L’urlo del drago
L’urlo del drago
"Non venire a interporti fra il drago e la sua furia."
William Shakespeare (Re Lear, Atto I, Scena 1, v. 124)
Il risveglio della Strega
Le donne possiedono doti e talenti straordinari misconosciuti dalla nostra società e di cui spesso loro stesse non sospettano l’esistenza. Se ogni donna si ponesse all’ascolto del suo canto segreto, non solo con le orecchie ma anche con gli occhi (tutti e tre!), il ventre, il seno, il cuore, l’anima e lo spirito, scoprirebbe di ospitare in sé una forza antichissima e imperitura. Questa forza è ciò che io chiamo “strega”.
Essere una strega non significa avere la pelle verde, il naso adunco e indossare un lungo cappello a punta. È la paura degli uomini per l’universo femminile ad aver tramandato nel corso dei secoli questa immagine falsa e snaturata. Le origini del termine inglese witch [strega] sono ignote, benché sia prassi comune farlo derivare dalla radice anglosassone wicce (femminile) o wicca (maschile), che significa “saggio/a” o “veggente”, riferito a una persona capace di penetrare conoscenze segrete attraverso la magia. La radice sassone wych significa “piegare”, “curvare” o “modellare”, esattamente come la radice indoeuropea tuie. Infine, in tedesco significa “sapere” e wi-tan “conoscere”. Non conosciamo altri termini a cui sia riconducibile l’etimologia di witch.
Secondo l'Oxford English Dictionary, si tratta di una parola in uso esclusivamente fra le tribù celtiche dove starebbe a indicare, per l’appunto, i saggi e i veggenti. Quando gli storici, gli antropologi, i sociologi e gli studiosi di religioni parlano di stregoneria in riferimento alle altre culture magiche, come il voodoo o il satanismo, fanno un Us° improprio del termine. Per gli antichi Celti, il termine “strega”era un tìtolo onorifico, anteposto al nome proprio in segno di rispetto e cortesia e, in quanto tale, conferiva prestigio alla persona che lo riceveva. Nel suo uso sociale stava a indicare una “persona perbene”, “fedele alle tradizioni della sua terra”.
Come ho accennato nell’Introduzione, l’uso che faccio in questo libro del termine “strega” ha un valore principalmente archetipico e si riferisce al lato magico presente nella natura di ciascuna donna, indipendentemente dalla sua personalità. È una forza interiore che tutte noi custodiamo e che deve essere risvegliata e rivendicata, invece che negata, temuta, arsa sul rogo o lapidata. Le donne entrano in contatto con la strega ogni volta che sentono una voce intima e impetuosa che chiede loro di agire senza curarsi del parere comune. È un sapere sottile e profondo, è il sogno che ci sveglia nel cuore della notte e che il giorno dopo, come per magia, si realizza. Una donna che sa prestare ascolto alla voce della strega può fare affidamento sulla sua natura magica per risolvere i problemi, affrontare le sfide della vita, prevedere ed evitare i pericoli. I suoi poteri ci offrono infinite possibilità di coronare i nostri desideri. La strega è un intenso flusso di energia che, come fanno l’acqua e il sole con la Terra, ci consente di far fiorire i nostri sogni più preziosi.
I preconcetti che gravano oggi su questa parola, spogliata del suo significato originario e associata al timore per l’occulto e per la magia nera, vanno tutti a detrimento delle donne. Se non sappiamo accogliere l’eredità della strega, non potremo mai entrare in contatto con la nostra natura magica; rinunciare a questa componente della femminilità provoca in noi un senso di spossatezza, di squilibrio e una chiusura di fronte ai cambiamenti. Le nostre intuizioni e le nostre emozioni ci imbarazzano, ci appaiono ingenue e infondate. Laddove la situazione richiederebbe polso e presenza di spirito, ci sentiamo insicure e disorientate. Ci ammaliamo spesso, raramente ci sentiamo in piena forma. Invece di sostenere le nostre passioni e le nostre qualità, ci accontentiamo di svolgére ruoli passivi nelle nostre relazioni domestiche, professionali e sociali. Ci arrendiamo quando dovremmo combattere e restiamo in silenzio quando dovremmo parlare. Rinunciando alla strega, neghiamo ogni soddisfazione ai nostri desideri più profondi e ancestrali.
Dobbiamo ristabilire la nostra sacra alleanza con la strega e guardare con fiducia alla sua promessa spirituale se vogliamo sentirci nuovamente complete, provviste di uno scopo e di un’autentica identità femminile. Dobbiamo frequentare assiduamente la dimensione spirituale della nostra natura. Dobbiamo resdtuire alla parola “strega” il suo vero significato, con tutta la forza, la sovranità e la magia che esso porta con sé, se vogliamo ridare valore alla nostra femminilità.
