non ci si addormenta progressivamente, scivolando passo passo fuori dallo stato di veglia.

Il sonno subentra in una frazione di secondo, un istante prima siamo svegli, padroni delle nostre funzioni percettive e del nostro sistema motorio; a un tratto il cervello gira un interruttore e di colpo stiamo dormendo, isolati dal mondo esterno da una barriera invisibile che annulla ogni percezione, ignari di essere partiti per il viaggio notturno. I muscoli si rilassano e la mente diventa passiva come uno schermo cinematografico, pronto a ricevere le immagini che verranno.

Che cosa accade al cervello?

Il cervello cambia comportamento: comincia a emettere nuove combinazioni di ormoni e a inviare messaggi chimici che stimolano l’attività di tutte le cellule; cambia l’attività elettrica cerebrale.

Le variazioni delle onde emesse dal cervello di una persona addormentata sono misurabili con un’apparecchiatura specifica che fornisce un tracciato, l'elettroencefalogramma (EEG).

Nel sonno, il cervello lavora a ritmo frenetico e brucia grandi quantità di ossigeno e di zuccheri, dimostrando di essere tutt’altro che ‘a riposo', come si credeva un tempo.

Anche le sue funzioni di sentinella sono attive: nonostante la barriera percettiva interposta tra il soggetto e il mondo esterno, un forte rumore, un odore acre o una perturbazione significativa dello spazio (per esempio un terremoto) fanno scattare l'allarme e lo inducono a risvegliare prontamente il dormiente.

Se la perturbazione non sembra provenire da una possibile fonte di pericolo, invece, lo stimolo viene incorporato nel sonno come elemento dell’eventuale sogno in corso, oppure genera un cambiamento di posizione.

Tutti questi processi coinvolgono una serie di sistemi e funzioni cerebrali che interagiscono per offrirci una buona notte di sonno.

 

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I fattori che influenzano il sonno

Dal punto di vista fisiologico, il sonno e la veglia sono differenti funzioni del sistema nervoso centrale, affidate a complessi sistemi operativi distribuiti nel cervello che producono stati elettrofisiologia e comportamentali in continua trasformazione e aggiustamento.

Questi sistemi operativi comprendono il tronco encefalico, il talamo, l’ipotalamo, il sistema limbico e la corteccia. A tutto questo si uniscono i fattori legati alla produzione di neurotrasmettitori specifici, che collaborano alla creazione di particolari stati funzionali del cervello e interessano il sistema vegetativo.

Il sonno è quindi un evento che coinvolge componenti neurofisiologiche e neurochimiche, ma dipende anche da un organizzatore interno di natura psicologica, legato a vari fattori culturali e ambientali.

Tra le condizioni ambientali, la luce e la temperatura possono modificare il sonno in maniera significativa, per esempio aumentandolo o diminuendolo, e possono intervenire in ogni fase.

 

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La componente circadiana: un orologio biologico

La componente circadiana svolge il ruolo principale nella modulazione del sonno. Il termine ‘circadiano’ deriva dal latino circa dies (‘intorno al giorno’) e si riferisce a un meccanismo interno al cervello sviluppato dal corpo umano nel corso di milioni di anni, un vero e proprio ‘orologio biologico’ che scandisce il ritmo di sonno e di veglia con la precisione di un cronometro.

Come un sistema solare in miniatura, l’orologio biologico riproduce al nostro interno il cammino della Terra intorno al Sole.

L’importanza dell’orologio biologico è enorme, perché, oltre a sincronizzare il ritmo sonno-veglia, regola anche una complessa sintonia di attività chimiche, ormonali e nervose delle cellule, imponendo il suo ritmo a funzioni come l’alimentazione, la termoregolazione, il comportamento motorio.

La sua precisione è tale che funziona anche quando l’ambiente esterno non offre informazioni adeguate, cioè quando una persona si trova in un ambiente che non permette di sapere se sia giorno o notte.

