SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO

Jung e lo Sciamanesimo - Anteprima del libro di C. Michael Smith

Jung e lo Sciamanesimo

Il tecnico del sacro

Lo sciamanesimo e il sacro

Lo sciamano è un tecnico del sacro. È impossibile cogliere la ricchezza dello sciamanesimo senza comprendere almeno in parte l’importanza del sacro e della relazione che lo sciamano intrattiene con esso. La vocazione dello sciamano è sacra e lo sciamano è il maestro cerimoniale del sacro, colui che è in grado di localizzare, sorvegliare e utilizzare in modo efficace le energie creative ma pericolose del sacro, a scopi terapeutici o con altri intenti benefici per la società. Comprendere le componenti religiose e spirituali della pratica sciamanica richiede una comprensione della natura del sacro e della sua importanza nello stile di vita, nella pratica terapeutica e nella funzione sociale dello sciamano.

In questo capitolo rivedremo a grandi linee il concetto del sacro come è stato descritto da tre importantissimi studiosi quali Rudolf Otto, Gerhardus Van der Leuw e Mircea Eliade. La nostra indagine comporterà una verifica degli aspetti del sacro rilevanti per la visione sciamanico-animistica del mondo, ma includerà anche una riflessione sul sacro in altri contesti culturali, fra cui quelli della civiltà occidentale, a noi più familiari. Questo significa che seguiremo il metodo storico-fenomenologico di Otto, Van der Leeuw ed Eliade per chiarire la fenomenologia del sacro, e a tale scopo prenderemo degli esempi paralleli dalla nostra esperienza culturale occidentale. Questa panoramica sul sacro servirà a introdurre il ruolo rituale dello sciamano, nonché vari concetti chiave su cui ci concentreremo nel dialogo tra la psicologia junghiana e lo sciamanesimo a cui è dedicata la rimanente parte del libro.

L’animismo

Le relazioni che lo sciamanesimo intrattiene con il sacro poggiano su una visione e un’esperienza spirituali pre-teologiche e pre-politiche. Essendo nata, probabilmente, al periodo della rivoluzione culturale dei cacciatori del Paleolitico, quando nei piccoli gruppi tribali non si erano ancora formati un clero e dei dogmi di fede, l’autorità sciamanica si basava sul potere e sull’efficacia con cui gli sciamani comandavano il sacro a beneficio del loro popolo. Questo significa che la visione della realtà e l’autorità degli sciamani si basavano sull’esperienza piuttosto che su un’ordinazione clericale o su una gerarchia istituzionale. Sebbene lo sciamanesimo non sia una religione ma un metodo esperienziale che può essere definito spirituale, esso è spesso associato a una forma primitiva o primaria di esperienza religiosa chiamata animismo (dal latino anima, termine che suggerisce una natura animata, dotata di anima o di spirito). La visione animista del mondo attribuisce un’anima o uno spirito a tutte le cose. La natura, in modo simile alla visione che ne hanno oggi molti fisici teorici, è vista come qualcosa di vivo; ogni cosa è viva, in ogni cosa vivono gli spiriti. Il mondo animistico è abitato da spiriti ancestrali, spiriti di piante e di animali, spiriti benevoli e pericolosi, e molti altri. Per una vita armoniosa e sana è necessario mantenere una relazione appropriata con gli spiriti. La violazione del mondo spirituale porta discordia, caos e carestia o malattia. È questa visione del mondo che costituisce il presupposto del concetto sciamanico di realtà suprema. I poteri e le energie misteriose sembrano essere la realtà suprema implicita nell’animismo, nei suoi riti di culto, nella propiziazione ed espiazione, nella proibizione delle violazioni dei tabù e nei metodi per restaurare la salute e l’ordine. Questo potere e quest’energia misteriosi sono stati chiamati in vari modi, mana, orenda, wakan, e altri ancora, ed è stata data loro una designazione cross-culturale dai fenomenologisti della religione: “sacro”, o “santo”.

Rudolf Otto: il sacro nei suoi aspetti non razionali

I concetti occidentali di realtà suprema (o di divinità) solitamente enfatizzano la divinità come entità che promulga una legge morale, come buona volontà e come spirito. Secondo Rudolf Otto questi concetti ignorano però gli aspetti non razionali della realtà suprema. Lo sciamanesimo, indebitato con la concezione animistica, sperimenta la realtà suprema come misteriosa, affascinante, potenzialmente pericolosa e potente. L’animismo enfatizza gli aspetti non razionali del sacro. Secondo Rudolf Otto, è proprio l’averli invece trascurati che è all’origine della debolezza delle concettualizzazioni occidentali della realtà suprema.

