SELF-HELP E PSICOLOGIA

L'ottimismo: un amico che ci vuole bene

L'ottimismo: un amico che ci vuole bene

Scopri come la capacità di essere ottimisti sia uno strumento utile per acquisire fiducia in se stessi leggendo l'anteprima del libro di Franck Martin.

L'ottimismo: un amico che ci vuole bene

Alcune definizioni

Prendiamo in considerazione innanzitutto che cosa dicono i dizionari a proposito dell’ottimismo. In generale, e ne vedremo un esempio, il loro approccio la dice lunga. Essi sono spesso il riflesso di uno stato di coscienza collettiva, soprattutto quando definiscono concetti soggettivi.

Un po’ di etimologia e di storia:

  1. 1737: «Dottrina filosofica che sostiene che ciò che esiste è il meglio possibile», Mémoires de Trévoux (a proposito dei Saggi di teodicea di Leibniz);
  2. 1788: «Inclinazione a prendere le cose dal verso giusto», Collin d’Harleville, L’ottimista, II, 7, nel dizionario del francese Le Littré;
  3. «Derivato dell’aggettivo latino “optimus”, il migliore. Superlativo di “bonus”, buono, seguito dal suffisso -ismo».

Secondo il dizionario:

  • «Dottrina filosofica secondo la quale il mondo è buono e il bene vi trova più spazio del male»;
  • «Disposizione d’animo che spinge a prendere le cose dal lato buono: temperamento incline all’ottimismo»;
  • «Fiducia nella conclusione favorevole di una situazione: aspettare risultati con ottimismo».

I lettori che prendono le parole alla lettera avranno pane per i loro denti. Ritroviamo qui le opposizioni di tesi classiche ma molto interessanti. Quelle, in ordine sparso, di Voltaire, Platone e Socrate, Leibniz, Descartes, Locke ecc. Lungi da me l’idea di atteggiarmi a professore di filosofia, cosa che non sono, come vi ho già detto. Non mi azzarderei di ripercorrere le loro tesi. Preferisco prendermi la responsabilità di sviluppare le mie.

Svisceriamo le definizioni del dizionario. Si tratterebbe dunque di una «dottrina». «Secondo la quale il mondo è buono». Bene, andiamo avanti. E il bene vi troverebbe più spazio del male. Che dire, sorprendente! In ogni caso, non molto attendibile per coloro che hanno i piedi ben saldi a terra e che vivono ogni giorno al ritmo dei media e ciascuno con le sue preoccupazioni, sempre attuali, per il denaro, la salute, la coppia, l’educazione dei figli, giusto per fare qualche esempio. Vero è, se si tiene conto solo di questa definizione, che tutto questo non spinge certo a essere ottimisti. Ma è tutto sommato credibile. Solo non è facile, con un’idea del genere, ispirare futuri possibili.

La seconda definizione è un po’ più accettabile. Anche in questo caso occorrerà spiegarla. Una disposizione che spinge a prendere la vita dal lato positivo. Più che accettabile, si avvicina anzi a quello che vorrei condividere con voi. Si potrebbe “disporre” di un animo simile, che ci permetterebbe di “prendere le cose” da molteplici “lati”, per lo meno uno buono e uno meno buono, cercando di concentrarsi su quello buono.

Il dizionario è solo un dizionario e non spiega come procedere. Gli scettici diranno: più facile a dirsi che a farsi.

«Fiducia nella conclusione favorevole di una situazione». Ed è proprio qui che i cinici iperrealisti si sforzeranno di dimostrare, con molteplici esempi alla mano, che per quanto ci si sforzi di avere fiducia «nella conclusione», la vita ci mette spesso di fronte a conclusioni che sembrano, e sottolineo sembrano, sfavorevoli. Porteranno a esempio la vicenda di quell’uomo che compra un biglietto della lotteria e conta sulla conclusione positiva dell’estrazione per pagare i debiti. O ancora, di quell’altro che conta sulla conclusione positiva del colloquio di lavoro, sicuro di averle provate tutte, preghiere incluse, per avere il posto.

Gli uni diranno che l’eventuale esito positivo è dovuto alla fortuna, gli altri asseriranno che tali personaggi mancano profondamente di realismo o che credono, e a torto, nei miracoli.

Come se gli ottimisti, coloro che pensano positivo, non facessero altro che attendere, rimettersi alla volontà del Divino, al grande Architetto, al fato o alla fortuna.