Verso la fine degli anni Sessanta, i ricercatori del Max Planck Institute, in Germania, costruirono una stanza sotterranea isolata dalla luce solare, dal rumore e dai campi magnetici. I volontari che vi entrarono furono incoraggiati a seguire ritmi personali, spegnendo la luce quando volevano e alzandosi quando ritenevano di aver dormito abbastanza.

I risultati dell'esperimento confermarono l’esistenza di una specie di ‘contatore interno’, capace di mantenere inalterati i ritmi fisiologici di sonno e veglia, che permetteva ai soggetti di conservare un ciclo vitale grosso modo giornaliero, della durata di 25 ore.

 

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La componente omeostatica

Anche la componente omeostatica svolge un ruolo importante nella fisiologia del sonno. Essa tiene una sorta di ‘contabilità ’ delle ore dormite, determinando una maggiore o minore propensione al sonno a seconda del grado di soddisfazione dell’organismo.

Quando abbiamo sottratto troppe ore al bisogno fisiologico di dormire, la componente omeostatica scatta implacabilmente, facendoci addormentare in qualunque situazione ci troviamo, perfino al volante di un’automobile.

Le fasi del sonno

Fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso si pensò che dormire fosse un fenomeno sostanzialmente omogeneo e che esistessero soltanto due tipi di sonno: il sonno lento o sincronizzato e il sonno rapido o desincronizzato. Con le apparecchiature disponibili allora nei laboratori di ricerca era stato possibile eseguire tracciati EEG che rivelavano l’emissione, da parte del cervello, di onde elettriche lente di tipo theta e delta nel sonno lento, e di onde di voltaggio ridotto nel sonno rapido.

Furono gli americani Nathaniel Kleitman e William Dement a scoprire, nel 1958, la presenza di rapidi movimenti oculari nel sonno desincronizzato e a collegarla all’attività onirica, battezzando questa fase di sonno REM, contrapposta alla fase non REM del sonno a onde lente.

Ma ben presto apparve chiaro che lo stadio non REM non era uniforme e presentava a sua volta quattro fasi, che corrispondono non soltanto a differenti bioritmi, ma anche a differenti modificazioni dello stato di coscienza:

  • addormentamento;
  • sonno leggero;
  • sonno profondo;
  • sonno a onde lente.

 

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L'addormentamento

L’addormentamento è la fase che segna il passaggio tra la veglia e il sonno. Le onde cerebrali beta, tipiche della veglia, lasciano il passo a onde più lente di tipo alfa, e poi ad altre ancora più lente, le theta. A questo punto cala una barriera sensoriale che isola la mente dal mondo esterno. Suoni, odori, rumori, movimenti non la raggiungono più. Il tono muscolare si riduce, le pupille si contraggono, mentre gli occhi descrivono lenti movimenti pendolari.

La respirazione si fa lenta e regolare, la temperatura corporea si abbassa.

In questa fase, che dura circa 5 minuti, il sonno è leggerissimo, e se si viene svegliati probabilmente non ci si ricorda affatto di aver dormito.

Ancora qualche minuto, e si entra nella seconda fase.

 

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Il sonno leggero

La fase del sonno leggero si distingue per la presenza di due onde peculiari del cervello che dorme: i fusi del sonno e i complessi K.

I fusi del sonno sono costituiti da raffiche di onde brevi e molto fitte, che si inseriscono sullo sfondo delle onde theta disegnando sul tracciato EEG una figura caratteristica (che ricorda appunto i fusi).

I complessi K sono onde trifasiche, lente e ampie, che sembrano comparire dal nulla per poi svanire.

Questi due tipi di onde riflettono le variazioni del modo in cui il cervello elabora le informazioni sensoriali che riceve sia dall’interno sia dall’esterno del corpo.

Non bisogna dimenticare, infatti, che solo la mente è isolata percettivamente dall’ambiente, mentre il cervello è sempre al lavoro.

Dopo circa altri 10 minuti arriva la terza fase.

