SAGGI E RACCONTI

Labirinti - Anteprima del libro di Giovanni Francesco Carpeoro

Milano, venerdì 20 gennaio 2006

Milano, venerdì 20 gennaio 2006

L'aria gelida dell'inverno entrò dalla finestra che Giulio aveva appena aperto, d'improvviso, con uno spessore e una compattezza che gli provocarono l'impressione di toccare qualcosa di materiale, come se avesse un corpo freddo, ma consistente. Un freddo solido, quasi tangibile. Ma tutto sommato non era una sensazione spiacevole. Da quando aveva cambiato casa il panorama che gli si presentava al mattino, quando si svegliava e apriva la finestra, era ancora più rasserenante. Prima del trasloco, al risveglio, si affacciava sul giardino condominiale pieno di alberi e piante puramente ornamentali; ora, sotto i suoi occhi, dalla palazzina a tre piani dove si era trasferito dopo la separazione e la conseguente vendita dell'appartamento in comproprietà con sua moglie, Luisa, si poteva vedere il piccolo giardino privato, con il melo, l'albicocco, il grande abete, il noce e il ciliegio. Chissà perché la presenza degli alberi da frutto gli comunicava un'emozione più grande, rispetto a dei normali alberi da giardino. Essendosi trasferito subito prima delle festività natalizie, non aveva fatto in tempo a raccogliere neanche le mele, ma non vedeva l'ora che arrivasse la stagione giusta, per cogliere le albicocche e il resto, oltre ad ammirare la fioritura delle violette e degli imponenti cespugli di rose e ciclamini. Quando a settembre, di fronte all'avvocato, aveva concordato con sua moglie di vendere la loro casa, una fitta di dispiacere gli si era conficcata come una spina nel cuore e lo aveva reso intrattabile per alcuni giorni. Poi, come era sua natura, si era dato da fare, accantonando ogni turbamento emotivo.

L'agenzia

La stessa agenzia alla quale aveva conferito l'incarico di porre in vendita l'appartamento, gli aveva fatto vedere e proposto in acquisto una deliziosa palazzina a tre piani, più o meno nella stessa direttrice della vecchia casa, ma molto più vicina al centro della sua Milano. Questa soluzione gli avrebbe permesso di mantenere tutte le sue vecchie abitudini, ma c'era una controindicazione: i tre piani erano praticamente tre appartamenti, ognuno di circa duecento metri quadri, per non parlare dei tre box. Per una persona sola, praticamente un castello. Stava già quasi rinunziando all'idea, quando, considerando che i tre piani avevano ingressi autonomi l'uno dall'altro, valutò che sarebbe stato sufficiente trovare altre due acquirenti che condividessero l'acquisto. Ne parlò prima con Joe SW, dj famoso e praticamente suo datore di lavoro, in quanto per il medesimo curava l'edizione e la grafica di tutte le produzioni discografiche, e questi, pur se dispiaciuto di rinunziare al suo raffinato bilocale in Brera, in centro a Milano, aderì immediatamente, più per l'attrattiva di abitare vicino al suo amico, che per altro. Successivamente, insieme, ne parlarono con Amedeo, il commissario, l'eroico poliziotto, trasferito a Milano da Palermo per evitare che fosse ucciso dalla mafia, con il quale era nata una altrettanto forte amicizia, nel corso della vicenda della morte di Angela. Anche il commissario si indusse facilmente all'acquisto di un piano: in fin dei conti abitava in affitto e l'idea, con un bel mutuo, di cominciare a costruire qualcosa di solido per la propria vita, non lo colse indifferente. Fu così che nel mese di novembre poterono tutti e tre trasferirsi nella nuova casa che era stata appena ristrutturata e non aveva bisogno di opere di rilievo. I ritmi e le abitudini della vita di ognuno non furono particolarmente rivoluzionati, l'unico che avvertì il cambiamento fu il povero Ramiro, il giovane ecuadoriano incaricato delle faccende di casa, che si trovò il lavoro triplicato, ma poiché, oltre al datore di lavoro, si era triplicato anche lo stipendio, gli andò più che bene così. In aggiunta, alla fine dell'operazione, Giulio ebbe la soddisfazione di constatare che, rispetto alla vendita del vecchio appartamento, dal punto di vista economico l'operazione si era chiusa con un sostanziale pareggio, e che non aveva avuto neanche la necessità di stipulare un nuovo mutuo. L'unica nota negativa era venuta dalla sua ex moglie Luisa, sempre polemica, nonostante tutti i suoi sforzi di mantenere un rapporto affettuoso e civile, che, quando le aveva liquidato la metà di competenza della vendita della loro vecchia casa, si era mostrata molto contrariata nel venire a conoscenza di una sua quasi coabitazione con Amedeo, con il quale la medesima aveva avuto un vivace scambio di vedute in precedenza.

