Leggi lanteprima del libro di Daniele Palmieri e comprendi la logica che si nasconde dietro la teoria e la pratica magica.

L'essenza della magia

L'Alcibiade è un dialogo di Platone in cui Socrate, interrogando uno spregiudicato Alcibiade pronto a scendere in politica, attraverso le sue domande incalzanti mostra al giovane come questi non solo non conosca né i principi né la definizione dell'arte del governo, ma nemmeno la nobile arte del dominio di sé e della conoscenza della propria anima. La questione della definizione, in qualsiasi indagine, è di fondamentale importanza, suggeriscono Socrate e Platone; e lo sarà ancor di più quando l'oggetto della trattazione è talmente vasto da rischiare di sfociare nel vago, come nel caso della magia. È dunque necessario focalizzarsi sulle due domande socratiche per eccellenza: che cos'è? e chi sono io? applicandole all'arte magica. Che cos'è la magia? e chi è il mago?

Complici gli stereotipi diffusi dalla cultura di massa contemporanea, si pensa alla magia come a una forma di superstizione irrazionale superata, ormai utile solo ad allietare l'immaginazione di bambini e ragazzi. Si pensa che i maghi siano i personaggi delle opere di finzione, in grado di compiere miracoli e incantesimi impossibili, oppure i ciarlatani e i truffatori pronti a circonvenire le persone con le loro promesse illusorie. Anche quando la magia è oggetto di studi critici in ambito accademico, siano essi storici, filosofici, antropologici, si tende a trattarla con un certo distacco, dall'esterno, quasi a non volersene sporcare le mani o a non voler essere tacciati di follia.

"Appena lo studioso si volge al mondo magico nell’intento di penetrarne il segreto" scrisse Ernesto de Martino ne Il mondo magico, "subito si imbatte in un problema pregiudiziale dal quale dipende in sostanza l’orientamento e il destino della ricerca: il problema dei poteri magici. Ordinariamente tale problema viene eluso con molta disinvoltura, in quanto si assume come ovvio presupposto che le pretese magiche siano tutte irreali e che le pratiche magiche siano tutte destinate all’insuccesso”.

Eppure, come sostiene anche l'antropologo italiano, questo "ovvio" presupposto è destinato a inficiare l'intera ricerca. Difatti, da presupposti dati per scontato non possono che derivare risultati fallaci, influenzati dal pregiudizio.

Nel momento in cui ci si approccia alla materia con paura, scetticismo o pregiudizi di varia natura, si è destinati a fraintendere il vero significato della magia e a negarne, in partenza, uno statuto gnoseologico, ossia la possibilità di poter arrivare a certe conoscenze del mondo attraverso l'applicazione del suo metodo conoscitivo. Cercheremo, nel presente testo, di avvicinarci alle arti magiche lasciando da parte tanto il distacco quanto la fede cieca e tenteremo di comprendere la logica che si nasconde dietro la teoria e la pratica magica.

Un modo diverso di guardare al mondo

Uno dei principali pregiudizi nei confronti della magia è l'idea che tale forma di conoscenza sia totalmente irrazionale, avulsa da ogni ragione e da ciò si deduce che essa non possa produrre alcuna forma di sapere, sia esso teorico o pratico. Nulla di più erroneo. Ma l'errore di giudizio, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non risiede nel ritenere che la magia non sia razionale, bensì nel ritenere che l'unico approccio conoscitivo valido sia quello razionale e che, al di là della dicotomia razionale-irrazionale non sia data una terza opzione. Ma essa esiste ed è proprio l'approccio a-razionale che il pensiero magico applica al mondo. L'irrazionalità presuppone un conflitto con la ragione; la arazionalità corrisponde, invece, a una "assenza" della ragione, che non si traduce, necessariamente, in uno scontro con la logica ma, al contrario, nella formulazione di un modo di pensare e di approcciarsi al mondo che, trascendendo il conflitto, apre una terza via, un modo diverso di guardare al mondo.

