Attraversare periodi duri
Attraversare periodi duri
Qualunque organizzazione, inclusa la famiglia, attraversa sempre periodi duri e, per quanto difficili da risolvere possano essere i problemi in quel momento, sono il padre o il figlio maggiore che devono occuparsene. Chi non agisce per via dell’indecisione, perde il ruolo di leader; ed è per questo che lasciar passare il tempo, non farà altro che aumentare la sua preoccupazione.
Arturo Recabarren, era il figlio maggiore e seguiva gli affari del padre quando lui era troppo occupato. Era sempre vestito in modo elegante, sia quando stava in casa che quando andava avanti e indietro, preoccupato, nel suo grande studio legale, decorato con quadri di valore e oggetti costosi che adornavano il lussuoso ufficio. La scrivania di noce, piena di documenti, dimostrava la sua efficienza.
Marta, la sua segretaria, una signora con aria da suora, sempre attenta ai dettagli, osservando l’avvocato intuì dai suoi gesti che qualcosa lo preoccupava, sapeva che voleva vincere a ogni costo. Nei momenti come questi, il suo volto dimostrava tutta la durezza del suo essere, mentre i suoi occhi castani lanciavano frecciate d’odio verso le persone che gli si opponevano.
I suoi abiti alla moda
I suoi abiti alla moda, la voce ben modulata e il linguaggio da persona colta, gli permettevano di circondarsi di persone ricche e influenti con cui si mostrava sempre amabile e sorridente, ma Marta sapeva bene che il suo modo di fare cambiava quando si trattava dei suoi dipendenti. Dava ordini con sguardo duro e freddo, il volto serio e usando parole altisonanti, per imporsi agli impiegati delle varie ditte che appartenevano alla famiglia. Ogni giorno trascorreva molte ore nel suo ufficio moderno, circondato da un gruppo di collaboratori e impiegati che lavoravano con efficienza.
Arturo, le cui ricchezze provenivano sia dall’amministrazione dei beni di famiglia che dagli alti onorari percepiti come legale, era amabile e sorridente con i suoi clienti e non faceva trasparire il lato oscuro di sé: quello di un uomo duro, razzista, insensibile, egoista e privo di scrupoli quando si trattava di raggiungere i propri obiettivi. Con questo doppio atteggiamento era arrivato al potere, unendo le sue conoscenze legali alla sua astuzia e alla mancanza di morale nel risolvere i problemi dei suoi clienti, di qualsiasi natura fossero.
Ad Arturo non interessava altro che il potere e per questo era sempre circondato da chi lo deteneva o dai ricchi a cui offriva i suoi servizi, con buona soddisfazione da ambedue le parti. Come avvocato, nella sua ricerca del potere, usava tutti i mezzi consentiti e non dalla legge, per far ottenere maggiori benefici alle imprese per cui lavorava o per deviare ostacoli e raggiungere i suoi obiettivi; in molte occasioni aveva anche usato metodi poco ortodossi... Arturo conosceva persone capaci di utilizzare la violenza, il ricatto e persino l’omicidio per togliere di mezzo chiunque risultasse d’intralcio per i suoi affari o addirittura per sistemare le faccende private di altri dirigenti. Quest’uomo di legge non si faceva alcuno scrupolo nel doversi sporcare le mani con crimini se finalizzati alla continua ricerca del potere assoluto; rischiava sì, ma cercava sempre di non lasciare tracce perché “un delitto deve essere perfetto ed è da persone intelligenti fare in modo che sia così” diceva. Arturo divideva il suo tempo tra le questioni da risolvere del suo studio e il palazzo di giustizia, dove era ben conosciuto tra gli avvocati per il suo modo immorale di agire che gli era valso il soprannome di “gigolò della legge”.
