Scopri quanto possa essere devastante una pandemia influenzale leggendo l'anteprima del libro di Margherita Enrico.
L'influenza, un nemico sottovalutato
Immaginiamo il mondo come una gigantesca capsula di Petri (il recipiente piatto, solitamente di forma cilindrica, usato soprattutto per le ricerche nel campo della biologia, perché permette le colture cellulari e di osservarle a occhio nudo) in cui si stanno producendo potenziali agenti patogeni che possono rovinare salute, produttività e benessere. Con l’aumento dei viaggi, sia le infezioni batteriche sia quelle virali si sono diffuse ampiamente e in breve tempo.
Il mondo è cambiato: la migrazione umana è più semplice che mai. Pensiamo per esempio al Chunyun, un periodo di festa cinese: il più grande evento di migrazione annuale del mondo, che coinvolge 2,99 miliardi di spostamenti (stima 2020). Di questi, 2,43 miliardi vengono effettuati in automobile, 440 milioni in treno, 79 milioni in aereo e 45 milioni via mare.
I processi produttivi del sistema alimentare favoriscono l’avvicinamento di agenti infettivi, animali e umani, creando le condizioni per infezioni che attraversano la barriera delle specie (le cosiddette malattie zoonotiche). Inoltre, la catena logistica integrata a livello globale dei beni di consumo aggiunge un rapido vettore di trasmissione di germi da un Paese o continente a un altro. Le epidemie sono sempre più comuni e la probabilità di contrarre una malattia infettiva potenzialmente pericolosa per la vita è alta anche se non si visitano Paesi a rischio e anche se ci si ricorda di lavarsi sempre le mani prima di mangiare.
Fortunatamente, i tempi moderni offrono risposte moderne: gli agenti della malattia vengono riconosciuti a velocità record, le epidemie vengono identificate molto più rapidamente e contenute meglio; inoltre le cure vengono sviluppate in tempi relativamente brevi. La tecnologia, le ricerche mediche e l’assistenza sanitaria hanno permesso di diminuire significativamente la mortalità, la ricerca scientifica ha accelerato la nostra comprensione collettiva e il miglioramento delle pratiche igieniche ha ridotto la trasmissione di malattie a beneficio della nostra specie.
Ogni giorno il nostro organismo può entrare in contatto con potenziali ceppi batterici resistenti agli antibiotici: possiamo contrarre nuove malattie che attraversano la barriera delle specie, nascono focolai nelle fattorie e nei mercati e persino patogeni bioingegnerizzati potrebbero fuggire dai laboratori. Oggi stiamo vivendo una pandemia altamente contagiosa, consapevoli che potrebbe non essere l’unica e che si sta rivelando resistente ai trattamenti antivirali utilizzati finora. Ecco perché prepararsi a migliorare le nostre difese immunitarie non è solo una scelta saggia, ma altamente raccomandata.
Il virus, un nemico silente
Immaginiamo la fine del mondo. Potrebbe arrivare dall’alto a causa di un meteorite che impatta sulla Terra, oppure dal basso per un’esplosione del nucleo. O potrebbe essere causata dall’uomo, per esempio con una bomba atomica. Ma tra le più probabili cause di uno scenario apocalittico c’è qualcosa di invisibile, che potrebbe uccidere milioni e milioni di persone: una pandemia. Una malattia che sfugge al nostro controllo e si diffonde decimando l’umanità, cambiando la civiltà. Lo sapevamo anche prima del Covid-19, perché era già accaduto.
Nel XIV secolo una pandemia uccise metà della popolazione mondiale. Dalla metà del 1300 il batterio della peste nera fu così devastante che provocò una vera e propria crisi demografica: più di 30 milioni le vittime, circa un terzo degli abitanti d’Europa. La peste, inoltre, non scomparve, ma tornò a colpire ciclicamente ogni 10-15 anni, ora in un luogo ora in un altro.
Un secolo fa un potente virus influenzale infettò centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Riempì gli ospedali e i mortuari. I reduci dalla Prima guerra mondiale si trovarono di nuovo in trincea contro un nemico invisibile e letale: l’influenza spagnola. Considerata la prima pandemia moderna, fu provocata, così si pensa, dal virus H1N1 che, tra il 1918 e il 1919, uccise tra i 50 e i 100 milioni di persone.