Per fare un esempio pratico, vedendo dei ceppi di legno bruciare la mente irrazionale crede che tra il fuoco e il legno vi sia una relazione "miracolosa", inspiegabile; ne riconosce l'eccezionaiità, percepisce che dietro al fenomeno si nasconde una dimensione misteriosa, eterica, ma si riduce a contemplarla e a venerarla. La mente razionale, al contrario, riconduce il fenomeno al suo aspetto esclusivamente fisico; è in grado non solo di descriverlo secondo nessi logici, ma anche di replicarlo, strappandogli però quell'aurea miracolosa, in grado di smuovere la percezione di una dimensione-altra. La mente magica a-razionale, pur riconoscendo la componente fisica, riconosce nel fenomeno altri strati, di tipo simbolico, sui quali è possibile agire per innescare una catena di eventi che trascendono il piano prettamente fisico e materiale. In altri termini, il pensiero a-razionale, attraverso un procedimento immaginativo e simbolico, instaura tra le cose una serie di legami che, pur trascendendo il piano fisico, non sono arbitrari, possiedono una propria logica e sono in grado di provocare mutamenti tanto interiori quanto esteriori. Il pensiero magico a-razionale non nega il miracolo, ma crede nella possibilità di comprenderlo e replicarlo.

In ciò risiede una delle prime, grandi, differenze tra il pensiero magico e il pensiero religioso i cui confini, sebbene spesso labili, sono tuttavia marcati da un atteggiamento opposto nei confronti dell'esistenza: il religioso si affida passivamente al mistero, il mago s'innalza attivamente ad esso. Il religioso ha timore di profanare la natura attraverso la conoscenza dei suoi meccanismi, il mago ricerca il limite per capire come superarlo. Il religioso invoca e implora, il mago evoca e comanda.

Come scrive Cornelio Agrippa, filosofo, mago, medico e alchimista attivo tra XV e XVI secolo, nella De occulta philosophia: "La Magia è una scienza poderosa e misteriosa, che abbraccia la profondissima contemplazione delle cose più segrete, la loro natura, la potenza, la qualità, la sostanza, la virtù e la conoscenza di tutta la natura; e ci insegna in quale modo le cose differiscano e si accordino tra loro, producendo perciò i suoi mirabili effetti, unendo le virtù delle cose con la loro muta applicazione e congiungendo e disponendo le cose inferiori passive e congruenti con le doti e le virtù superiori".

La Magia Naturale

La definizione di Cornelio Agrippa deriva dalla presa di coscienza che ogni oggetto della realtà è un punto d'incontro tra diverse dimensioni: la dimensione materiale, la dimensione matematica/geometrica e la dimensione simbolico-spirituale. Le virtù naturali corrispondono a quelle che oggi chiameremmo le proprietà fisiche e chimiche degli oggetti e delle sostanze, in grado di produrre effetti che non richiedono l'intervento di altre forze al di là di quelle materiali. Le erbe, i fiori, le pietre e i cristalli, le secrezioni del corpo, gli organi etc. possiedono delle virtù a essi intrinseche che, per essere utilizzate, non richiedono l'intervento né di influssi astrologici né di entità o intelligenze immateriali. La branca specifica che si occupa dell'indagine di queste virtù è, secondo Agrippa e altri maghi del rinascimento come Giordano Bruno, Tommaso Campanella o Gianbattista Della Porta, la magia naturale. "Questa magia dotata di immensa potenza" scrive Della Porta ne La magia naturale, "abbonda di misterica conoscere le forze occultate dalla natura e insegna, grazie alla loro razionale applicazione, a compiere opere che il profano stima soprannaturali, solo perché oltrepassano i limiti delle sue conoscenze".

Erede dell'antica filosofia naturale e antenata della fisica/chimica moderna, la magia naturale si occupa dunque di investigare le cause dei fenomeni materiali affinché l'uomo possa non solo conoscerli, ma soprattutto replicarli, "Questa sapienza è speculativa e pratica insieme" scrive Campanella "perché applica quel che intende alle opere utili al genere umano" il quale, a sua volta, aveva appreso dal suo maestro Della Porta di "non reputare i miracoli della magia naturale altra cosa che effetto delle opere della natura. L'arte è schiava della natura ed è ai suoi servizi. Così in agricoltura la natura sola genera le erbe e le piante e l'arte non fa che coltivarle e sfruttarle. Perciò Plotino ha chiamato il mago ministro della natura". Non a caso l'arte medica, fin dall'antichità, si è sempre sviluppata a stretto contatto con le conoscenze magiche/terapeutiche; basti pensare che, pressoché in tutte le culture cosiddette "primitive", lo sciamano del villaggio è anche colui in grado di curare e liberare gli uomini dalle malattie. Caso emblematico, gli sciamani delle popolazioni indigene americane, a cui veniva attribuito il titolo di Uomo-Medicina. Ma anche in nella storia del pensiero Occidentale, soprattutto nel mondo medievale e rinascimentale, diversi maghi, come Agrippa e Paracelso, praticarono la professione di medico e, in diversi casi di processi per stregoneria, la conoscenza e la messa in pratica delle virtù delle erbe da parte dei perseguitati, perfino a scopo benefico, erano viste con sospetto poiché reputate conoscenze magiche. Ma, come accennato in precedenza, questo è solo la prima facciata di una realtà multidimensionale.