Le donne, come gli archeologi che scavano in cerca di fossili e antichi tesori, devono diventare le esploratrici della loro emotività. Siamo indotte sin dall’infanzia a voltare le spalle alla nostra magia e, crescendo, impariamo ad affidarci esclusivamente al pensiero logico e razionale, che limita le nostre possibilità. Riscoprire la strega che è in noi significa recuperare il nostro passato magico e farci guidare dalla nostra natura intuitiva. La tradizione della strega ci fornisce un’ampissima gamma di istinti ai quali solitamente non prestiamo attenzione ma che, usati come avveniva in passato, possono rendere migliore la nostra vita e quella delle persone intorno a noi.
Riscoprire la strega interiore non significa abbracciare un credo religioso, ma intraprendere un viaggio dello spirito. Voi siete la Natura fatta corpo. In voi risiede lo spirito dell’Universo. La Luna che vi guida con i suoi cicli e la Terra che vi dà nutrimento sono le stesse dee che hanno cullato le donne che vi hanno preceduto nel corso dei secoli e di cui voi siete il frutto. La strega vi appartiene, è giunta fino a voi attraverso una lunga catena di successioni, a partire dalla Grande Madre. È arrivato il momento che le donne riconoscano l’unicità del loro potere.
Il recupero delia divinità femminile
La strega che vive in ciascuna di noi non si estingue mai, per il semplice motivo che non conosce inizio né fine. È un potere provvisto della resistenza e della perfezione del cerchio e il suo messaggio è inscritto nel codice genetico della femminilità. È il principio divino e il versante magico della nostra natura. Anche sepolta e dimenticata, per volontà nostra o per l’azione del tempo, la strega sopravvive in noi, perché il suo spirito è imperituro e portentoso come il movimento dei pianeti intorno al Sole.
Intraprendere un viaggio alla ricerca della nostra spiritualità significa mettersi sulle tracce di un Sacro Graal quanto mai elusivo e sfuggente. Non è impresa facile, tanto più in una società come la nostra, che ci impone di affrontare la realtà con spirito pratico. Può venire naturale chiedersi: “Come posso scoprire e coltivare la mia spiritualità se lavoro dodici ore al giorno per un superiore che non fa che umiliarmi? O se sono una madre single con due bambini piccoli, che fa i salti mortali per coniugare il lavoro con gli impegni familiari? Quando troverò il tempo e l’energia necessari per mettermi alla ricerca della mia forza trascendente?”.
Il potere della strega non è avulso dalla realtà; al contrario, è calato nella vita quotidiana e può essere impiegato per raggiungere qualsiasi obiettivo concreto, dal più materiale al più sublime. Le donne possono usare la loro magia per far sì che i figli arrivino puntuali a scuola, per trovare parcheggio o per trovare le monete da inserire nell’asciugatrice della lavanderia automatica. Possono usare la magia per creare opere d’arte, inventare nuove macchine, costruire palazzi o abbattere alberi. Possono usarla anche per ottenere un avanzamento di carriera, per rafforzare i loro legami affettivi, conoscere nuove persone o incontrare l’amore. Tutto ciò per dire che la spiritualità è presente in ogni aspetto della nostra vita quotidiana e non deve essere immaginata come una regione separata, inafferrabile ed evanescente. Benché possa avere manifestazioni solo sporadiche nella vita di una persona, la magia è sempre a nostra disposizione.
Nel mio caso, ad esempio, ogni volta che devo prendere una decisione, sia piccola che grande, vedo apparire di fronte a me un corvo o delle piume di corvo. Recentemente ho lasciato Salem, dove ho vissuto buona parte della mia vita adulta, per trasferirmi in una vicina città del Massachusetts, dove una splendida famiglia mi ha proposto di andare ad abitare nella sua bellissima villa in stile Tudor. Benché l’invito fosse allettante e io fossi tentata di accettarlo, non ero sicura che fosse la cosa giusta. Mi ero innamorata al primo sguardo di quella casa, con le sue torrette, la sua atmosfera da castello antico, il pavimento dell’ingresso a quadri bianchi e neri, simile a una scacchiera. Eppure non riuscivo a decidermi e i dubbi hanno continuato ad assillarmi fino a quando non sono tornata a vedere la casa. Scendendo dalla macchina ho trovato ai miei piedi una grossa penna di corvo con la punta rivolta verso la casa. Un immediato senso di pace e serenità è calato su di me, fugando ogni dubbio. Da quel momento ho avuto la certezza che trasferirmi lì fosse la cosa giusta da fare. A distanza di parecchi mesi, posso confermare che lo spirito del corvo mi ha ben consigliato. Sono molto felice della mia nuova casa.
La magia della strega è ovunque, sta a noi fare lo sforzo di cercarla e riconoscerla. Sono certa che le piume di corvo si posino, senza essere notate, ai piedi di molte persone, non solo in campagna ma anche in città. Il vento, gli uccelli, gli alberi, i sassi, i fiori e le piante sono solo alcuni degli elementi che la Dea sfrutta per infonderci forza e inviarci messaggi. Grazie alle sue indicazioni potremo trovare un nostro cammino di vita personale, che tenga conto dei nostri punti forti e dei nostri punti deboli. Procedendo in accordo con la strega, saremo in grado di affrontare scelte, difficoltà, sfide e ostacoli con decisione e coraggio, eliminando gli impedimenti che ci bloccano o ci fanno male.
