Impara a conoscere il tuo corpo e i giusti rimedi naturali per migliorare la tua salute e la tua sessualità, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Pabla Pérez San Martín.
La Donna e la Medicina
Un po' di storia
In molte culture, nella storia dell'universo, torna l’immagine del serpente come simbolo mitologico che rappresenta la creazione della vita e la natura ciclica delle cose: riflette il tempo e la continuità, i momenti che iniziano e finiscono, così come le cose che non spariscono mai ma che continuano a cambiare. Allo stesso modo, l’immagine del serpente è collegata alla sessualità, all’erotismo, così come all’utero.
In pratica, rappresenta la generazione della vita in relazione agli aspetti “femminili” dell’universo. L'archeologa lituana Marija Gimbutas ha rinvenuto migliaia di resti appartenenti al periodo paleolitico. Sono diversi pezzi in ceramica, dove i motivi dipinti risaltano il valore del femminino. Le figure animali, come i serpenti e le rane, sono rappresentate in diverse culture come uteri.
Gimbutas, nei suoi tanti libri e basandosi sulle sue scoperte, ha denominato questa tipologia di arte espressiva come “adorazione della dea”, che in Sud America viene interpretata come culto della Madre Terra. In quelle società così sagge ma paradossalmente definite “preistoriche”, al contrario di quello che ci ha raccontato la storia nella versione del “vecchio mondo”, non esistevano le guerre e c’era equilibrio tra uomini e donne.
I risultati delle enormi ricerche di Gimbutas, che l'hanno portata a integrare l'archeologia con un nuovo approccio che lei stessa ha definito archeomitologia, le sono costati il rifiuto da parte di alcuni colleghi. Da quel momento, la storia ha sempre avuto una parte occulta, quella parte che in maniera naturale sappiamo vivere dentro di noi, perché il patriarcato è stato da sempre il paradigma imperante.
Grandi miti dell’era patriarcale hanno messo il serpente in relazione con il male. Nella mitologia greca, per esempio, questo animale rappresenta il nemico. La nascita delle principali città della Grecia patriarcale ha quasi sempre un mito fondante che comprende la sconfitta di qualche mostruoso serpente da parte dell'eroe: Cadmo, per la fondazione di Tebe; Perseo, per Micene, eccetera.
Ma ancora più predominante per definire il capovolgimento del simbolo del serpente da parte della storia patriarcale è il mito del “peccato originale”, nel quale lo stesso serpente rappresenta la malvagità, l'oscurità e il caos. A partire da questo mito, il serpente sarà sempre visto allo stesso modo: verrà “demonizzato” e rappresenterà la tentazione della donna, di Eva — la prima donna, secondo la tradizione giudaico-cristiana — che disobbedisce a Dio ed esorta Adamo a mordere la mela proibita.
“Metterò inimicizia fra te e la donna”, disse Dio, condannando la possibilità di un vincolo tra la donna e il serpente e, come scrive Rodriganez, minacciando la donna: “... ti toglierò la tua sessualità: renderò rigido il tuo utero, diventerai ‘isterica’, partorirai con dolore e l’uomo ti dominerà. Questo sarà il destino della donna.”
Tutto questo è narrato nella Genesi in diversi modi; in seguito, le stesse idee si sono diffuse nel mondo occidentale e hanno in gran parte determinato la situazione sociale di sottomissione della donna in questa parte di mondo. Con la morte del serpente, giustiziato con la spada da un angelo armato al servizio di Dio, si rivendica la distruzione della libertà della donna.
Come scrive Rodrigafiez in molti dei suoi libri, apparirà successivamente l’immagine della Vergine Maria che schiaccia la testa del serpente: il serpente diventerà così schiavo sottomesso di Dio e con esso tutti i “mali femminili” fremeranno nell’utero “errante” della donna.
I nostri corpi
Nel corso della storia, i corpi delle donne sono stati soggetti a costanti abusi e sperimentazioni. La nostra sessualità è stata considerata un territorio da controllare, analizzare e sottomettere. Come se una parte di noi fosse stata cancellata. La storia non solo ci ha negato dal punto di vista sociale, ma ci ha castrato anche da quello sessuale, a partire dalla religione e dal grande mito della mela, “frutto della conoscenza” alla quale noi non potevamo accedere.
Un universo di colpe sono state attribuite a questo “essere errante”, a questo “maschio mutilato”, come ci ha definito Aristotele, a questo “sesso che non esiste”, come ha affermato Freud. Così ci hanno definito e disprezzato: misteriose, secondo la scienza; provocatrici, secondo la morale; pericolose, secondo la politica, e peccatrici, secondo la religione.