"È e si dice più sapiente chi coglie gli aspetti meno percepibili dei fenomeni e le loro condizioni. Ne segue che coloro che sono formati dal santo desiderio della sapienza lavorano molto alla comprensione della condizione occulta della realtà" scrive Al-Kindi del De Radiis, trattato di magia araba del IX secolo d.C., tradotto in latino nel XII secolo e testo cardine, insieme al Picatrix, della magia medievale e rinascimentale. Al di là delle virtù materiali che, per quanto celate, sono percepibili dai sensi e ricadono dunque nel dominio del mondo fisico e delle cause materiali, esistono dei nessi legati alla "condizione occulta" della realtà. La forma, il numero, la struttura geometrica, il movimento, il tempo, l'attrazione e la repulsione, sono elementi della realtà che, pur essendo legati agli oggetti materiali, non sono direttamente percepibili dai sensi e rivelano l'aspetto "relazionale" dell'esistenza. Ogni ente dell'Universo non esiste di per se stesso, come un atollo isolato dal resto del mondo, ma esiste in quanto inserito in una catena di relazioni, in grado di provocare mutamenti nelle cose senza apparenti nessi diretti di tipo materiale. I Pitagorici, strettamente legati al pensiero magico, sostenevano che tutto è numero. La realtà è una questione di proporzioni geometriche.

Gli oggetti esistono poiché dotati di una forma che ne delimita i confini; le molteplici forme, astratte e universali, donano ai corpi diverse proprietà. La proporzione tra le forme permette la vita. L'anima, ad esempio, è come la sinfonia musicale prodotta dalla perfetta proporzione delle corde di un violino. La vita sulla terra, a sua volta, è generata dalla perfetta armonia tra i pianeti e le loro orbite; e così come le anime risuonano del perfetto accordo delle forme del corpo, ciascun pianeta, ruotando, genera una divina sinfonia, che risuona per tutto la realtà - e tale canto è l'anima del cosmo. Eppure, nessuna tra le siffatte relazioni è esperita direttamente dai sensi. Sono rilevabili, o calcolabili, ma non percepibili. La differenza, apparentemente sottile, è in realtà abissale.

La magia matematica

È possibile compiere operazioni matematiche, dimostrazioni geometriche, calcolare proporzioni, progettare, descrivere e creare forme, rilevare lo scorrere del tempo, scandirlo con il movimento dei pianeti, ma nella loro essenza tutti questi elementi rimangano astratti, intuibili ma non percepibili attraverso i cinque sensi ordinari. Ciò nonostante, tutti gli elementi poc'anzi citati hanno un effetto concreto sulla realtà materiale. Ed è a questa sfera di influenze occulte, così definite in quanto nascoste, appunto, ai sensi ordinari, che è collegata la seconda branca della magia: la magia matematica (o magia astrale). La magia matematica, come scrive Giordano Bruno nel De Magia: "ha analogia con la geometria per via di figure e caratteri, con la musica per via della modulazione degli incantamenti, con l'aritmetica per via di numeri e computi, con l'astrologia per tempi e moti, con l'ottica per i fascini che emanano dagli occhi". Il suo fulcro risiede, dunque, nel rintracciare la giusta proporzione in grado di legare, tra loro, oggetti apparentemente separati. Vedremo, in seguito, come questa relazione occulta legata alla forma, al numero, al tempo e alla geometria verrà applicata alle relazioni astrologiche tra oggetti, esseri viventi e pianeti, alla creazione dei talismani e perfino ai rapporti umani.

