Kintsugi è l'arte giapponese di riparare la ceramica con l'oro, metafora della resilienza e di come le cicatrici dell'anima si trasformino in punti di forza.
Kintsugi - L'arte giapponese delle cicatrici d'oro
Per kintsugi si intende un'antica tecnica di origine giapponese, che consiste nell'aggiustare la ceramica, come vasi e tazze, incollandone i cocci con una pasta composta di polvere d'oro. Lo stesso termine "kintsugi" (o "kintsukuroi"), in effetti, vuol dire letteralmente “riparare con l’oro”.
Tuttavia, l'obiettivo non è solo quello di sistemare l'oggetto, ma di dargli anche una nuova vita e un nuovo aspetto, valorizzandone le crepe, invece di nasconderle. Dolci cicatrici, come fiumi d'oro, lo attraversano, regalando alla vista una nuova armonia.
Il concetto di fondo è importantissimo: ciò che è rotto non è perduto, ma può rinascere, traendo nuova forma e forza dalle sue imperfezioni e trasformandosi così in qualcosa di molto più bello.
In Giappone, questa deliziosa forma d'arte legata alla ceramica è diventata una vera e propria filosofia, che abbraccia l'anima, la mente e la vita stessa.
L'arte d'essere fragili
"Chi rompe paga e i cocci sono i suoi." Quante volte abbiamo sentito questo proverbio. Il suo significato lo conosciamo fin troppo bene: se danneggiamo qualcosa, lo dobbiamo risarcire, ma in compenso ce lo possiamo tenere. D'altronde, un oggetto rotto non si potrà più rivendere perché è da buttare e nessuno si sognerebbe di comprare o, più semplicemente, conservare uno scarto. Una mentalità tipicamente Occidentale, focalizzata solo sull'usa e getta.
Inoltre, questo modo di vedere il mondo ci porta a focalizzarci molto sull'apparenza delle cose, ritenendo un oggetto "danneggiato" e "imperfetto" di minor valore rispetto a uno nuovo e integro. La chiave di questo concetto sta proprio nella parola "valore" come se tutto alla fine si riducesse a un costo, economico o immaginario, che alla fine ci imprigiona tutti.
Questa percezione si rispecchia anche in che modo percepiamo la bellezza estetica di chi osserviamo. Pensiamo quanto demonizziamo le smagliature e le rughe sui nostri corpi, difetti inaccettabili che dobbiamo assolutamente nascondere, mascherare o cancellare. Non ci permettiamo di invecchiare, di ingrassare, di sentir scorrere il tempo e la vita sui nostri corpi, mentre ci scolpisce gli anni e le esperienze addosso.
Così, quando si rompe un oggetto, cerchiamo di camuffare per quanto possibile le crepe, utilizzando colla trasparente per tentare di ripristinare il suo antico aspetto. Nascondiamo sotto i vestiti e il trucco le imperfezioni e le cicatrici.
Il dolore e i fallimenti sono fonte di vergogna, che rovinano l'ideale di perfezione a cui deve ambire l'esistenza. Ci è difficile quindi vedere in una crisi lo spiraglio di un'opportunità o il segno che abbiamo bisogno di evolvere e cambiare.
Le ferite dell'anima e i traumi della mente sono scomodi, quindi è meglio non parlarne, celarli sotto il tappeto del nostro spirito e sperare che, non pensandoci troppo, spariscano.
Tuttavia, lo sappiamo che non potrà durare per sempre. Una cosa rotta non potrà più tornare davvero come prima. E allora cosa si fa? La si butta via, no? La vita però non la si può gettare via né ricomprare. Perciò siamo costretti ad accettarla, con un amaro gusto di sconfitta in bocca e un sorriso falso sulle labbra.
Pensiamo quanto questo modo di vedere le cose ci renda infelici, quando basterebbe cambiare prospettiva e mentalità perché tutto cambi. È allora che la filosofia kintsugi viene in nostro soccorso.
Le preziose cicatrici dell'anima
Secondo la tecnica del kintsugi le "cicatrici" non sono un difetto da eliminare né da nascondere, ma vanno esaltate e trasformate in qualcosa di cui andare fieri. Una nuova forma di bellezza.
Questo rivoluzionario punto di vista si può trasferire anche nella quotidianità e diventare intrinseco nell'esistenza stessa. Perciò, i giapponesi l'hanno trasformata in una potente filosofia di vita.
Sotto l'audace ottica del kintsugi tutto muta. Le nostre cicatrici non sono più difetti, ma sono l'inchiostro con cui è stato scritto il nostro passato. Raccontano la nostra storia che, per quanto dolorosa, è parte di noi. Siamo noi.
Una ferita, tanto dell'anima quanto del corpo, non è un segno di debolezza, ma di forza. È la prova che siamo sopravvissuti. Le esperienze difficili che abbiamo affrontato non ci hanno solo "danneggiato", ma anche rafforzato e fatto crescere, temprandoci come fa il martello di un fabbro con una spada nella sua fucina infuocata.
