SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 10 min

Istruzioni per muoversi con successo in un ambiente lavorativo nuovo

Felici al Lavoro - Nicola Chighine - Franco Moscetti - Speciale

Scopri come comportanti in un nuovo ambiente di lavoro e diventare più resiliente, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Nicola Chighine e Franco Moscetti.

Istruzioni per muoversi con successo in un ambiente lavorativo nuovo

Un nuovo lavoro, un nuovo ambiente di lavoro. È un passo ricorrente di ogni vita professionale, dal primo giorno in cui entriamo in un’azienda a tutti gli spostamenti e i cambiamenti che segnano la nostra carriera. Ed è un mix indescrivibile di eccitazione e smarrimento, di adrenalina e timore, di voglia di fare e freni inibitori.

Già, perché per quanto possiamo essere preparati, ogni inizio è un salto nel vuoto e le nostre possibilità di successo dipendono in gran parte da come sapremo decifrare il luogo in cui ci troviamo e da quanto velocemente saremo capaci di farlo. Ogni azienda ha le proprie regole e purtroppo non ci si può aspettare che siano scritte.

È vero, siti istituzionali, slide di Powerpoint, persino atri all’ingresso di molte società riportano in bella evidenza dichiarazioni d’intenti o motti ispiratori, ma la cultura e i valori di qualsiasi organizzazione si esprimono soprattutto attraverso i comportamenti e non sempre questi realizzano perfettamente le intenzioni.

Un esempio? Avete presente quelle organizzazioni che proclamano, in genere con grande vanto, il famigerato “Casual Friday”? Si tratta di quell’iniziativa di stampo statunitense secondo la quale una volta a settimana, il venerdì
appunto, ci si può vestire in modo informale, ma poi finisce che tutti vanno in ufficio con la stessa polo degli stessi colori – due al massimo – e con gli stessi pantaloni kaki.

Bene, questo è un caso evidentissimo di distonia tra valori dichiarati – puoi vestirti in modo informale e “libero” – e fatti concreti, mediati dal controllo sociale – polo e pantalone kaki per tutti, con buona pace del concetto di informalità.

 

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Strutturazione vs rapidità

Edgar Schein, psicologo statunitense che a questo tema ha dedicato la gran parte dei propri lavori, definisce la cultura organizzativa come l’insieme coerente di assunti fondamentali che un certo gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato mentre imparava ad affrontare i problemi legati al suo adattamento esterno o alla sua integrazione interna, e che perciò vengono trasmessi ai nuovi membri.

Ciò significa, prima di tutto, che la cultura di un’azienda è strettamente contestuale: è il frutto del rapporto che una società intrattiene con l’esterno e delle dinamiche che si sviluppano al suo interno. E, proprio per questo, è caratterizzata da specificità uniche e irripetibili: non esiste una cultura per tutti, un concetto talmente evidente da travalicare i ristretti confini del mondo del business.

"Credo di avere una discreta esperienza in tema di cultura organizzativa", dice scherzosamente Luca Colombo, Country Director Italia di Meta, società in cui è approdato nel 2010 (quando ancora si chiamava Facebook) come
settimo dipendente dopo una lunga esperienza in Microsoft Italia.

"Si tratta davvero di due culture aziendali molto diverse. In Microsoft, in quegli anni, le parole chiave erano organizzazione e risultato. In Meta, invece, due valori fondamentali sono “Move Fast”, muoversi velocemente, e “Focus on Impact”, ossia concentrarsi su quelle poche priorità che hanno il maggiore impatto. In tal senso, ho un forte ricordo che spiega meglio di ogni altra cosa come ho dovuto cambiare il mio “mindset”.

Appena entrato in Facebook, mi fu chiesto di realizzare un esercizio di stima dei risultati per i tre anni a seguire. Seguendo l’approccio a cui ero stato abituato, cominciai a fare riflessioni su numeri e trend noti oltre a
raccogliere ulteriori fonti utili a rafforzare stime e contenuti; in tutto ciò, ipotizzai di aver bisogno di più di due settimane per preparare il tutto.

Invece, dopo un paio di giorni ricevetti da Facebook un file Excel all’interno del quale avrei dovuto restituire le informazioni richieste. Complessivamente 8 celle: 3 con i dati numerici e 5 con i razionali e criteri a supporto di
tali stime. Tempo richiesto: 30 minuti. Numeri e disciplina da una parte, velocità e focalizzazione dall’altra".

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Questo non significa che uno dei due approcci sia migliore dell’altro. Semplicemente, sono frutto di due differenti culture aziendali e che richiedono evidentemente un adattamento al contesto e al modo di operare. Di esempi a proposito se ne potrebbero citare a decine, ma preferiamo prenderne uno direttamente dalla nostra esperienza di MentorCoaching®.

Lucia era stata per anni a capo della divisione vendite di un’importante multinazionale del largo consumo e aveva accettato il ruolo di direttore clienti di un’agenzia di comunicazione digitale molto apprezzata. Sulla carta, era tutto perfetto: posizione ottima, società di grandissimo nome, sensibile aumento di stipendio e possibilità di espandere in seguito la carriera in ambito internazionale.

Ma bastò l’occasione di una riunione con il team di strategia per capire che la cultura alla quale era abituata non si applicava alla nuova realtà. Per cominciare, di tre persone che dovevano intervenire, una non si presentò adducendo una generica urgenza su un altro fronte.

Quanto agli altri due, mostrarono un documento Powerpoint per definire l’offerta da portare a un cliente importante impaginato con due layout grafici diversi e, peggio ancora, con il logo sbagliato del cliente in una delle slide. Mancanza di rispetto? Trascuratezza? Disattenzione? Superficialità?