Quegli accadimenti sono un promemoria di quanto possa essere devastante una pandemia influenzale. E purtroppo una carneficina di tale portata non appartiene solo alla storia, perché oggi stiamo affrontando la straordinaria emergenza legata al Coronavirus. Non si tratta di un evento imprevisto: quando gli scienziati parlavano di una futura pandemia non si chiedevano se potesse scoppiare, ma quando. Dopo il Coronavirus sappiamo che, prima o poi, avremo a che fare con qualcosa di nuovo e devastante, ma non sappiamo esattamente di cosa si tratterà.
Basta una sola persona
Basta una persona per scatenare un’epidemia: questo è l’aspetto preoccupante. Gli esseri umani sono incubatori capaci di ospitare svariate malattie. La nuova pandemia di Covid-19, che mentre scrivo sta colpendo il mondo intero, è molto meno letale dell’influenza spagnola, ma causa comunque una polmonite che può portare a gravi problemi respiratori e costare la vita a migliaia di persone. Ed è molto più contagiosa, il che mette sotto pressione i sistemi sanitari.
Da piccola ricordo di avere visto il film Virus letale, che narra di un nuovo virus che appare in California e si diffonde rapidamente. Osservando incredula gli operatori sanitari che indossavano quelle tute ho pensato: «E solo un film». Oggi sto rivivendo molte scene che pensavo fossero fantascienza.
Alcuni focolai di malattie infettive sono più temibili e più mortali di una guerra convenzionale: la vita di tutti i giorni ci porta a dimenticarlo, ma la gente dovrebbe prestare maggiore attenzione. Uno dei compiti di questo volume è ricordarlo anche per il futuro. Il rischio maggiore che corriamo ogni volta che si presenta una pandemia è essere travolti dagli eventi senza saperli gestire. Siamo testimoni di come il Coronavirus SARS-CoV-2 possa raggiungere le vie aeree più profonde fino a danneggiare i polmoni e interferire con la corretta ossigenazione del sangue, mentre il sistema immunitario è già da giorni impegnato a contrastare l’agente patogeno. Nessun angolo di mondo può sperare di non essere toccato dal Covid-19, come ci ricordano continuamente gli scienziati dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità: anche in questo caso non è questione di se, ma di quando.
Pandemie: dalla spagnola...
Esistono variazioni quasi infinite del virus influenzale. Un’influenza pandemica generalmente ha origine quando un nuovo ceppo di virus viene trasmesso all’uomo da un animale: un virus mai rilevato prima. Di fronte a questo virus sconosciuto, l’uomo non possiede un’immunità naturale. I nostri anticorpi non hanno i mezzi per combattere l’infezione, perciò il virus ha il potenziale per essere mortale. Ecco perché ricercatori in tutto il mondo sono impegnati nello sviluppo di un vaccino.
Il virus muta così in fretta che in un anno la nostra risposta immunitaria diventa obsoleta. Sono state create tecnologie incredibili per i vaccini, che per l’aspettativa di vita rappresentano forse il progresso maggiore dopo il fuoco, tuttavia non funzionano con virus che mutano troppo rapidamente. E quello che stiamo vivendo in questo periodo in tutto il mondo, in seguito al contagio provocato dal Coronavirus, ne è la dimostrazione. I casi aumentano ogni giorno come accadde cent’anni fa con il virus H1N1. L’influenza spagnola progredì molto velocemente: in pochissimi giorni infettò i polmoni e mise in pericolo la vita di milioni di persone.
Il rischio maggiore di ogni pandemia è che ci si adagi sull’idea che sia una semplice influenza stagionale. Invece potrebbe emergere una nuova forma virale in grado di rappresentare una minaccia esistenziale proprio per la nostra specie. Se pensiamo al 1918, l’influenza spagnola ebbe un impatto potentissimo sull’umanità. Comparve alla fine della Prima guerra mondiale, e i soldati tornati a casa contribuirono alla diffusione del virus in tutto il mondo. Finì per diventare un evento globale, benché gli spostamenti della popolazione fossero una frazione di quelli attuali. Il trasporto aereo era agli esordi e l’influenza spagnola impiegò più tempo a diffondersi per il Pianeta. In alcuni luoghi arrivò dopo mesi viaggiando in traghetto o in ferrovia, e le realtà isolate furono effettivamente risparmiate. Ma morirono più persone nei 18 mesi di quell’influenza di quante ne siano morte durante la Prima e la Seconda guerra mondiale.