Quel pomeriggio si trovava in ufficio, dove stava aspettando delle notizie circa la risoluzione di un problema di carattere famigliare: sua sorella minore voleva sposare un uomo contro la volontà della famiglia. Personalmente lui non avrebbe mai accettato che la ragazza, una Recabarren, famiglia tra le più potenti e facoltose dell’alta società, andasse a finire con un uomo povero e di classe sociale più bassa. Proprio per questo, per essere sempre al corrente dei piani della sorella e del suo fidanzato, da tempo aveva assunto un detective privato che lo teneva informato sui vari movimenti di Antón e di Karen. I due amanti erano controllati costantemente, spiati e seguiti dal detective e dai suoi scagnozzi.
I collaboratori dell’investigatore, che erano a sua disposizione ventiquattro ore al giorno, erano venuti a sapere che il fidanzato di Karen sarebbe rientrato ad Arequipa su un autobus della ditta Tauro in partenza da Lima. Così il detective aveva subito chiamato il suo cliente più influente.
«Antón viaggerà domani, giorno 27, alle otto di sera. Salirà sull’autobus 4774-RP e arriverà ad Arequipa il 28 alle dieci e trenta del mattino.»
Informato dei fatti, Arturo aveva subito chiamato una sua vecchia conoscenza del mondo criminale. La sua impazienza aumentava via via che passavano i minuti, perché il delinquente tardava ad arrivare e lui non ne poteva assoldare un altro, dato che questo era insostituibile per riservatezza e confidenza. Si era già servito di questo malvivente in passato, per portare a termine certi lavori sporchi: ricatti, regolamento di conti, pestaggi e persino omicidi. Quando aveva fatto ricorso a questa persona ne era sempre stato soddisfatto e per questo, quand’era arrivato in ufficio, non aveva tergiversato e gli aveva subito spiegato che cosa doveva fare questa volta.
Il delinquente era esperto in questo tipo di “affari”
Il delinquente era esperto in questo tipo di “affari”. Aveva imo sguardo freddo, calcolatore, era di poche parole, veloce nelTagire, con movimenti rapidi, riflessi pronti e aveva ascoltato attentamente l’immorale avvocato, con una sigaretta in bocca.
«Come pensi di risolvere la questione?» aveva chiesto Arturo prima di consegnargli l’anticipo in contanti.
«Andrò in auto fino a Chala con altri quattro uomini che fermeranno l’autobus in un luogo isolato; faremo finta che sia una rapina a mano armata, poi saliremo sul veicolo e, mentre fingiamo di rubare, sistemeremo la persona che le dà fastidio.»
«Spero che non mi deluderai, ti pago profumatamente per questo lavoro» lo avvertì l’avvocato.
«Ci dia il nome e le indicazioni sul passeggero e noi penseremo al resto» assicurò il malavitoso intascandosi l’anticipo.
«In questa busta c’è tutto: nome, posto in cui sarà seduto e, per evitare sbagli, ho messo anche una foto. Non è molto nitida, ma vi permetterà di individuarlo. Rompetegli la faccia, sfiguratelo, mandatelo all’ospedale o minacciatelo di modo che non ritorni mai più in questa città.»
«Non si preoccupi, dottore, tratteremo il piccioncino con molto amore» aggiunse sarcastico l’uomo prima di andarsene.
In quel momento, lontano da lì, nella capitale del Perù, sede del governo e centro finanziario del paese, un giovane uomo era preoccupato per il passo che stava per compiere ed era ben lontano dall’immaginare che qualcuno stesse decidendo del suo futuro. Il dottor Antón Sisa, inconsapevole della sorte che lo attendeva, si stava preparando per andare ad Apequipa, ma si sentiva un po’ inquieto perché, qualche ora prima della partenza, aveva ricevuto una telefonata urgente dalla scuola che aveva appena terminato. Doveva consegnare subito dei documenti e riempire altri moduli all’ESAEN per la borsa di studio che stava richiedendo all’università di Stanford, negli Stati Uniti.