 

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Il sonno profondo

Nella fase del sonno profondo, sul tracciato EEG compaiono le onde delta. Ampie, regolari, molto lente e meno frequenti, si inseriscono sulle precedenti sommergendole come grandi onde. La barca della notte ha preso il largo, e naviga sulle profonde acque dell’oceano, verso l’ultima fase non REM.

Il sonno a onde lente

L’attività cerebrale precedente è scomparsa: sono presenti solo le onde delta, le onde lente. Ormai svegliarsi è molto difficile. Il battito del cuore è lento e regolare, il corpo comincia a secernere una quantità di sostanze.

Una delle ragioni che rendono importante dormire a sufficienza è che vari ormoni vengono secreti in questa fase: la melatonina, la prolattina, l’ormone luteinizzante, il testosterone, la tiroxina e soprattutto l’ormone della crescita, che ha la funzione di aiutare le cellule a moltiplicarsi per riparare i tessuti danneggiati e costruirne di nuovi.

Il sonno lento prosegue per circa 90 minuti, poi, improvvisamente, tutto cambia. Ricompaiono le piccole onde theta, i fusi del sonno e i complessi K. La persona prende a muoversi, ma senza svegliarsi.

Dopo circa 10 minuti, anche gli occhi cominciano a muoversi rapidamente sotto le palpebre chiuse. Inizia la fase REM.

Il sonno REM: la fase del sogno

La fase del sogno è la quinta fase del sonno. Sulle onde theta si inseriscono lampi di onde alfa e beta, tipiche della veglia: per questo il sonno REM è chiamato ‘paradosso’. L’attività cerebrale assomiglia molto a quella di un cervello sveglio, ma la persona è sprofondata nel regno dei sogni, come se avesse ripreso conoscenza ma si trovasse in un altro mondo, lontano da quello abituale.

Rispetto alla durata del sonno, la percentuale delle singole fasi si divide in 50% circa di sonno leggero, 25% di sonno profondo e 25% di sonno REM.

 

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La quantità e la qualità del sonno

La quantità di sonno necessario varia con il variare dell’età, e differisce da un soggetto all’altro. In genere, è massima nelle prime fasi della vita e decresce con l’avanzare degli anni, fino ad attestarsi su una media di 7-8 ore concentrate in un singolo periodo della notte.

Più che la durata complessiva, tuttavia, ciò che conta è la qualità del sonno, che è strettamente correlata alla possibilità di attraversare tutte le sue fasi e i suoi stadi. Particolarmente importante è una corretta alternanza delle fasi di sonno REM e non REM, che sono complementari e si alternano ciclicamente 4-5 volte per notte.

Ogni ciclo di sonno REM e non REM dura dai 70 ai 120 minuti, e costituisce un’unità del sonno che deve essere vissuta interamente per garantire una sensazione di riposo. Inoltre, poiché le percentuali di sonno REM sono massime nelle ultime ore della notte, un’alterazione del ritmo sonno-veglia, specie se accompagnata da risvegli precoci, pregiudica spesso la qualità del sonno, che viene vissuto come insufficiente perché riduce la possibilità di sognare.

L’insonnia è transitoria quando si prolunga per pochi giorni, mentre è definita 'cronica’ quando perdura per settimane, mesi o anni.

In realtà, l’insonnia cronica, ossia la difficoltà a dormire ogni notte per anni, è un fenomeno estremamente raro.

Il persistente disturbo del sonno interferisce notevolmente con il benessere psicofisico della persona: non solo è debilitante, ma può essere anche dannoso e va quindi affrontato seriamente.

Alcune persone, pur affermando di dormire un numero sufficiente di ore, lamentano al risveglio una persistente stanchezza, come se non avessero dormito abbastanza: sono i cattivi dormitori.

Gli studi condotti sull’argomento hanno dimostrato che questi individui presentano alterazioni: temperatura corporea più elevata della norma, frequenza cardiaca più alta, maggior numero di movimenti corporei e di vasocostrizioni periferiche.

