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Investire in azioni: come farlo nel modo migliore?

Investire in azioni nel modo migliore

Scopri due tipi di analisi per determinare la qualità del tuo investimento azionario: l’Analisi Fondamentale e l’Analisi Tecnica

Enrico, tra azzardo e passione per le azioni

Le azioni sono piccoli pezzi di un’azienda, o almeno così le aveva sempre viste Enrico. Quando decideva di investire in un titolo azionario stava di fatto comprando una parte più o meno consistente di una società, e di conseguenza tutti quelli che erano i rischi e le opportunità di quest’ultima. Partecipava interamente alle vicende aziendali, guadagnava se le strategie messe in atto portavano risultati e perdeva invece se le scelte erano sbagliate. Rischiava interamente il capitale investito nel caso di fallimento della società, ma poteva anche portare a casa guadagni percentuali a due cifre se studiava attentamente e comprava nel modo migliore.

Esistono due tipi di analisi che consentono a Enrico di determinare la qualità del suo investimento azionario: l’Analisi Fondamentale e l’Analisi Tecnica.

La prima fa riferimento soprattutto a quanto concerne il bilancio di una società con i suoi indicatori, il mercato in cui opera, i rapporti che ha con clienti e fornitori, la qualità dei membri del Consiglio di Amministrazione e l’attuale congiuntura economica. La seconda invece è l’analisi nuda e cruda dei grafici, dove si cerca di individuare un trend (rialzista o ribassista), eventuali figure di inversione o di continuazione del prezzo, e comprendere se quest’ultimo è in zone potenzialmente importanti (supporti o resistenze storiche).

Le figure a cui Enrico si ispirava di più erano due esperti riconosciuti a livello mondiale, presi come modelli in base ai due modelli differenti di analisi: Warren Buffett per quella fondamentale e Joe Ross per quella tecnica. Entrambi avevano pubblicato libri estremamente interessanti a cui fare riferimento, dai quali poteva imparare, per capire come operavano questi due guru sui mercati finanziari.

Enrico poi sapeva che il principio assolutamente importante per investire con successo era avere un sistema, adattandolo quando non funzionava oppure rimanendogli fedele quando iniziava a dare i suoi frutti.

Costruiva un metodo sulla base di caratteristiche personali, di un profilo di rischio diverso rispetto ad altri investitori, di un orizzonte temporale più o meno lungo e di una conoscenza dei mercati più o meno approfondita: “Prima di tutto bisogna conoscersi come investitori, poi viene il resto!”, diceva a se stesso.

Una volta aveva perso molti soldi entrando avidamente sul mercato, senza riflettere, senza protezione, e un eccessivo calo (improvviso e veloce) del tuo titolo lo aveva poi spinto a farsi prendere dal panico e vendere in perdita. Subito dopo, una volta esaurita la maggior parte del suo capitale, per un certo periodo aveva subito un calo anche dell’autostima, si era demoralizzato e aveva cominciato a ripetersi: “è troppo rischioso”, “è troppo diffìcile”. Fortunatamente poi aveva capito l’errore e imparato la lezione, ritornando con giudizio a operare sui mercati.

Enrico aveva poi appreso un principio fondamentale: se perdi il 10% del tuo capitale non basterà guadagnare il 10% per recuperare la somma iniziale, ma ne servirà di più. Inoltre più la perdita aumenta, più questo gap sarà diffìcile da colmare.

Quando effettuava lo studio dell’analisi fondamentale, Enrico cercava conferme con alcuni indici principali che si adattavano bene al il metodo di analisi da lui costruito:

Prezzo/Utili (p/e)

Dice sostanzialmente se il prezzo di un’azione è caro o meno rispetto agli utili che quella stessa società produce. Quindi, a titolo esemplificativo, una società con un rapporto p/e di 30 sarà molto più sopravvalutata di un’azienda con un p/e di 10. Questo perché nel primo caso il prezzo della prima varrà 30 volte gli utili (per azione) della stessa, al contrario della seconda dove gli utili saranno un decimo del prezzo. Quando si analizza il rapporto p/e, bisogna considerare anche il settore di appartenenza di quel titolo e il mercato geografico di riferimento.

Un rapporto p/e di 30 sarà caro per settori difensivi (come farmaceutica/alimentare/utility), ma economico per settori più aggressivi (tecnologici/finanziari).