Antón se ne stava occupando
Antón se ne stava occupando da qualche mese e gli avevano già confermato l’accettazione della richiesta. La borsa di studio avrebbe coperto le sue spese personali e quelle di sua moglie, nel caso in cui si fosse sposato; gli avevano solamente sollecitato dei documenti che attestassero il tutto. Una volta completate le procedure, gli avrebbero inviato i biglietti. In questo modo avrebbe potuto continuare a studiare Economia e Commercio per arrivare a ottenere il titolo di dottore in Economia. Antón era fiducioso: una volta lì non avrebbe più dovuto vedersi in segreto con la sua fidanzata, Karen, come avveniva spesso a Lima. Situazione ancora più insopportabile ad Arequipa, dove lei era molto conosciuta per via del suo alto status sociale.
Antón, per poter andare all’estero con Karen, doveva per prima cosa sposarsi con lei. Entrambi avevano preparato, con debito anticipo, tutti i documenti necessari e li avevano presentati in municipio. La data del matrimonio era stata fissata. Dopo questo viaggio, avrebbero celebrato il matrimonio civile a Polobaya, un distretto lontano da Arequipa, dove nessuno li conosceva. Avevano programmato una cerimonia privata: solo con il sindaco, i testimoni e loro, che si sposavano veramente per amore. Poi, secondo quello che immaginava Antón, avrebbero celebrato la cerimonia religiosa in pubblico in un altro momento, perché lui sognava di sposarla in bianco, anche se a lei non importava usare il classico vestito da sposa.
«L’importante è stare insieme. Il mio desiderio più grande è diventare tua moglie, vivere insieme, essere una famiglia, realizzare i nostri progetti e diventare una cosa sola, perché ti amo tanto, tanto» aveva detto Karen, parlando del loro matrimonio.
«Io spero solo di farti felice ed essere all’altezza di tutto l’amore che mi offri» aveva risposto lui.
Quella fu l’ultima volta che si videro ad Arequipa.
Durante i giorni in cui rimase a Lima cercò di sbrigare le ultime formalità il più in fretta possibile e ora, il suo ultimo giorno da scapolo, quando era ormai pronto per partire, sentì suonare il telefono. Antón prese immediatamente il ricevitore, pensando che fosse la sua fidanzata, invece era la voce della segretaria dell’ESAEN: «Dottor Sisa, sono arrivati due nuovi documenti che deve compilare urgentemente per inoltrare la sua richiesta. Potrebbe venire al più presto per completare la pratica, per favore?».
L’improvvisa telefonata che aveva ricevuto modificava la sua tabella di marcia: doveva partire al più presto, ma prima doveva riempire questi moduli richiesti dalla scuola. Fortunatamente aveva ancora qualche ora prima della partenza dell’autobus che l’avrebbe condotto verso sud. Il giorno dopo si sarebbe dovuto vedere con la fidanzata alla stazione degli autobus e poi sarebbero dovuti arrivare puntuali in Comune per la cerimonia. Mentre pensava queste cose, Antón compilava velocemente ogni pagina, ma quando le presentò, la segretaria gli ricordò che doveva ancora ultimare altre formalità presso la Segreteria Generale della scuola e lui sapeva che questo gli avrebbe fatto perdere altri minuti preziosi.
Quando finalmente ebbe finito
Quando finalmente ebbe finito, respirò sollevato e corse subito in strada alla ricerca di un taxi. Salì sul veicolo e arrivò in fretta a casa. Da una veloce occhiata all’orologio si accorse che avrebbe avuto soltanto il tempo necessario per prendere ima borsa da viaggio. Poi prese dei soldi, scelse le cose essenziali, chiuse la porta e uscì. Era molto preoccupato e nervoso per via del ritardo, i minuti scorrevano veloci e non vedeva arrivare il taxi che aveva chiamato. Irrigidito dalla tensione, in quel momento era lo specchio della sua insicurezza,* disperato per il timore di perdere l’autobus che lo avrebbe condotto ad Arequipa. Non appena arrivò, salì subito sul taxi, diede le indicazioni all’autista e gli chiese di fare il più in fretta possibile. L’uomo, cogliendo la sua agitazione, cercò di muoversi velocemente verso il Terminale degli autobus, ma purtroppo il traffico era congestionato e le macchine procedevano con difficoltà. Quando arrivarono alla stazione, l’autobus era ormai partito. Antón lo seguì in auto sperando di raggiungerlo, ma quando vide che anche il traffico in direzione sud era paralizzato, capì che non aveva senso continuare a seguirlo con il taxi e decise di scendere alla stazione di Atocongo. Sperava di riuscire a prendere da lì un altro pullman che lo conducesse ad Arequipa. Antón era arrabbiato con se stesso: per colpa del suo ritardo, aveva perso l’autobus per pochi minuti.