L'incredibile capacità degli esseri umani è quella di adattarsi. Ciò vuol dire che fa parte del nostro istinto non arrenderci alle difficoltà, ma superarle. E se cadiamo o falliamo, abbiamo le capacità e la forza di rialzarci ed elaborare nuove soluzioni.
Come l'oggetto rotto raggiunge una nuova bellezza attraverso l'arte del kintsugi, una persona può "guarire" dalle sue ferite e ritrovare un nuovo equilibrio, raggiungendo una ritrovata forza interiore, spirituale e mentale. Questo perché, al contrario di quanto potremmo pensare, le "crepe" non dobbiamo vederle come punti più fragili, ma come zone che abbiamo rinforzato con l'oro.
Il Kintsugi è resilienza
Il kintsugi diventa quindi una potente metafora della resilienza, ossia la capacità psicologica di affrontare gli ostacoli e i traumi in maniera proattiva e positiva grazie alle nostre risorse personali.
Tuttavia, quali sono gli elementi che ci possono aiutare a trasformare una crisi in un'opportunità? Sono sei le risorse di cui tutti noi possiamo avvalerci:
- Fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità;
- Consapevolezza di ciò che siamo in grado di fare e fin dove possiamo spingerci grazie alla nostra forza;
- Accettare la possibilità di un fallimento;
- Vedere la difficoltà non come un ostacolo, ma come uno stimolo a reagire;
- Fare introspezione costruttiva su noi stessi;
- Avere il supporto positivo di chi ci circonda, costruendo un ambiente sociale sano e positivo.
Questi elementi non si sviluppano dall'oggi al domani, ma si rafforzano col tempo, consolidando e dando vita a un circolo virtuoso e perpetuo. I padroni del nostro destino siamo noi, perciò è in nostro potere innescare questo cambiamento.
Inoltre, per raggiungere questo stato di consapevolezza non siamo costretti a lavoraci da soli, ma possiamo avvalerci dell'aiuto di uno psicoterapista oppure iniziare un dialogo con noi stessi tramite la meditazione e altri strumenti che possano temprare la nostra autostima.
Dobbiamo prendere coscienza che abbiamo tutte le risorse necessarie per farcela e, se crediamo il contrario, è semplicemente questione di fiducia in noi stessi. Tuttavia, come ci insegna il kintsugi, non dobbiamo aver paura di fallire e di "romperci" perché, anche se dovesse capitare, possiamo "ripararci".
Alla fine un oggetto che non ha imperfezioni è qualcosa che non ha vissuto davvero né ha una sua storia. Non è niente. Non ancora.
Wabi Sabi: La bellezza dell'imperfezione
Dobbiamo prendere coscienza di un fatto fondamentale per liberarci dei concetti tossici quali "il fallimento è inaccettabile" e "la perfetta apparenza è tutto".
La perfezione nel mondo terreno non è concepibile, ma ciò non vuol dire che tutto sia orribile, anzi. Questo vuol dire che è l'imperfezione ad avere una sua bellezza.
Al kintsugi, quindi, si unisce a doppio filo un altro fondamentale concetto della cultura giapponese: il wabi-sabi. Infatti, secondo questo principio, niente dura per sempre così come la perfezione non esiste.
Una vita imperfetta dunque diventa simile a un bellissimo quadro così come l'accettazione delle proprie fragilità diventa arte di non arrendersi.
Il wabi sabi ci invita a diventare umili, ad aprirci all'empatia verso l'altro e, infine, a prendere atto che, pur quando regnano gelo e morte nel più malinconico inverno, la Natura non perde mai la sua bellezza.
Una filosofia che ispira all'ecosostenibilità
È proprio parlando di Natura che concludiamo il nostro cammino insieme alla filosofia kintsugi.
Se ci pensiamo, infatti, il kintsugi ci stimola a un comportamento non solo proattivo verso noi stessi, ma anche verso la Natura, assumendo azioni ecosostenibili.
Come abbiamo visto finora, l'arte del kintsugi vuole evitare gli sprechi, recuperando la ceramica giapponese e dandole nuova vita. Un atteggiamento che evita gli sprechi e mira al recupero, proprio come fa la Natura che non contempla l'usa e getta, ma lavora per un ciclo perpetuo di "riciclaggio".
Mai come ora, è questo comportamento a cui dobbiamo puntare per salvare la Terra dal pericolo a cui l'abbiamo esposta con il nostro spreco sfrenato e infettata con l'inquinamento.
Tuttavia, nella nostra cultura occidentale, su cui pende l'egida del capitalismo, non è concepibile il recupero sistematico di tutto e l'evitamento totale degli sprechi, perché recuperare vuol dire riciclare, risparmiare e non acquistare più del necessario. Il capitalismo "morirebbe", ma questo è necessario e sarà inevitabile.
Per il bene del pianeta dobbiamo distaccarci da questo atteggiamento e aprirci a una nuova dimensione, più minimalista e rispettosa del mondo che ci circonda.
Spetta a noi riempire d'oro le profonde cicatrici che abbiamo provocato alla Terra.
Data di Pubblicazione: 28 febbraio 2023