Descrivendo il sacro/santo, Otto si è preoccupato soprattutto di rappresentare il sentimento derivante da ciò che veniva sperimentato come misterioso e ineffabile e che, fenomenologicamente parlando, sembrava apparire in maniera universale nell’esperienza religiosa. Per esprimere il sentimento di reazione non razionale a quell’oggetto dell’esperienza che appare in modo universale, Otto coniò il termine numeri (che in latino traduce “dio”, e la cui forma aggettivata è numinosò). Il numen è un concetto irriducibile. Si riferisce a un oggetto che appare universalmente, un sui generis, che non può essere definito ricorrendo semplicemente ai concetti esplicativi della sociologia, della psicologia, dell’antropologia o di qualsiasi altra disciplina. È un mistero che non può essere descritto dalle parole, va oltre il loro potere. E pur essendo percepibile da facoltà quali la sensazione o l’intuizione, resta sempre inesprimibile. Il senso di questa realtà suprema, situata oltre le capacità di afferrarla e descriverla in termini razionali e linguistici, nei linguaggi appartenenti all’eredità culturale occidentale, è evocato dall’ebraico q’adosh, il greco hagios, il latino sanctus, il tedesco heilìg. Nello sciamanesimo nativo americano si utilizzano termini quali orenda e wakan. Di solito queste parole sono considerate sacre e devono essere pronunciate solo in un modo ritualmente prescritto e rispettoso. Pronunciarle in un contesto profano è ritenuto blasfemo.

Il mistero

Secondo Otto, anche il numen era interamente altro, discontinuo con qualsiasi altra cosa appartenesse all’esperienza quotidiana. La sua analisi del sacro in tre aspetti contrastanti è stata sintetizzata nella frase latina: mysterium tremendum et fascinans. In quanto mysterium, il carattere ineffabile e inesauribile del sacro è sperimentato come un potere che ammutolisce, come un sentimento simile allo stupore, alla sorpresa, al timore e alla meraviglia. Le esperienze strane, sublimi e travolgenti, trovarsi, ad esempio, di fronte alla potente cascata del Niagara, evocano un senso di stupore e meraviglia. Nello sperimentare l’aspetto misterioso del sacro «incappiamo in qualcosa di incommensurabile rispetto a noi stessi».

La fascinazione

Il sacro è descritto anche come fascinosum, ovvero dotato di una componente inebriante e attraente. Gli sciamani, come i saggi, i mistici, le streghe e i santi, possiedono un profondo desiderio del sacro, che può essere descritto come una sete ontologica. Lo sciamano inizia frequentemente il suo percorso come un giovane ferito che, a differenza dei suoi coetanei della tribù, è irresistibilmente attratto (chiamato) verso tutto ciò che è strano, misterioso e potente. La fascinazione esercitata dal sacro ha un effetto seducente sull’immaginazione. Esso può diventare un oggetto di grande desiderio, di ossessione o di ricerca mistica e ascetica. Dal momento che è alla fonte dell’aspirazione religiosa, può risvegliare un sentimento di beatitudine che va oltre ogni altra comparazione. Otto credeva che l’ossessione per il fascinosum fosse il risultato di una identificazione magica del sé con il numen, durante una transazione magica e devozionale per mezzo dell’evocazione, della consacrazione, di formule ed esorcismi, o tramite la procedura sciamanica di «possessione, inabitazione e autorealizzazione nell’esaltazione e nell’estasi». Otto credeva che queste modalità fossero originate dalla magia animistica ma si fossero presto evolute, nella ricerca del numen come fine in se stesso, nelle religioni più sviluppate. Il culmine della ricerca del numen si troverebbe nell’incontro cultuale con ciò che «l’occhio non ha visto, e l’orecchio non ha udito». Lo scopo della ricerca dello sciamano era accedere ai poteri ausiliari, apprendere e configurare la misteriosa geografia del sacro. Ma a parte la sua funzione pratica, quella a cui lo sciamano era chiamato era una ricerca mistica, provvista di una seduzione e di un potere, che poteva sfociare in ossessione ed essere rifiutata o negata solo a rischio e pericolo dell’anima dello sciamano.

La soggezione: la componente orrorifica-repellente

L’esperienza del sacro non è solo misteriosa, affascinante e seducente, ha anche una componente minacciosa e orrorifica. Questa componente è descritta come dotata di un potere preponderante, di una maestà e un’urgenza riflessi dalle parole di Giacobbe, Terribilis est locus iste: «Quanto è terribile questo luogo / non può essere altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!». È una sorta di sentimento sconcertante che penetra al centro dell’essere, suscitato dall’esperienza di sentirsi nulla di fronte al sacro, di non essere altro che polvere e cenere. Questo sentimento è la fonte del rispetto rituale per il sacro e dell’imperativo a non inquinarlo con impurità profane.