Oppure ancora, se un titolo ha un p/e di 30 ed è all’interno dell’indice s&p 500 (indice azionario americano, ultimamente vicino ai massimi storici) sarà un numero piuttosto basso rispetto alla media dei titoli di quello stesso indice, quindi alto in valore assoluto ma basso in valore relativo. Per questa ragione Enrico contestualizzava sempre. Se il p/e fosse negativo, dal momento che il prezzo non poteva scendere sotto zero, l’unica certezza era che la società aveva chiuso in perdita l’esercizio, di conseguenza non utilizzava questo indicatore nella sua analisi.

Price/Book Value (p/bv)

Descrive il prezzo in rapporto al patrimonio di una determinata azienda. “Patrimonio netto” significa differenza tra attività e passività (oppure la somma tra capitale sociale e riserve). Esprime dunque quante volte l’investitore paga (in più) l’azienda rispetto al suo valore patrimoniale (maggiore è il numero e più sopravvalutata sarà l’azienda). In questo caso, i valori più frequenti sono un p/bv maggiore di 1, specchio di un titolo tendenzialmente sopravvalutato, o un p/bv minore di 1: titolo sottovalutato, ovvero la capitalizzazione di borsa è inferiore ai mezzi propri.

Un valore eccessivamente basso (sotto lo 0,5) solitamente sta a significare che l’azienda ha aspettative reddituali pessime. Questo indicatore è utile soprattutto per titoli bancari e assicurativi, dove la consistenza patrimoniale è fondamentale (vedi cet1, Total Capital Ratio e simili).

Price/Cash Flow (p/cf)

Rapporto tra il prezzo del titolo e il suo flusso di cassa, questo indice solitamente è da considerare per società industriali (settori auto ed energia), mentre ha utilità minore ad esempio in settori come banche e assicurazioni. Trattandosi di flussi di cassa relativi anche ad ammortamenti, solitamente tale voce ha un peso maggiore nelle società industriali.

Il p/cf esprime il numero di esercizi entro cui il flusso di cassa generato dall’azienda sarà in grado di ripagare l’investimento dell’azionista. La lettura è simile al p/e (alto sottende una società sopravvalutata e viceversa).

Dividendo/prezzo (d/p)

A chi non piacciono le aziende che pagano dividendi elevati? Enrico ne andava matto! Questo perché, salvo rare eccezioni, preferiva entrare nel mercato azionario puntando su aziende in grado di generare un buon flusso di cassa, magari in modo continuativo (i titoli definiti “aristocrats”) ponendo sempre attenzione alla tassazione.

Dal momento che non era scritto da nessuna parte che un’azienda dovesse distribuire i dividendi, anche fare una previsione non era facile; era dunque possibile agire sulla base delle informazioni storiche a disposizione.

Tuttavia, proprio in questo ambito Enrico conosceva una particolarità: le azioni di risparmio. Queste azioni erano preferibili rispetto a quelle ordinarie per un semplice motivo: a questa categoria spettava, in caso di utili, un dividendo pari almeno al 5% e in caso di perdite tale dividendo poteva essere pagato entro i due esercizi successivi. Quando sceglieva un’azione per il flusso di cassa, Enrico verificava sempre prima se esistesse questa categoria particolare di titoli, in quanto non tutte le società le avevano a disposizione.

Con i grafici

In questo caso l’analisi era completamente diversa. Per cominciare, quando analizzava il grafico di un’azione, Enrico prendeva in considerazione il “tinte frame” (tf) utile alla sua analisi. Se ad esempio desiderava investire sull’azione xy, e il grafico giornaliero indicava un trend ribassista, nel caso in cui il suo orizzonte temporale fosse di almeno 1 o 2 anni, evidentemente stava guardando il grafico sbagliato; doveva considerare infatti il grafico annuale o al massimo quello mensile per trovare le informazioni che gli servivano. Nell’analisi tecnica erano due i punti fondamentali da prendere in considerazione per Enrico. In primo luogo comprendere quali erano i “prezzi chiave” del titolo che voleva comprare, esaminando il time frame corretto. Qui entravano in gioco le analisi di supporti e resistenze, ovvero dei livelli di prezzo in prossimità dei quali l’azione tendeva a non scendere ulteriormente (supporti) oppure a non salire (resistenze). In secondo luogo capire come potersi proteggere una volta osservati i punti chiave; anche qui doveva considerare, guardando i prezzi del suo grafico, di inserire un livello definito di “Stop Loss”, ovvero sotto il quale la sua azione veniva venduta automaticamente. Solitamente dipendeva dalla volatilità del titolo perciò impostava livelli di protezione dal 20 al 30% più bassi rispetto al prezzo di acquisto del titolo; tuttavia ciò era molto soggettivo, dal momento che inserire uno Stop Loss lo proteggeva dal principale nemico della sua strategia: se stesso. In questo ambito, nulla valeva di più del vecchio detto “taglia le perdite e lascia correre i profitti”.

