Quali sono le Terre Perdute? Scopri i loro segreti e come l'autrice sia entrata in contatto con esse, leggendo l'anteprima del libro di Lucy Cavendish.
Quali sono le Terre Perdute?
Di solito si inizia sempre con le stesse parole... quelle di Platone, citate da tanti... invece, voglio iniziare da un luogo molto diverso e molto più ordinario. Dopotutto, è lì che si trovano Atlantide, Lemuria e Avalon... sempre con noi, ma si nascondono sotto il mantello della familiarità, tanto che spesso ne ignoriamo la presenza.
La mia esplorazione delle Terre Perdute è iniziata sul bordo di una piscina, nel giardino di una cittadina balneare molto soleggiata e ordinaria, in Australia. All'epoca ero giovanissima, non avevo ancora raggiunto la pubertà, ma per certi versi ero già una donna, per quanto fossi (e lo sono anche oggi) ancora una ragazza.
Mi preoccupavo della mia pelle, del mio corpo; volevo bene ai miei amici e consideravo la vita una curiosa avventura. Allo stesso tempo, nutrivo un profondo desiderio di magia, avevo già incontrato spiriti e persone passate oltre il velo e a volte mi sentivo come Alice dall’altra parte dello specchio. Quindi eccomi qui. Giovane, abbronzata e convinta di essere una sirena. Non era una semplice fantasia.
La vera essenza
Era una cosa di cui ero assolutamente certa. E proprio là, sul bordo di quella piscina, stavo per imbarcarmi in un esperimento per scoprire se sarei riuscita a recuperare alcune delle mie capacità... Non avevo mai visto “La Sirenetta”.
Sapevo solo che avrei dovuto essere in grado di respirare sott'acqua e che al posto delle gambe avrei dovuto avere una coda. Stranamente tra i miei occhi c’era un particolare dispositivo di respirazione, un’apertura che mi permetteva di vedere nitidamente in lontananza, e di respirare. Ero decisa a indagare su tutti questi aspetti.
È qui che inizia il mio viaggio. Mi trovo in piedi sul bordo irregolare della piscina turchese, disseminato di ciottoli. Mi tuffo... nuoto verso il fondo... sono seduta sul fondo della piscina, con lo sguardo rivolto verso l’alto... Il sole colpisce la superficie azzurra dell’acqua in modo imprevedibile, vedo una leggera brezza che ne smuove la superficie e riesco a cogliere il prisma di arcobaleni in ogni singolo riflesso di luce.
Posso fissare tutto questo per ore, a quanto pare. Ma riesco a stare in apnea solo un minuto o due, perché per quanto sembri naturale respirare sott'acqua, questa volta sono umana. Mi è sempre sembrato ingiusto che non riuscissi a rimanere in apnea per molto ma molto più tempo.
Così iniziai a sfidare me stessa a rimanere sott'acqua il più a lungo possibile. Non solo dovevo rimanervi, ma dovevo anche nuotare là sotto, come in qualche modo sapevo di aver fatto in passato, per ore e ore, e dormire sott'acqua nel mio letto di conchiglie.
La casa nell'Acqua
Non si può respirare, non l’aria, non nel modo in cui lo faccio ora. Non è permesso. Così ho iniziato ad allenarmi. Ho iniziato spingendomi dal bordo della piscina e, tenendo le gambe bene unite, le muovevo con il movimento sinuoso di una sirena. Completavo una vasca, quasi due, sott'acqua... e poi risalivo... Mi piaceva la sensazione dell'ossigeno, dell’aria profumata di eucalipto, salice e gelso che entrava di prepotenza nei miei polmoni.
So per certo che c’è stato un tempo in cui ero in grado di stare e di rimanere sott'acqua... e la giovane donna che ero allora era determinatissima a riconquistare quella sensazione. Così, ho trascorso molto tempo in mezzo all'acqua. Nella vasca da bagno. In spiaggia. In piscina. Pozzanghere, ruscelli, acquazzoni.
Mi piaceva stare sotto l’acqua. Circondata, muovendomi al suo interno. Amavo la leggerezza delle mie membra, il modo in cui i miei capelli galleggiavano in superficie, sparpagliati a ventaglio nell’acqua, amavo il mistero e la meraviglia di questa vita al di sotto e dentro un elemento...