L'ultimo livello d'indagine è, infine, legato all'aspetto più misterioso di tali relazioni: la mente e le intelligenze che esse, al contempo, celano e svelano. Nel pensiero magico, la casualità non esiste. Nulla accade per caso, non perché vi sia un fato prescritto o un determinismo legato all'ineluttabilità della catena delle cause materiali, ma perché ogni fenomeno è l'epifania di un'intelligenza divina che si rivela attraverso le molteplici energie del cosmo.

Tommaso Campanella sosteneva che tutte le cose possiedano un senso - da intendersi non in maniera metaforica, ma letterale: la materia è viva, è vibrante di energia e di sensazioni che la portano ora ad aggregarsi, ora a disgregarsi, secondo un movimento che non è mai caotico. "Sente il cielo e la terra e il mondo, e stan gli animali dentro a loro come i vermi dentro il ventre umano, che ignorano il senso dell'uomo perché sproporzionato alla loro conoscenza spicciola''.

La materia è permeata da un intelletto universale, senza il quale il cosmos (ordine in greco) sarebbe destinato a diventare caos. Un'idea antica, ben anteriore a campanella, che affonda le sue radici nel fuoco cosmico di Eraclito, nel Nous di Anassagora, che in Platone prende il nome di Anima Mundi, in Aristotele di Forma, negli Stoici di Logos. Per i Neoplatonici, come Giamblico, Proclo e Porfirio, tale intelligenza insita in ogni aspetto della realtà deriva dall'emanazione di un Dio-Uno inconoscibile e inconcepibile, i cui raggi danno vita a un cosmo a più dimensioni che, ad ogni livello, ne riflette, sebbene in maniera distorta, la divina perfezione. In questo universo gerarchico, simile a una infinita galleria di specchi, ogni livello è tanto più perfetto ed etereo quanto più si trova vicino alla lue originaria e, soprattutto, ogni piano nasconde frammenti dell'intelligenza originaria. Essi si manifestano tanto come anime e intelligenze legate alla materia o ai corpi, tanto quanto intelligenze incorporee mediatrici tra un piano e l'altro. In questo cosmo esteso e complesso come un labirinto, il mago (o il teurgo, secondo il termine antico) è colui in grado non solo di conoscere i due piani descritti in precedenza, quello fisico e matematico, ma anche i molteplici frammenti dell'intelletto divino legati al piano astrale e di evocare, invocare e dirigere tali forze cosmiche in base alla propria volontà. Il mago deve cioè conoscere la Teologia: la scienza del discorso divino, poiché la realtà, come insegnano i primi versetti della Genesi e, similmente, del Vangelo di Giovanni, non è altro che la creazione del verbo di un Dio.

Come sintetizza Cornelio Agrippa nell'introduzione del De occulta philosophia: "Coloro che vorranno dedicarsi allo studio della magia, dovranno conoscere a fondo la Fisica, che rivela le proprietà delle cose e le loro virtù occulte; dovranno esser dotti in Matematica, per scrutare gli aspetti e le immagini degli astri, da cui traggono origine le proprietà e le virtù delle cose più elevate; e infine dovranno intendere bene la Teologia che dà la conoscenza delle sostanze immateriali che governano tutte queste cose".

Qual è il culmine di tale processo conoscitivo? Non una conoscenza teorica, bensì una sapienza pratica trasforma la potenza in atto: la cerimonia magica. La vera sapienza magica si possiede, infatti, solo quando praticata. Solo a quel punto il mago non si limita a conoscere la sapienza, ma diviene egli stesso Sapienza. In ciò, tutti gli autori classici concordano: "Mago anzitutto significa sapiente" dice Bruno; "Magi s'appellarono gli antichi savi d'Oriente" sostiene Campanella; scrive, infine, Della Porta: "Il nome [mago deriva] dai Magusiani, perché presso tali popoli si chiamavano magi coloro che i Latini onorano con l'appello di Savi. I Greci li hanno chiamati filosofi, gli Indiano gimnosofisti, gli Egiziani Sacerdoti, i Babilonesi, gli Assiri e i Caldei profeti e i Galli druidi e Bardi. Parecchi uomini, grazie a questa scienza [...] hanno fiammeggiato come meteore".

Data di Pubblicazione: 22 aprile 2021

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