Elogio alla Notte - Anteprima del libro di Claudio Marucchi
Notte fonda
La Notte è il volto del Nulla, il più leale e poetico dei suoi volti. Nelle sue tenebre noi non vediamo, è l’ignoto a presentarsi come tangibile. In quanto precedenza assoluta diviene simbolo della gravidanza di tutte le cose. È Notte fonda perché è Notte che fonda, nel senso che è il fondamento dell’esistenza. Notte come non-luogo e segno dell’ineliminabile vacuità in cui si risolvono tutti i nostri percorsi di vita.
La madre di tutte le notti è l’eterna Notte assoluta, grembo dell’infinito, sorella e sposa del Chaos, priva di relazioni, che era prima del cosmo, che sarà dopo la fine, e che permane sospesa e sottintesa durante l’intera esistenza manifesta. La Notte eccede sé stessa, è la sporgenza dell’anonimo Nulla nel cuore dell’esistenza, dove si traduce nella nostra ignoranza, e da lì innesca e alimenta la sete di sapere, di ricercare, di conoscere. Quindi al contempo causa tutte le domande e frustra tutte le risposte. Il riconoscimento del ruolo dell’ignoto è la sola possibilità di concretizzare l’onestà interiore, l’ammissione del suo peso specifico è il miglior decondizionamento praticabile. Nonostante tutta la presunzione della luce nell’illudere mediante la conoscenza, il non sapere è il miglior alleato della verità. Fuori dalle strutture consolatorie, dalle zone comode della certezza o della fede e dalle strutture della speranza (sempre vana), l’oscura trasparenza dell’ignoto è il marchio e il lascito che la Notte assoluta ha donato agli esistenti nel suo recedere di fronte all’inizio di tutte le cose.
A partire dalla nascita, dall’inizio dello spazio e el temPo ecco che il dualismo viene letteralmente alla luce, e le tenebre si spartiscono l’esistenza con la uce, inaugurando un movimento antitetico, quello tra giorno e notte, interamente da imputare alla nascita della luce, e che esiste solo dal suo punto di vista.
Impariamo quindi che la Notte assoluta esiste senza la luce, mentre la luce non può esistere senza la Notte. Comprendiamo per prima cosa che Notte e giorno (o luce) non costituiscono affatto un dualismo, non esistono sullo stesso piano; la Notte è madre di tutto, anche della luce; le tenebre precedono la luce, e ne rappresentano la matrice e lo sfondo. Sono due piani diversi. Sarà quindi sempre e solo la luce a creare l’antagonismo e a cercare il conflitto. La luce infatti esiste in virtù della Notte da cui deriva, e la sua presenza consiste nel muover guerra alla Notte. La luce incita a fugare il buio, e i suoi simboli sono sempre intrisi di antagonismo.
Questo concetto, noto nell’archetipologia generale, è mirabilmente spiegato da Gilbert Durand in Le strutture antropologiche dell’immaginario.
Semanticamente parlando, si può dire che non c’è luce senza tenebre mentre il contrario non è vero, dal momento che la notte ha un’esistenza simbolica autonoma. Il regime diurno dell’immagine si definisce dunque, in mamera generale, come il mgime dell’antìtesi. Questo manicheismo delle immagini diurne non è sfuggito a quanti si sono cimentati nello studio approfondito dei poeti della luce. [...] Secondo Rougemont si tratta di un dualismo di ispirazione catara che strutturerebbe tutta la letteratura occidentale, irrimediabilmente platonica.
maniera generale, come il regime dell’antitesi. Questo manicheismo delle immagini diurne non è sfuggito a quanti si sono cimentati nello studio approfondito dei poeti della luce. [...] Secondo Rougemont si tratta di un dualismo dì ispirazione catara che strutturerebbe tutta la letteratura occidentale, irrimediabilmente platonica.