Dal punto di vista della cultura, siamo state la negazione e, al tempo stesso, la paura della società patriarcale e fallocentrica, che ci ha sempre viste come il nemico pronto a insorgere di fronte alla sua posizione di potere. La risposta a questo timore è stata un’egemonia tirannica, che non si è mai vissuta né si vive nelle società matriarcali, dove invece si mette in risalto l'autonomia sessuale della donna e l'educazione libera delle sue figlie e dei suoi figli, dove non esiste evidenza che il potere sia distribuito in modo diseguale o che le donne dominino su uomini e fanciulli.
Esistono molte informazioni sulle comunità familiari d’epoca precolombiana; i nostri popoli originari, tra cui i selk'nam e gli irochesi, hanno avuto organizzazioni matriarcali fino a un paio di secoli fa. Non c'è bisogno di risalire al paleolitico per incontrarne altre.
A tutt'oggi esiste in Oriente una comunità matriarcale: è la comunità dei Mosuo, in Cina, che conta più di quarantamila abitanti.
Storia della ginecologia: Scienza della donna
Il più antico testo di ginecologia è il "Kahun Gynaecological Papyrus", rinvenuto in Egitto e risalente a 1800 anni prima di Cristo. Contiene trentaquattro sezioni relative a tematiche di salute sessuale denominate “lamenti di ginecologia”. Nel testo non si suggeriscono trattamenti chirurgici, si raccomandano rimedi realizzati a partire da erbe e insetti.
Risale al IV e V secolo a.C. il "Corpus Hippocraticum", un insieme di trattati sulla salute che includevano anche il riferimento a “problemi” ginecologici. Questi testi non furono scritti da Ippocrate, ma da un gruppo di uomini che seguirono gli insegnamenti del medico greco.
Ad Atene, dove si esercitarono la prima politica “democratica” e la “misoginia" come esempi di vita e di condotta, le donne, i bambini e le bambine erano considerati cittadini di seconda classe. Le donne non avevano diritto alla vita sociale, non potevano studiare né praticare la medicina. La condanna per chi trasgrediva era la pena di morte.
C'è stata però una donna ribelle, conosciuta con il nome di Agnodice (V secolo a.C.), che combatté contro le ingiustizie che si compivano nei confronti della salute del sesso femminile. Contro tutte le avversità, Agnodice volle studiare medicina e fu per questo che si recò nella città egizia di Alessandria, per accedere al sapere dei più grandi maestri, Erofilo e Erasistrato.
Agnodice riuscì nel suo intento adottando un'identità maschile. Anni più tardi, tornò ad Atene, dove aiutò moltissime donne a partorire. Le donne se la raccomandavo tra loro, in segreto, fino a quando i suoi risultati non destarono l'invidia dei medici uomini, che l’accusarono di aver abusato di due pazienti.
Agnodice fu così costretta a spogliarsi davanti ai magistrati, mostrando la vulva e smentendo così le false accuse. Fu però denunciata per aver esercitato illegalmente la medicina. Con sorpresa della società ateniese, le donne vennero in suo aiuto, proclamando il loro desiderio di morire con lei e di non voler più avere rapporti con i propri mariti nel caso fosse stata giustiziata. Alla fine, Agnodice poté esercitare la medicina, anche se solo per le donne. E da allora, anche alle donne ateniesi fu concesso studiare.
Fin dall’inizio della storia, nessuna donna è stata lasciata sola nel momento del parto o in caso di problemi legati alla salute sessuale o riproduttiva. Le donne hanno sempre potuto contare su altre donne sagge, che grazie alla loro esperienza, sono sempre state presenti e hanno protetto le altre; al principio senza studi, e in un secondo momento indottrinate sotto l’egida della specializzazione medica definita “ostetricia”, che letteralmente significa “stare davanti”, una specializzazione che è stata per molti anni appannaggio degli uomini che in generale l’hanno condotta (e la conducono) lasciando una impronta patriarcale sui corpi e sui processi sessuali e riproduttivi.
Come sappiamo, la storia è stata scritta dagli uomini. Pertanto, non è mai stato messo in evidenza il ruolo ancestrale delle donne come guaritrici, “medichesse” e levatrici, figure che dall’inizio dei tempi hanno sempre accompagnato altre donne. Ci sono state ed esistono tuttora moltissime restrizioni per le donne che vogliono fare ricerca, anche scientifica.