Bisogna ricordare che l’insonnia e un sintomo e non una malattia, e in quanto tale rimanda sempre a un problema sottostante, che può essere di ordine psichico o fisico.

 

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Quando la causa è occasionale (ovvero l'insonnia transitoria)

Non riuscire a dormire di tanto in tanto è un fenomeno naturale, e non dovrebbe suscitare preoccupazione. Bisogna invece cominciare a preoccuparsi se questa difficoltà si protrae per parecchie notti, se le cause del problema non appaiono evidenti o sono di difficile soluzione, e se la situazione incide negativamente sull’umore, sulle prestazioni e in generale sulla vita diurna.

Anche se temporanea, l’insonnia non va mai sottovalutata.

È fondamentale individuare le ragioni per le quali si è soggetti a insonnia transitoria, in modo da poter intervenire efficacemente. Ecco le cause più frequenti.

 

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La sovreccitazione da stress

Le ricerche sui disturbi del sonno evidenziano che stress e preoccupazioni occupano il primo posto nelle cause più diffuse dell’insonnia. Il termine stress indica qualsiasi fonte di perturbazione emotiva che causi un’alterazione evidente dell’umore, accompagnata da ansia o eccitazione.

L’entità del disturbo e direttamente proporzionale alla gravità e alla durata dell’evento stressante. Non sempre lo stress è dato da eventi negativi: anche un’emozione felice, come l’attesa di un incontro importante o una vincita alla lotteria, può provocare insonnia. La cura migliore è l’eliminazione della fonte di disturbo: scomparsa la causa, l’insonnia sparisce spontaneamente. Spesso però non è possibile, almeno a breve termine, risolvere il problema, e l’insonnia tende così a diventare cronica.

La compensazione spontanea della perdita di sonno notturno con pisolini diurni può risultare difficile se l’insonnia è provocata da ansia o situazioni stressanti: infatti, non appena ci si stende sul letto, i pensieri riemergono prepotentemente, impedendo il sonno.

I fattori ambientali

La qualità del sonno dipende anche dalle condizioni ambientali, e in particolare dalla presenza di rumori disturbanti. Il cervello umano è tuttavia piuttosto flessibile ed è in grado di ‘incorporare’ la presenza di un rumore negli schemi di riferimento abituale. A condizione, però, che il disturbo sonoro sia ripetitivo e relativamente costante per tono e intensità (per esempio, il passaggio di un treno o il suono delle campane).

Una volta incorporati, i suoni non vengono più rilevati consciamente, e il sonno si regolarizza.

In altri casi, più che il rumore in se stesso sono lo stress o l’irritazione generati dal disturbo ad abbassare la soglia di sensibilità al rumore (per esempio, in presenza di schiamazzi notturni o di un televisore tenuto a volume elevato), in modo tale che il cervello non riesce a integrare nei suoi schemi le emissioni sonore.

 

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La sindrome da jet lag

La diffusione dei voli transcontinentali ha fatto emergere un nuovo disturbo, detto sindrome da jet lag. Questo termine inglese indica l’effetto dei cambiamenti di fuso orario sul nostro organismo, che provocano l’alterazione dei ritmi circadiani. L’orologio biologico non è più in sintonia con i cicli della luce e del buio, così il corpo si prepara al sonno quando è necessario essere ben svegli, e, viceversa, la ‘sveglia’ scatta quando è il momento di riposare.

Anche le funzioni fisiologiche legate ai ritmi circadiani risultano scombussolate, come per esempio i ritmi dell’alimentazione.

La sindrome da jet lag risulta curiosamente più marcata e lunga da smaltire quando il viaggio si svolge verso est, ovvero quando si va verso un accorciamento del giorno. Probabilmente questo dipende dalla naturale propensione dell’organismo a dilatare il ritmo circadiano quando è privato dei riferimenti esterni.

Se alcune persone riescono a riprogrammare il loro ‘orologio biologico’ in un paio di giorni, per altri può essere necessario un tempo variabile da 1 a 3 settimane. Ma per quanto veloce sia la capacità di adattamento, continui cambiamenti di fuso orario non concedono all’organismo il tempo di adeguarsi alle mutate condizioni.