Si tratta di un’interpretazione sbagliata che non tiene conto di tutto ciò che di pratico, realistico, strategico, di tutta la volontà, l’attività, la presa di responsabilità e quindi l’atteggiamento che si nascondono dietro l’ottimismo, sostantivo tanto naif, secondo alcuni, quanto la gentilezza e la bontà in questo mondo violento e spietato.

Il mio ottimismo "per natura" e "per educazione"

Dal canto mio, io sono e continuo a essere ottimista. Non per necessità. Non credo che si diventi ottimisti per il bisogno di esserlo. Sono innanzitutto ottimista “per natura”, poi positivo “per educazione”. Prima inconsapevolmente e poi consapevolmente!

Per natura perché intorno a me ho sempre trovato storie belle. Nient’altro. Ho avuto questa fortuna. Sono stato immerso nella positività. Niente di che, ma queste storie mi hanno segnato e sono senz’altro esse che mi hanno reso ottimista nonostante i miei piccoli problemi di salute.

Sono nato due anni prima della scomparsa di mio nonno materno. Ancora oggi, a più di cinquant’anni dalla sua morte, tutti concordano nel ricordarlo come un buon padre, un meraviglioso marito, un Amico con la “a” maiuscola, un fratello.

Di certo non un uomo perfetto, se ne esistono, ma la nonna sembrava così felice con lui che ho finito per prenderlo come modello. Sin da piccolo sono stato travolto dalle storie che mia nonna mi raccontava e mi racconta ancora oggi, dall’alto dei suoi novantacinque anni. Un’ottimista anche lei, mia nonna, o almeno così la vedo io. Ha attraversato la vita come un’avventuriera. Ha vissuto l’esilio, lasciando Nizza a diciannove anni per “salire” a Parigi, attraversando la Francia, con mia madre in braccio. Senza avere il tempo di sposarsi, peraltro. Lo farà molto tempo dopo, in seguito alla nascita di mio zio, un giorno, così, prendendo mio nonno per il braccio e trascinandolo davanti al sindaco. Nulla è stato facile per lei, davvero nulla, ma è quella maniera di raccontare tutto questo, questa vita, che ho registrato come un film. Non ricordo fisicamente quel nonno, ma è come se mi avesse accompagnato per tutta la vita. Quell’uomo buono, disponibile, presente, innamorato della sua montagna a Saorge, chiamata non a caso Valle delle Meraviglie, nell’entroterra di Nizza. Amante della vita tanto da divorarla in fretta. Ho una grande quantità di foto e di video, perché mio nonno fissava tutti i momenti importanti su pellicola Super 8.

Accanto a tutto questo, l’altro nonno, Martin, un grand’uomo, quello dell’ombrello, piccolo uomo imponente e distinto. Altrettanto anticonformista ma in modo del tutto differente rispetto all’altro nonno. L’uno esteta, l’altro scapestrato. L’uno sportivo, mentre l’altro, sebbene uomo di bell’aspetto e di buona costituzione, non si faceva mancare le feste, a scapito della moglie. Entrambi con un coraggio da leoni, senz’altro da veri ottimisti, amanti delle risate e degli amici, dell’azione e del rischio.

Io, con la mia vita alla Marcel Pagnol, immagazzinavo tutte le imprese, tutte le belle avventure, al riparo della protezione costante di mia madre, di mio padre e di mia sorella. Io, piccolo ipovedente inconsapevole della fortuna di vivere in un ambiente tanto incredibile, che mi tirava su positivamente.

Questo per quanto riguarda l’ambiente in cui sono cresciuto. Non mi dilungo sulla mia infanzia a Troyes e sui primi anni di scuola. Anche in questo caso la realtà supera l’immaginazione, la scuola del paradiso, in rue du Paradis. C’ero già allora, così come ci sono oggi, in paradiso. Assieme a un gruppo di bambini figli di amici di famiglia e alla mia prima fidanzatina, Caroline, che senza saperlo ha segnato anche lei la mia vita sentimentale di uomo. Ma ci torneremo.

Di certo ognuno ha la sua storia, ma la mia è meglio! Scherzi a parte, la mia ha fatto di me quello che sono, ha forgiato la mia esistenza di uomo gentile, ottimista, ma ha anche, come per i miei due nonni, instillato in me il germe dell’anticonformismo, con il forte bisogno di tirarmi fuori da quello che pensano gli altri e di sentirmi profondamente libero.