Il cosmo, lo spazio-tempo, il mondo, la forma, la luce, il verbo, tutti i simboli della nascita sono elementi di discontinuità rispetto alle tenebre precedenti. Il susseguirsi dei giorni e delle notti come fossero due opposti in perenne alternanza è un effetto successivo al sorgere del primo istante. Due diversi tipi di notte emergono - o meglio calano - nel nostro discorso: la Notte precedente all’inizio, indifferenziata, senza spazialità né temporalità, coincidente con il Nulla; e la notte con la “n” minuscola percepibile ai sensi, facente parte dello spazio-tempo, che si alterna alla luce.
Una Notte maggiore e una notte minore, una madre duplice, come la doppia Nut degli egizi, enigmaticamente rappresentata in rarissime occasioni, come neU’immagine precedente.
Eppure il riverbero della Notte assoluta riecheggia allo stesso modo nel fondo di ogni esistente, nonostante la diversità che contraddistingue ogni forma. Quando Kant pone a fondamento di ogni fenomeno un noumeno che sarà sempre inconoscibile e sfuggirà a ogni tentativo di accertamento e definizione, non sta forse ammettendo l’impossibilità di attingere all’essenza di qualunque cosa? L’essenza è un nonsenso, si rivela sempre vuota come una cavità, un varco attraverso cui scorgere quelle tenebre — il volto del Nulla - che postuliamo come il “prima di tutte le cose”. La ricerca dell’essenza o della vera natura di qualcosa è la prova che quel Nulla irrisolvibile ci attrae verso il suo vuoto, ci attira nella trappola senza fondo della trascendenza, vero buco nero di ogni filosofia. La nostra incapacità di arrenderci è il motivo per cui Kant, come mille altri e come me in questo stesso libro, pur riconoscendo l’indefinibilità, il recedere in fuga di ciò che sta alla base della cosiddetta realtà, soggiaciamo alla tentazione di concepire, descrivere e porre addirittura a fondamento qualcosa di cui non si potrebbe nemmeno parlare. Questo fiume di parole lungo millenni, scritto in tutte le lingue del mondo, è un’analitica dell’umana ignoranza, la cifra non solo della nostra irrimediabile cecità, ma anche della sostanziale inutilità di certe speculazioni, che valgono al più come intrattenimento, qualora non ci sia qualcosa di più divertente da fare.
Che la Notte conservi una vera priorità e rappresenti la primordiale condizione di naturalezza è confermato anche dalla fisiologia del corpo umano. La ghiandola pineale o epifisi, protagonista di una curiosa serie di congetture e di un’enfasi forse ingiustificata nel corso dei secoli (basti pensare alle speculazioni di Cartesio che la identifica come sede dell’anima), dalla base del nostro cervello secerne - tra le altre - la melatonina. Tale ormone regola i cicli del sonno e della veglia, predisponendo l’individuo al sonno. La sua produzione avviene in assenza di luce, o meglio in presenza dell’oscurità, con il massimo picco tra le due e le quattro, nel cuore della notte. La luce invece inibisce la produzione di melatonina, interrompendo il naturale e immediato operare della ghiandola. La luce porta all interruzione della produzione di melatonina avviando quella della serotonina, che determina invece lo stato di veglia, il buon umore, l’attività. È interessante, stando alle considerazioni presentate fino ad ora, che la serotonina sia un prodotto della melatonina - come la luce è un prodotto delle tene re e che la presenza della luce interrompa la normale produzione di melatonina da parte della pineale.
Il sorgere del giorno
Si è giocato sul terreno astratto del rapporto tra continuità e interruzione, ma il farsi concreto della notte riguarda il nostro stesso apparire. La fluidità e la continuità dell’esistenza sono più agevolmente avvicinabili e trattabili a partire dall’interruzione, dalla luce, dai vortici che generano il delinearsi di una forma rispetto aH’illimitato sfondo. La luce apre le dimensioni, la sua natura è l’estensione, e con essa il movimento. Ecco lo spazio-tempo. Non a caso le distanze siderali si misurano in anni-luce.