La natura ambivalente del sacro

L’esperienza del sacro, come delineata da Otto, è un’esperienza ambivalente, poiché comprende una componente affascinante e seducente e una pericolosa e repellente. Il richiamo del numinoso può essere improvviso, come un’esplosione vulcanica, o anche dolce e progressivo, come le onde calme del mare. Inoltre, un polo dell’esperienza potrebbe presentarsi prima dell’altro, oppure entrambi i poli possono presentarsi simultaneamente. La componente attraente e seducente culmina in un sentimento di estasi, nell’impulso verso la devozione e nel desiderio di arrendersi al numen ed esserne posseduti. La componente repellente od orrorifica evoca invece nelle persone, quando si trovano alla presenza del sacro, un senso di indegnità. Ne risulta un sentimento di colpa morale od ontologica che risveglia una necessità di riparazione o espiazione, e tende a sfociare nell’impulso di raddrizzare i torti (purificazione rituale, propiziazione, salvezza o riconciliazione). Questa esperienza bipolare del sacro non ha dato origine solo alla necessità del culto religioso, ma anche all’impulso di restaurare le relazioni con il supremo, di restaurare l’ordine, di espiare i peccati e le violazioni dei tabù; ne risulta quindi un aspetto teleologico. L’aspetto duale è evidente in tutte le forme religiose, da quella animistico-sciamanica a quella delle cosiddette religioni civilizzate (Giudaismo, Cristianesimo, Islam, Induismo, Buddismo). Lo sciamanesimo ha cercato le cause della malattia nelle violazioni dei tabù che disturbano l’ordine spirituale supremo e l’ordine tribale voluto dagli dèi, dagli antenati e dagli altri simboli del sacro.

L’espressione del numeri

Poiché il numinoso è sperimentato come qualcosa di interamente altro, è molto difficile dargli espressione. Il linguaggio ordinario e i concetti razionali non riescono a rendergli giustizia, poiché esso li elude con il suo mistero. Può essere evocato o risvegliato tramite l’uso simbolico del linguaggio, ma per averne coscienza è indispensabile possedere un istinto naturale nei suoi confronti. Solitamente, per invocare o evocare tale consapevolezza vengono usati mezzi indiretti, poiché essa non può essere insegnata o tramandata. Lo sciamano può essere istruito sui metodi pratici di guarigione, sulle tecniche, sui rituali e sulle medicine dai suoi insegnanti o compagni, ma l’esperienza del numen è di natura esclusivamente personale. Può essere solamente invocata, incitata o risvegliata.

I mezzi diretti per evocarla implicano l’uso del linguaggio, ma in un modo che spinge le parole oltre il loro punto di rottura, ricorrendo a immagini simboliche o termini che non possiedono un significato letterale (l’indù om, l’ebraico hallelujah, il sioux wakan). Spesso le parole sacre devono essere taciute, oppure pronunciate o recitate in modo speciale. I mezzi diretti funzionano solamente se sono affidati ai mezzi non verbali, come l’atteggiamento di riverenza o rispetto, uno speciale stato d’animo, il rispetto nel parlare eccetera. I mezzi indiretti comportano solitamente alcune condizioni estetiche e ambientali che suscitano il sentimento numinoso. Qualsiasi atmosfera possa suscitare un sentimento di straordinaria potenza, bellezza, terrore ed elevazione spirituale, o un’aspirazione elevata, un certo senso del sublime, può diventare il mezzo indiretto per evocare il sentimento numinoso. Luoghi, eventi o oggetti strani, differenti, unici, miracolosi o potenti sono i più adatti a ottenere la risposta numinosa. Come esempio di potere e grazia numinosi Otto si sofferma sull’antica Stonehenge. Egli credeva che il sito originariamente potesse essere stato usato per conservare il numen in un luogo fisico, grazie a mezzi magici. Gli oggetti naturali come i sassi, gli specchi d’acqua, le montagne, il sole e la luna possono tutti suscitare il sentimento del numen. L’arte sacra è stata sempre in grado di suscitare il numen, spesso tramite l’uso di un’espressione impersonale e austera (le madonne bizantine), l’oscurità (le madonne nere) e i personaggi distruttivi (Kali Durga), che suggeriscono non solo il lato seduttivo ma anche quello tremendum e orrorifico del sacro. Anche l’uso dello spazio negativo nell’arte orientale o nell’architettura gotica, e quello della luce e dell’ombra (le cripte gotiche) suscitano risposte simili. L’amore dello sciamano per l’oscurità, i cimiteri e la notte può essere ben compreso come bisogno di contesti ambientali in grado di evocare l’esperienza ambivalente del sacro.

Il concetto del sacro di Van der Leeuw

Le descrizioni e le formulazioni del sacro di Van der Leeuw sono molto vicine a quelle di Otto. Per questo motivo vogliamo qui menzionare principalmente solo le aree nelle quali i suoi concetti fanno un passo oltre rispetto a quelli di Otto. Van der Leeuw si concentra sull’esperienza ambivalente del sacro come potere e come timore. Alla pari di Otto, egli individua un’alterità nell’oggetto dell’esperienza religiosa: la prima affermazione che possiamo fare sull’oggetto della religione è che esso è un “altro” estremamente eccezionale e impressionante. Come Otto, egli enfatizza anche l’esperienza affettiva del sacro, ma la caratterizza soprattutto come spaventosa. Il terrore esercita sia attrazione che repulsione. Così, l’esperienza del sacro è anche un’esperienza ambivalente. Positivamente, l’elemento di attrazione è vissuto con sentimenti di riverenza, sorpresa, fiducia e amore. Negativamente, l’elemento repellente è sperimentato come terrore, orrore e paura.

Questo testo è estratto dal libro "Jung e lo Sciamanesimo".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

Ti è piaciuto questo articolo? Rimani in contatto con noi!

Procedendo con l'invio dei dati:

Lascia un commento su questo articolo

Caricamento in Corso...