Il lato ottimista "per educazione"

Sono un fervente sostenitore dello sviluppo personale. L’introspezione mi viene naturale. Così come altri hanno la poesia nel sangue, io possiedo il dubbio, il riflesso nello specchio socratico, l’interrogativo maieutico. Bambino e poi adolescente affabile, ma con un rapporto complesso con l’autorità e quindi con il padre, mia madre mi mise presto nelle mani di un bravo psicologo. A partire dai quattordici anni. Non qualche seduta, ma una vera e propria psicoterapia. Di quelle che aprono vie, per non dire vite, di cui non possiamo entrare a conoscenza in maniera spontanea. Un vero successo. Ne vedo i risultati ancora oggi. Mi rendo conto in particolare di quanta forza e di quanto potere trasformativo essa mi abbia portato, strumenti utili per acquisire fiducia in me stesso e sviluppare la capacità di trasmettere agli altri la stessa forza e la stessa fiducia.

È stato André Carel, grande psichiatra al quale vorrei qui rendere omaggio, ad aprirmi la strada della nello specchio socratico, positività consapevole. E stato lui, per primo, a farmi comprendere quello che viene chiamato re-framing, ristrutturazione, riformulazione, e di cui parleremo più avanti, l’arte di vedere le cose in maniera oggettiva in tutti i loro aspetti, per scegliere infine quelle che ci offrono la libertà e il piacere maggiori. Nonostante l’ambiente familiare protettivo, e i bei racconti della nonna e del nonno, a dire il vero non mi sentivo mai all’altezza. Mi sentivo diverso. Gentile, laddove molti dei miei compagni di scuola erano sgarbati. Mi sentivo addirittura un inetto, sul tatami, il sabato durante le gare di judo, sognando di vincere e diventare un campione di fronte a mio padre venuto a vedermi “tirare”. La giornata di solito finiva molto presto con un ìppon a favore del mio avversario, l’unico dal momento che spesso non passavo nemmeno un turno.

Durante una seduta, il dottor Carel mi fece questa semplicissima domanda: «Quando lei (mi dava del lei) prova questa sensazione di “sbagliare tutto”, che visione ha di se stesso?». La mia risposta fu: «Vedo un ragazzo che non si sente a suo agio nel mondo in cui vive, mondo spesso troppo beffardo, troppo aggressivo, troppo cattivo». In effetti mi sentivo spesso “da parte”. Avevo tuttavia l’impressione di essere “nel giusto”, ma non all’altezza delle aspettative di mio padre e di mio nonno.

Strano provare allo stesso tempo la sensazione di essere “nella verità, nella realtà” e “di lato”.

André Carel mi raccontò, nel modo unico in cui lo sapeva fare, una storia: Il brutto anatroccolo di Hans Christian Andersen. Conoscerete sicuramente questa bella storia. Una mamma anatra covava dolcemente le sue uova. Giunse il tanto atteso momento della schiusa e da ogni uovo nacque un meraviglioso piccolo anatroccolo. Tranne da uno, da cui uscì il brutto anatroccolo, che non somigliava a nessuno dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Rifiutato da tutti a causa del suo aspetto, fu costretto a lasciare il clan e ad andarsene in esilio così da non dover più subire beffe e violenza. Sul cammino, non veniva accettato da nessuno di quelli che incontrava. Pieno di tristezza, lungo la strada si trovò per caso ad ammirare la bellezza di alcuni strani uccelli che non conosceva: i cigni. Il nostro brutto anatroccolo si avvicinò e si rese conto, vedendo la propria immagine riflessa in uno stagno, di non essere più quel brutto anatroccolo deforme, dal collo lungo e dalle strane piume. Capì inoltre che in realtà non era mai stato un’anatra e che era diventato un cigno lui stesso. Finì dunque con il rispettarsi e con il farsi rispettare, vivendo una vita straordinaria da cigno. Be’, questo finale è mio. E il mio lato positivo che parla!

Questo ben noto racconto fu la spinta al mio primo reframing, l’elemento che mi fece toccare con mano la forza della mente, il potere dello spirito di aprire il campo del possibile. Pur essendo sempre più cosciente di quanto riguarda l’universo degli “anatroccoli”. Non è la realtà a limitarci, bensì l’idea della realtà che ci costruiamo. La ripeteremo fino allo sfinimento questa frase da Scuola di Palo Alto, alla Carl Rogers, per essere più precisi.

Data di Pubblicazione: 6 febbraio 2019

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