Volatility index (vix)

Un altro indicatore, spesso sottovalutato, che tuttavia rivestiva grande importanza nell’analisi dei mercati azionari per Enrico era il Volatility index. Spiegato in estrema sintesi, era il “termometro” della paura sui mercati. Infatti il grafico degli ultimi dieci anni evidenziava i picchi di questa paura in coincidenza dei peggiori eventi economici recenti (fallimento di una grossa banca americana, crisi di uno Stato europeo). Questo indice, tramite appositi strumenti, permetteva di prendere posizione proprio sulla volatilità, con un risvolto principale: era in primo luogo inversamente proporzionale allo s&p 500, fungendo perciò da copertura all’interno del portafoglio di Enrico.

A livello di personalità, Enrico si poteva definire come un tipo “espressivo”. Prendeva decisioni spontanee, spesso intuitive, preso dalla smania di investire (e queste erano le volte in cui di solito perdeva denaro). Sapeva che quando gli capitava un periodo particolarmente intenso a livello di stress, tendeva a entrare sui mercati e annoiarsi facilmente, quindi non adottava strategie di comprare e tenere almeno per un certo periodo, ma puntava a brevi oscillazioni per portare a casa un guadagno subito anche se di minore entità. Chiaramente questa operatività non sempre era profittevole, anzi la maggior parte delle volte in cui operava così, pur sapendo che i costi incidevano sul rendimento, e che il tempo non era dalla sua parte, stava bene, perché era in linea con il suo animo di investitore ansioso.

Capitava poi che nei casi in cui riusciva a chiudere l’operazione in guadagno, il suo eccesso di fiducia (ho guadagnato in poco tempo quindi sono un grande trader) lo portasse a effettuare meno valutazioni rispetto alla volta precedente (tanto sono bravo, comprerò sicuramente il titolo giusto nel momento giusto, visto che prima ho avuto successo), con il risultato di perdere più di quanto guadagnato la volta prima.

In termini di finanza comportamentale Enrico stava agendo con un eccesso di confidenza che portava a fargli credere di avere il controllo dei suoi investimenti anche senza effettuare scelte strategiche. Inoltre il fatto di chiudere in positivo alcune operazioni gli impediva di vedere i rischi che correva nel non attuare una strategia di diversificazione del portafoglio, poiché si concentrava su pochissimi titoli che a volte erano estremamente correlati tra di loro. Con queste certezze, che lo accompagnavano ormai da qualche anno, Enrico era pronto a partire. Il suo aereo decollava alle 10, ma lui per evitare incidenti di percorso si era presentato in aeroporto due ore prima. Con l’occasione, nell’attesa di partire, scorreva velocemente le quotazioni sul cellulare dei principali indici mondiali, ripensando alla prima volta che aveva scoperto quel mondo così fantastico. Dal momento che aveva già fatto il check-in, e quindi non restava altro da fare che aspettare, seduto su una panchina rifletteva su chi potesse mai aver mandato quell’invito composto dalla prenotazione per due notti in un hotel a cinque stelle nel centro di New York, il riferimento di un bar a Wall Street con orario e indirizzo per l’incontro e tavolo riservato, con volo in prima classe andata e ritorno. Chi e soprattutto perché nel bigliettino che accompagnava tutto questo c’era scritto: «questa occasione non te la devi assolutamente perdere!».

Lui era un bravo investitore, ma sconosciuto a chiunque. Perfino i suoi genitori non sapevano nulla della sua passione per le Borse, perciò perché lui? Questo dubbio lo avrebbe accompagnato per tutto il tragitto, fin dall’altra parte dell’oceano, fino a New York.

Data di Pubblicazione: 24 settembre 2018

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