Tutte queste ipotesi transitarono per la mente di Lucia, abituata all’idea che non esistono ragioni, se non personali, per non partecipare a una riunione convocata da un superiore, e portata a ritenere che la forma è sostanza. La spiegazione, come le avrebbe confermato il general manager dell’agenzia, era un’altra: "Mi dispiace per il tuo rammarico, ma è ingiustificato", le disse più o meno.

"Qui ciascuno è individualmente responsabile di concentrarsi sulle azioni a maggior impatto e può benissimo non presentarsi a una riunione se la ragione è focalizzarsi su qualcosa di più importante per il business. Quanto al documento Powerpoint, da noi i dettagli sono meno importanti della rapidità d’azione". In poche parole, una differente cultura aziendale.

 

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Vento in poppa

"La cultura è come il vento. È invisibile, eppure il suo effetto si vede e si sente. Quando soffia nella tua direzione, ti permette di navigare senza problemi. Quando soffia contro di te, tutto è più difficile", sostengono Bryan Walker e Sarah Soule sulla Harvard Business Review.

"Andare contro i valori e la cultura aziendale è come nuotare controcorrente: lo si può fare per piccoli tratti, ma è molto faticoso", ribadisce Luca Colombo, appassionato nuotatore. "Non voglio dire che non si debba mai sfidare
l’organizzazione, ma è fondamentale sviluppare una certa consapevolezza organizzativa".

Insomma, la cultura aziendale va maneggiata con cura, perché può essere una risorsa importante oppure trasformarsi in un enorme ostacolo. Deve fungere da collante di una collettività, creare un bacino di significati, comportamenti e strategie condivisi e vincenti e soprattutto, e questa è la vera sfida, creare identificazione.

Oltre a una sorta di spirito di sopravvivenza, ogni individuo ha bisogno di senso di appartenenza per agire positivamente in un determinato contesto. E così come l’individuo deve riconoscersi nel gruppo e nel leader, riservandogli la sua fiducia, il gruppo stesso necessita di questo legame: più forte è l’identificazione, maggiore è il radicamento della cultura e la cooperazione.

Il complesso valoriale così costruito è estremamente difficile da scardinare: richiede una stratificazione di azioni proattive estremamente articolata e una tale partecipazione consapevole che, una volta raggiunte, risulta
difficile distaccarsene.

Nascono da qui anche i problemi: una buona cultura aziendale, infatti, deve essere flessibile al cambiamento e predisposta a superare l’impasse, la difficoltà; strutturalmente capace di aggiornare i suoi connotati senza perdere la fiducia dei singoli e capace di anticipare i tempi e le evoluzioni di un mondo estremamente concorrenziale.

Dicono bene Walker e Soule nell’intervento già citato: se è vero che l’autorità può convincere sulla conformità normativa, è altrettanto vero che la mancata flessibilità può ostacolare l’adozione di valori culturali fondamentali come l’ottimismo, la fiducia, la convinzione, la creatività. Una cultura aziendale performativa deve essere cucita sugli obiettivi dell’azienda e deve poter guidare i dipendenti verso comportamenti collettivi condivisi e sempre attuali.

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Un sistema a orologeria

Un esempio di cultura aziendale costruita e perseguita con forza è quella del Santagostino, una rete di poliambulatori specialistici a prezzi concorrenziali nata a Milano nel 2009 e cresciuta rapidamente prima a coprire fittamente il tessuto urbano e poi altre città.

"Noi abbiamo un codice culturale scritto, che viene letto e commentato insieme a tutti coloro che entrano in azienda, in modo da chiarire subito qual è il modo in cui si lavora da noi. L’ho steso insieme ai miei collaboratori più stretti, lavorando parola per parola per mesi, e non nasce per farci belli agli occhi degli altri, ma perché sono cose nelle quali crediamo", spiega Luca Foresti, Ceo dell’azienda.

"Si tratta di regole principalmente psicologiche, che riguardano il modo in cui relazionarsi agli altri e il modo in cui affrontare gli errori. Anche il Santagostwelve, che sono gli ultimi dodici elementi, di carattere più operativo, che riguardano temi come la ownership o l’uso dei dati, è seguito rigorosamente e indifferentemente da tutti.

Naturalmente, per far sì che una cosa del genere funzioni davvero, il primo requisito è che il capo dell’azienda ci creda fino in fondo e dia l’esempio. Per capirci, dato che il nostro codice culturale dice in modo esplicito che tutte le volte che qualcuno commette un errore gli va detto, se sbaglio io, perché sono umano e come tutti mi capita di farlo, soprattutto chi lavora più direttamente con me deve essere in grado di farmelo notare.

E questo è difficile, perché sono poche le persone sufficientemente coraggiose per entrare in un conflitto del genere con il capo dell’azienda, ma la realtà è che qui dentro ce ne sono, perché quando l’hanno fatto le prime volte, magari tentennando, hanno visto che non solo non gli succedeva niente di male, ma che facevano carriera. Hanno preso coraggio e ora lo fanno con più tranquillità.

Quindi non è una cosa che accade dal primo giorno, perché ci sono meccanismi umani profondi da scardinare e c’è bisogno di un processo per farlo. Dopodiché, la regola è che qualsiasi persona che lavora in azienda, 1.300 professionisti in questo momento, di cui 220 dipendenti, può scrivere direttamente a me a proposito del codice culturale, che lo faccia per risolvere un dubbio, per segnalare una violazione o un possibile emendamento.

Il dialogo è direttamente con me, non ci sono intermediari, quindi non c’è alcun dubbio che l’azienda creda pienamente in quello che c’è scritto nel codice culturale".

Data di Pubblicazione: 16 giugno 2022

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