Era depresso, furioso, si sentiva una persona ordinaria, soprattutto ripensando al fatto che la sua fidanzata gli aveva consigliato di viaggiare in aereo, come ci si aspetta da un laureato del suo livello. Ormai guadagnava abbastanza da potersi permettere quel tipo di lusso, ma non voleva spendere e anzi, quand’era possibile, preferiva risparmiare. L’energia del denaro può aiutare a guadagnare più tempo, e questo lui, a livello teorico, lo sapeva bene, ma non lo metteva in pratica perché erano ancora nitide le impronte della vita povera che aveva dovuto condurre per anni: quel vecchio complesso d’inferiorità contro cui stava combattendo e la sensazione di emarginazione dalla società, a causa del colore della sua pelle non lo abbandonavano mai. Ricordò quando, da bambino, rimaneva con il naso attaccato alle vetrine, con l’acquolina in bocca, desiderando di poter gustare le prelibatezze che gli altri stavano mangiando.
Momenti di sconfitta
In questi momenti di sconfitta, riaffioravano tutti i suoi complessi, come dei nemici nascosti che ogni tanto continuavano ad apparire. Il fatto di essere ormai un riconosciuto professionista, non aveva modificato la sua interiorità. Le vecchie ferite di quei diciotto anni di miseria continuavano a essere lì, pronte a boicottarlo ogni volta che qualche circostanza avversa, come quella che ora stava vivendo, creava intorno a lui un’atmosfera di insuccesso. A quel punto, tutto ciò che era riuscito a diventare, si trasformava in una semplice facciata.
Antón, rattristato e sentendosi insignificante, si chiese se si sarebbe dovuto portar dietro per tutta la vita le cicatrici che gli ricordavano le sue umili origini. Seduto nella stazione degli autobus, sentiva migliaia di emozioni farsi strada in lui e soffriva al pensiero di deludere Karen.
Avevano deciso di trovarsi alla stazione di Arequipa il giorno dopo alle 10.30 ma ora che aveva perso il pullman non sarebbe riuscito ad arrivare all’appuntamento. Purtroppo non c’era modo di avvisarla del cambio d’orario: non poteva chiamarla perché il telefono di Karen era sotto controllo, qualcuno ascoltava le loro conversazioni.
Mentre era immerso in queste riflessioni, lo informarono che l’autobus che aveva perso era l’ultimo diretto ad Arequipa. Tutti gli altri andavano verso Tacna e non c’era modo di raggiungere la città. Dopo aver ringraziato, Antón si accorse, amareggiato, che avrebbe dovuto posticipare il viaggio di un giorno. Fermò un taxi, parlò con l’autista e poi, esausto, si lasciò cadere sul sedile posteriore.
“Non vedendomi arrivare, capirà che ho perso l’autobus, mi telefonerà e le spiegherò cos e successo” si disse per consolarsi.
Quando arrivò al suo appartamento, mangiò a malapena qualcosa prima di sdraiarsi sul letto. Non riusciva ad addormentarsi, ma era stanco. Per cercare di conciliare il sonno, prese alcuni bollettini d’informazione finanziaria pubblicati sul «The Economist» e mentre leggeva, crollò. Si svegliò dopo diverse, ore, per via di alcuni sogni violenti. Si alzò a prendere un bicchiere d’acqua perché aveva la bocca asciutta, ma siccome fuori era ancora buio, si rimise sotto le lenzuola a dormire.
Questo testo è estratto dal libro "La Dea dell'Amore".
Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017