La Triplice Dea Morrigan
Nella letteratura celtica, la Morrigan appare come una delle incarnazioni più potenti e multiformi della Grande Dea. È una strega guerriera e, al tempo stesso, assicura protezione, invita a nuove sfide e infonde energia. La sua storia ci mostra quali e quante conquiste possiamo compiere quando facciamo appello alla nostra sovranità. La Morrigan mette in evidenza l’importanza della determinazione, della fiducia in se stessi, della prontezza e dell’intelligenza tattica, non solo sul campo di battaglia ma in ogni aspetto della vita. A mio parere, la sua figura può offrire il giusto slancio a chi è in procinto di partire per un nuovo viaggio, esortandoci a non sottovalutare mai il vigore e l’efficacia dei nostri poteri magici.
La Morrigan, che in celtico significa “grande regina”, appare sempre rivestita di un’armatura e con una lancia in mano. Come le sue due sorelle, Macha e Babd, assume spesso le sembianze di un corvo nero, specie sul campo di battaglia. Il suo grido è feroce e irresistibile, potente come il boato di diecimila guerrieri. Nella mitologia celtica, l’urlo del drago, con i suoi echi terrificanti, sta a denunciare l’abbandono o l’incuria subiti da un re indegno. Il suo grido non esprime tanto afflizione quanto l’ira incontenibile scatenata da un tradimento intollerabile. La sensibilità di Morrigan è simile a quella del drago: sa offrire cure e protezione ma reagisce con furia incontenibile alle offese e alle ferite.
In una leggenda, la Morrigan sveglia con il suo grido terrificante Cu Chulainn, un eroe della tradizione celtica, e gli si para davanti, armata di lancia, con il suo cocchio reale trainato da un cavallo rosso. In-, dossa uno splendido abito rosso coperto da una mantella rossa e i lunghi capelli, anch’essi rossi, le ondeggiano scompigliati lungo la schiena. Bella da togliere il fiato, propone a Cu Chulainn di fare l’amore. Lui però, follemente, la rifiuta, sostenendo che non ha tempo per le donne e che deve recuperare le forze dopo una giornata trascorsa sul campo di battaglia. Non solo la rifiuta, ma la umilia. Quando Morrigan afferma di poterlo aiutare a vincere la guerra, lui disdegna la sua offerta. Lei gli promette vendetta e, a quel punto, la sua fine è sancita. Ferito a morte e incatenato a una rupe, Cu Chulainn vede avvicinarsi i nemici. La Morrigan appare sotto forma di corvo e va a posarsi sulla sua spalla. Un istante dopo l’eroe viene decapitato. Questa storia mostra la determinazione della dea, la sua risolutezza e la sua prontezza di azione.
Molti conoscono la fata Morgana della leggenda arturiana. Questo personaggio discende dalla Morrigan, sebbene nel corso dei secoli abbia perso molte delle sue caratteristiche e peculiarità. Ai tempi di re Artù, Morgana regnava incontrastata sull’Altro Mondo, era la regina di Avalon (la cosiddetta “Terra delle mele”) e la sovrana dell’Isola delle donne. Re ed eroi accorrevano alla sua corte per apprendere i segreti della vita. La mela, da non confondere con il “frutto proibito” della tradizione cristiana, era un simbolo di conoscenza e giovinezza. La dea perse gran parte della sua forza e della sua indipendenza quando gli scrittori medievali cominciarono a raffigurarla come la sorellastra di re Artù e l’amante infedele di Merlino.
Il racconto che segue restituisce al personaggio di Morrigan la sua libertà e la sua forza originarie. Narra la storia del suo incontro con il Dagda, uno dei suoi numerosi amanti, e dell’incantesimo magico con cui la dea interviene in suo favore. Il Dagda era un dio del Tuatha De Danann, il pantheon celtico che riuniva i cosiddetti “figli della dea Da-nu”. L’unione rituale tra la Morrigan e il Dagda si celebrava alla vigilia di ogni Samhain, l’attuale notte di Halloween, che segnava l’inizio dell’anno celtico. In previsione del freddo invernale, l’incontro fra le due divinità era considerato un simbolo di calore e rinascita.
La fonte originaria del racconto, noto come La battaglia di Moytura (o di Mag Tuired), si trova nel manoscritto Harleiano, conservato nel British Museum. Il racconto è stato tradotto, interpretato e rivisitato numerose volte. La mia versione non riproduce una specifica interpretazione ma attinge a varie fonti secondarie, oltre che alla mia immaginazione. L’espressione “Nona Onda” fa riferimento alla linea di confine che separava la terra celtica dal mare. Chi era condannato all’esilio, veniva mandato in mare aperto o in un’ignota terra straniera. In altre parole, era mandato “oltre la Nona Onda”.
Questo testo è estratto dal libro "La Strega in Ogni Donna".
Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017