...al Coronavirus
Nel 1918 il pianeta Terra era abitato da 1 miliardo e 800 milioni di persone, oggi siamo 7 miliardi e 500 milioni. Se oggi si diffondesse un virus simile, e le nostre conoscenze fossero quelle di inizio Novecento, non morirebbero 50-100 milioni di individui, ma centinaia di milioni. Per questo è in corso uno sforzo straordinario per contenere il Coronavirus. Da tempo sapevamo che un’influenza letale (quasi) come la spagnola del 1918 sarebbe ricomparsa; non sapevamo quando, ma intuivamo che si potesse ripresentare presto il pericolo di qualcosa di simile.
Quando però la pandemia è arrivata davvero, l’abbiamo presa con leggerezza, non ci abbiamo quasi creduto. E, contrariamente a quanto si pensava, ossia che solo gli anziani fossero a rischio di contrarre forme serie della malattia, abbiamo appreso che anche i giovani possono sviluppare sintomi gravi da Covid-19. L’efficienza del sistema immunitario diminuisce con l’età, quindi nelle persone anziane aumenta il fattore di rischio. Tuttavia negli anni dell’influenza spagnola l’età avanzata risultò protettiva: quel ceppo di H1N1 colpiva in maniera talmente violenta da scatenare nei sistemi immunitari più giovani e reattivi una tempesta di citochine (molecole proteiche che inducono le cellule a resistere alle infezioni). Quest’azione incontrollata riempiva di fluidi i polmoni ostruendo le vie respiratorie. Anziani con un sistema immunitario più debole ebbero reazioni meno violente e furono meno colpiti. Inoltre la fascia più vecchia della popolazione era sopravvissuta a un ceppo di influenza simile, che aveva iniziato a diffondersi nel 1830, e probabilmente era protetta da una forma parziale di immunità.
Lo studio delle pandemie ha portato numerose innovazioni. Sono migliorate la ricerca e la formazione del personale medico. Abbiamo sistemi di sorveglianza più avanzati e una maggior comunicazione. Abbiamo organizzazioni come l’OMS o i centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC). Abbiamo anche diagnosi precise, nuove medicine, terapie e vaccini. Eppure il rischio che si ripetesse una pandemia è sempre stato alto, e la diffusione del Coronavirus ne è la conferma.
Le cifre parlano da sé. Secondo le stime, ogni anno compaiono circa 5 nuove malattie nel mondo, e il dato è in aumento. E inevitabile che alcune diventino pandemie. La natura è il più feroce bioterrorista. La posta in gioco è altissima: mi auguro ovviamente che non sia il caso del Coronavirus, ma i modelli degli epidemiologi ipotizzano che una pandemia, oggi, potrebbe uccidere 33 milioni di persone in meno di un anno. In fatto di vittime potrebbe competere con le guerre del passato. L’economia collasserebbe. Il costo per l’umanità sarebbe incredibile e nessun Paese resterebbe immune ai problemi che si creerebbero.
Nel frattempo, si stima che in natura ci sia un milione e mezzo di virus di cui non conosciamo nulla. Uno di questi potrebbe colpire di nuovo il genere umano in qualsiasi momento. Insomma, le pandemie influenzali sono estremamente pericolose. Un virus può avere il potenziale distruttivo di una bomba e gli organismi patogeni non conoscono confini. Per di più, un malato può guarire, ma nel frattempo diffondere la malattia, e l’origine delle pandemie è invisibile a occhio nudo.
I microbi furono probabilmente i primi abitanti della Terra. Molti non si riproducono da soli, per questo si appropriano di altre cellule. E oggi ne siamo circondati. Vivono su di noi e dentro di noi. Molti sono pacifici, altri danneggiano o uccidono le nostre cellule. Febbre, tosse, starnuti, diarrea sono la prova di una battaglia in corso. Ma alcuni virus sono così forti da poter sopraffare il nostro sistema immunitario e minacciare le nostre vite.
Data di Pubblicazione: 27 maggio 2020