Anche all’interno di quella piscina, nel mio cortile di periferia, sapevo di essere trasportata lontanissimo quando mi trovavo sotto la superficie. In un luogo dove avevo vissuto molto, molto tempo fa. Progressivamente, ho iniziato a muovermi con naturalezza e libertà sott'acqua.
Presto presi a legarmi le gambe con strisce di stoffa che avevo trafugato dall'armadio dei tessuti di mia madre. Legavo le gambe e ricominciavo a tuffarmi e a muovermi su e giù per la piscina, sott'acqua. Dopo un po’ sentii di aver preso il ritmo giusto e le gambe rimanevano unite con facilità...
Sott'acqua
Mi muovevo da sotto la vita come se avessi una coda, e mi giravo e rigiravo nell'acqua. Era una sensazione bellissima. E così nuotavo, mi tuffavo e facevo capriole, su e giù per il paradiso subacqueo nel mio cortile, finché presto, dopo le avventure di ogni giorno, riuscii a completare due vasche in apnea.
Quando non ero in piscina, sott'acqua, impegnata a nuotare come una sirena, ero in spiaggia. Per ore, il sabato mattina, la mia famiglia si dedicava agli allenamenti di nuoto, e ci sfidavamo in gare in una piscina di acqua salata di cinquanta metri, su cui le onde si infrangevano quando il mare era mosso. Mio padre, nuotatore esperto e atletico, bagnino di Bondi negli anni Cinquanta, insegnò a nuotare sia a me sia a mio fratello. In effetti non ricordo di NON aver saputo nuotare.
Ho davvero forzato il mio io fisico nell'impresa di ridiventare la sirena che sapevo di essere stata un tempo. Sapevo di poter respirare attraverso un foro posizionato intorno a quella che ora definirei la zona del terzo occhio. Era aperto e per suo tramite riuscivo a respirare.
In spiaggia, correvo instancabilmente sugli scogli, a piedi nudi, certa che dovevo essere in grado di fare anche questo: correre fino alla fine, che i miei piedi sanguinassero o meno, gettarmi in mare e... fuggire.
Volevo che i miei piedi fossero abbastanza duri e resistenti da permettermi di camminare su ostriche e molluschi vari, di immergermi nell'acqua, di scendere in profondità negli abissi frastagliati da prismi di cristallo, impreziositi da castelli di corallo.
I pericoli del mare
Pescavo e nuotavo, e una volta io, mio padre e mio fratello fummo risucchiati da un’enorme onda verde dagli scogli, vi fummo sbattuti sopra mentre ci aggrappavamo l’uno all’altro per poi ritrovarci in mare, sballottati come tappi di sughero nell’acqua spumeggiante...
Saremmo riusciti a tornare a riva, tutti e tre nuotatori forti quali eravamo, ma il mare ci risbatté nuovamente sugli scogli da cui eravamo stati risucchiati. Dopo aver sputato e barcollato sulla sabbia, camminammo per chilometri fino a casa in costume da bagno, poiché papà aveva perso le chiavi dell’auto nell'oceano impetuoso.
Una volta giunti a casa, feriti, sanguinanti ma anche trionfanti, mia madre ci accolse sotto la sua ala protettrice, e non lesinò occhiatacce all'indirizzo di mio padre.
Incidenti del genere non mi scoraggiavano. Volevo rimanere in acqua. Non volevo mai uscirne. Volevo respirare sott'acqua e sapevo come ci si sentiva, mi dicevo, ad accogliere l’acqua e a produrre in qualche modo ossigeno attraverso quel puntino sulla fronte, lo stesso su cui di giorno disegnavo lune crescenti con la matita blu.
Non avevo mai sentito parlare di Atlantide. Non ancora. Né di Avalon, né di Lemuria. Tuttavia, sapevo dell’esistenza di terre magiche presenti tra noi umani molto, moltissimo tempo prima. Dov'erano finite, chiesi al mio io più giovane.
Data di Pubblicazione: 16 gennaio 2024