Negli equipaggi degli aerei transcontinentali, che sono esposti professionalmente a rapidi e ripetuti cambiamenti nei fusi orari, il sonno è fortemente compromesso per durata e qualità. Ciò rappresenta un fattore di rischio notevole, perché influenza negativamente il livello di vigilanza e le prestazioni psicofisiche, fondamentali in questo tipo di professione. Per ovviare all’inconveniente, i piloti professionisti si concedono un sonno ‘anticipatore’ di 3-4 ore prima di un volo transcontinentale.

 

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I turni di lavoro

Anche il lavoro a turni disturba "orologio biologico", ma rispetto ai cambiamenti di fuso orario offre il vantaggio di una maggiore regolarità.

I lavoratori dei turni di notte lamentano sonnolenza, senso di stanchezza e uno scadimento generale delle prestazioni psicofisiche, specialmente nelle ultime ore della notte.

Esiste perfino un disturbo degli infermieri chiamato paralisi del turno di notte, che rende il soggetto incapace di rispondere a uno stimolo abituale, come la chiamata di un paziente, pur essendo sveglio e cosciente.

Le statistiche provano l’importanza del problema, e basti pensare che proprio di notte sono avvenuti incidenti a reattori nucleari tra cui quelli di Chernobyl e di Three Miles Island, dove il segnale di guasto emesso dalle apparecchiature di controllo non fu percepito dal personale di turno.

Il sonno diurno non riesce a sostituire efficacemente quello notturno, in quanto più breve, frammentato e con meno fasi di sonno profondo e REM.

I riflessi negativi sulla qualità della vita, dal punto di vista relazionale e fisico, sono notevoli. I turnisti sono in genere più irritabili, hanno maggiori difficoltà nelle relazioni sociali e sono più esposti a malattie cardiovascolari, gastriti e disturbi intestinali. Nelle donne sono più numerosi i parti prematuri.

Nell’impossibilità di cambiare i turni di lavoro, la fototerapia si è rivelata molto efficace per riallineare rapidamente l’‘orologio biologico’.

L'insonnia cronica

Il disturbo cronico o persistente del sonno è, nella maggior parte dei casi, legato a un’alterazione dell'orologio biologico’ interno.

L’insonnia persistente viene definita anche primitiva o abituale. Questa forma si osserva sovente in soggetti apparentemente sani, per i quali costituisce l’unica forma di malessere. Tuttavia è sufficiente un esame più approfondito perché si rivelino componenti ansiose o depressive. L’insonnia primitiva può presentarsi indifferentemente come insonnia da addormentamento, da risveglio precoce o intermittente, e spesso resiste ai trattamenti di tipo farmacologico.

Se l’insonnia si protrae nel tempo e non è chiaramente riconducibile a fattori esterni perturbanti, è necessario procedere a un’indagine per scoprirne le cause organiche o psichiche.

Il microsonno

Un fenomeno tipico dopo una lunga privazione di sonno in conseguenza di un’insonnia persistente è quello dei lapses, piccoli episodi di interruzione del livello di vigilanza da svegli.

I lapses sono veri e propri microsonni, che tendono a diventare più frequenti e più lunghi man mano che la privazione di sonno si protrae nel tempo.

Quando ci si risveglia da uno di questi microsonni, si può scoprire di non ricordare assolutamente ciò che si è verificato poco prima, di avere cioè una piccola amnesia. Un esame elettroencefalografo evidenzia inoltre una netta riduzione dell’attività di fondo del ritmo alfa, con un tracciato molto simile a quello che si rileva dopo un’intossicazione alcolica.

Altri tipi di insonnia

Oltre che per la durata, le insonnie si distinguono in:

  • insonnia da addormentamento ritardato;
  • insonnia da risveglio precoce;
  • insonnia a intermittenza.

Data di Pubblicazione: 13 novembre 2023

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