La luce rende possibili le forme e i colori, mentre nelle tenebre si annullano le distanze, i confini, e ogni differenziazione. I limiti, i contorni, i confini sono figli della luce, così come ogni organizzazione.
La luce reca con sé le differenze. Venire alla luce implica dotarsi di forma, la condanna alla transitoneta e alla duplice istanza presente in ogni forma: conservazione e superamento. Da un lato, ciò che ha una forma farà di tutto per mantenersi il più possibile inalterato e opporsi all’opera del tempo, dall altro la prigionia data dai confini della forma animera un desiderio di trascendenza nei confronti della forma stessa, percepita come limitata e limitante. La doppia istanza che la luce trascina con se e già fonerà di un conflitto, che si riflette internamente alla psiche, con un forte istinto di conservazione e una più marginale e nascosta volontà di morte o di annichilimento.
Non e l’unica contesa messa in atto dalla lucesolo in sua presenza infatti nasce l’ombra, che enfatizza simbolicamente il dualismo tra chiarore e oscurità. L’ombra è un fenomeno solare, forma eterea e ingannevole, ente provvisorio, marchiata di ambiguità fin dalla nascita. Il suo destino è un transito. Nel mito della caverna di Platone, l’ombra e presa come immagine simbolica dell’illusorietà della realta, in una proporzione che suonerebbe così: le ombre stanno alle “cose reali” come la luce sta all’Iperuranio, cioè al trascendente. Il fatto paradossale è che la fonte della luce non può essere guardata, pena la cecità. Il Sole è come un occhio che non può essere contemplato, se il nostro sguardo incontra il suo la sua luminosità cancella la vista e provoca accecamento. Anche il fatto che la luce accechi può esser metafora delfesito finale di ogni ricerca verso il trascendente: nel cercare il divino, il risultato non sarà dissimile da un’immersione nelle tenebre assolute dell’ignoto; l’effetto conclusivo è la privazione non solo della luce, ma della possibilità stessa di vedere. Ironia dell’ignoto, indurre in tentazione con la luce per mostrarsi, sotto il velo, pura tenebra.
Eppure, se vista attraverso il velo e la forma, la luce incanta. Inducendo miraggi e fluttuazioni, bagliori e lampi multicolore, la luce intesse il suo ordito di pura bellezza, la poliedricità delle forme in movimento, la variegata complessità del molteplice, la trama del velo della vita, tutti simboli della transitorietà dell’esistenza. La meraviglia nei confronti dello splendore è uno dei sentimenti più sinceri. Ciò che brilla affascina in maniera spontanea, catturando l’attenzione dello sguardo. Le seduzioni della lucentezza, che mostrano una valenza intatta anche nel mondo animale, sono un richiamo per le parti profonde della nostra psiche, i primi lampeggiamenti alforigine della conquista della vista, man mano che le ombre e i chiaroscuri colti dallo sguardo del neonato si delineano progressivamente in forme e colori più netti. La vista dipende dalla luce e, affermandosi come sovrana tra i nostri sensi, favorisce l’assimilazione tra il vedere e il conoscere. In sanscrito la conoscenza è detta vidya, e la sapienza veda, termini connessi alla stessa radice che forma il latino video, quindi alla vista. L’ignoranza in sanscrito si chiama avidyà, con la “a” iniziale avente funzione privativa, vale a dire “cecità”.
Il conflitto inaugurato dal sorgere del giorno trova i suoi epigoni in Ahura Mazda e Ahriman, che nello zoroastrismo rappresentano luce e tenebre, espansione e contrazione, vita e morte, eternamente in lotta. Questo è l’effetto di un percorso che rimmaginario ha compiuto in millenni e di cui tratteggeremo gli snodi fondamentali.
Questo testo è estratto dal libro "Elogio alla Notte".
Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017