Nella storia della ginecologia sono gli uomini a essersi arrogati la paternità di importanti progressi e scoperte, tra cui la sedia per il parto, o di strumenti medici, interventi chirurgici, farmaci, fino alla definizione di alcuni organi sessuali femminili. Le donne e le loro conquiste non vengono mai menzionate, dato che sono state spogliate — in diversi periodi storici — dei loro corpi e di quelli delle loro simili, e dato che unite, in qualità di guaritrici, sarebbero state capaci di temibili “stregonerie”, come insegna la storia medievale.
Per questo, parlare in maniera lineare della storia della ginecologia non mi provoca altro che fastidio. È una disciplina il cui cammino è stato più volte delimitato e che ha assunto un carattere sempre più oscuro, anche se le ostetriche hanno continuato a svolgere il proprio lavoro, in parallelo allo sviluppo della medicina.
In quello che viene erroneamente definito “terzo mondo” — territori impoveriti da una sistematica colonizzazione — esistono migliaia di comunità di persone che nascono esclusivamente per mano di levatrici, donne che salvano vite e mantengono vive le loro conoscenze per la tutela della salute della comunità.
Nessun lavoro supera il contributo che lo statunitense James Marion Sims darà, nel XIX secolo, alla medicina e alla chirurgia. Considerato il fondatore della ginecologia moderna i suoi studi costituiscono la base della ginecologia che oggi si applica alle donne ed è quella che ci interessa trattare, esaminare, e trasformare da quello che è il punto di vista delle donne, le “utenti finali” di questo sistema di salute.
Sims era medico condotto nei campi di cotone dell’Alabama. Un giorno del 1845, “annoiato dalla sua vita e dal tempo” decise di condurre degli esperimenti, in un vecchio ospedale dietro casa, sulle donne afroamericane che venivano sfruttate come schiave nei campi di raccolta.
I rivoluzionari risultati raggiunti durante questa esperienza lo portarono ad aprire una clinica per donne a New York, dove continuò a fare esperimenti sul corpo di donne vulnerabili: immigrate, povere, contadine.
Quando ancora si trovava in Alabama, per cinque anni, Sims sottopose molte donne ad aberranti sperimentazioni. Nessuna di loro si offrì di sua spontanea volontà e nessuna diede il proprio consenso alle operazioni chirurgiche alle quali fu sottoposta. In più occasioni Sims arrivò a operare — sempre senza anestesia — la stessa donna.
Il caso più eclatante è quello di Anarcha, che Sims sottopose a più di trenta operazioni senza anestesia, come lui stesso racconta nelle sue memorie. Sims iniziò queste operazioni per cercare una soluzione alla fistola vescico-vaginale (causata comunemente da abusi sessuali, parti difficili o dall’uso del forcipe), un problema che lascia una lesione nei tessuti molli della pelvi, generando principalmente incontinenza urinaria e fecale.
Per Betsey, Anarcha e Lucy, che insieme ad altre undici o dodici schiave rimasero per cinque anni nell'ospedale che Sims aveva costruito nel suo giardino, le prime operazioni furono particolarmente terrificanti, dato che non veniva usato il catetere per il drenaggio della vescica. Le suture e le spugne che venivano lasciate nei tessuti si infettavano rapidamente, si incrostavano ed era poi impossibile rimuoverle.
La prima a essere operata fu Lucy. Aveva 18 anni. L’operazione durò un'ora, durante la quale Lucy patì dolori insopportabili, appoggiata sulle mani e sulle ginocchia. Dodici medici osservarono l'operazione. Nelle sue memorie, Sims racconta: “Ho pensato che sarebbe morta. Le servirono tre mesi per riprendersi totalmente dall'operazione.” Anarcha era una delle sessantacinque schiave della piantagione di cotone Wescott.
Dopo settantadue ore di parto, iniziò a manifestare una fistola vescico-vaginale/retto-vaginale causata dal forcipe che lo stesso Sims aveva malamente utilizzato durante il parto.
È durante questo periodo che Sims creerà una serie di strumenti e ausili medici (si dice più di settanta), tra i quali lo “speculum di Sims”. Lo speculum è uno strumento usato per esaminare le cavità umane; in questo caso, per dilatare la vagina e osservare il collo dell'utero, al fine di indagare possibili alterazioni.
Anche se ha permesso alla medicina e alle donne di conoscere e accedere a parti interne che sarebbe stato molto difficile esaminare in altro modo, non dobbiamo dimenticare che è solo uno strumento — spesso usato in maniera invasiva — il cui uso, nella nostra visione, deve essere integrato da un approccio generale alla salute della donna.
Data di Pubblicazione: 17 dicembre 2021