Beh, no, ce n'era un'altra di nota negativa: dopo la sua ricerca su Giorgione e l'incontro, propiziato da sua madre, con l'astrologa tedesca Helga Kelbauer, nel quale era stato preavvisato di un possibile contatto da parte dei due ipotetici membri superstiti della fratellanza dei Rosa+Croce, non era successo più nulla, ma proprio nulla a proposito. Di ciò aveva parlato anche con fra' Tommasino, il monaco cistercense conosciuto all'Abbazia di Chiaravalle, che gli aveva trasmesso i primi insegnamenti nel difficile cammino che aveva intrapreso, ma questi, in tutta risposta, aveva sorriso e gli aveva detto di avere fede e aspettare. Ma ogni volta che tornava con il pensiero a quella vicenda, mille dubbi si affacciavano nel suo animo. Nel mese di dicembre dell'anno trascorso aveva inviato a Torino, dove viveva, allo zio di Joe, il professor Gianluigi Mairanini, studioso di simbolismo, il risultato della sua ricerca sul pittore Giorgione, e il medesimo se ne era mostrato entusiasta, comunicandogli la sua intenzione di curarne la pubblicazione in modo adeguato. Altrettanto aveva fatto nei confronti di colui che per primo si era reso responsabile, tanto del suo coinvolgimento nella ricerca sui Rosa+Croce, quanto dei tanti mutamenti avvenuti nella sua vita nei mesi precedenti. Aveva infatti inviato lo studio anche ad Annibaie Mercurio, che aveva ancora una volta mostrato il suo acume, il suo olfatto da cane da tartufi, come lo aveva una volta definito il suo amico Gianluigi.

«Sai Giulio» gli aveva detto nel corso di una telefonata di ringraziamento per l'invio dell'incartamento sul Giorgione» ho come la sensazione che, a furia di studiare il pittore degli enigmi, tu sia diventato altrettanto enigmatico».

«Non ho ben capito» gli aveva risposto Giulio sorridendo e ricordando la raccomandazione della Kelbauer di imparare a dire senza dire.

«Voglio dire che ho l'impressione che, oltre a tutto quello che hai spiegato con chiarezza, ci sia qualcosa d'altro di cui hai offerto solo gli strumenti per comprendere, senza parlarne chiaramente, non so per quale motivo».

Giulio ricordò con quanta fatica si era sottratto, diplomaticamente, senza confermare, né mentire, a un approccio così frontale. Probabilmente anche Gianluigi, aveva percepito lo stesso aspetto, avendo una capacità di intuizione non inferiore a quella di Annibaie, ma per una maggior sottigliezza, che egli aveva molto apprezzato, aveva discretamente evitato di prenderlo così di petto. Terminate le elucubrazioni davanti agli alberi pieni di brina, occorreva ora mettersi in moto per iniziare la giornata. La palestra e la sua deliziosa pasticceria napoletana lo attendevano per disporlo al meglio ad affrontare il mondo, visto che si prospettava una impegnativa mattinata di lavoro presso l'ufficio di Joe, dove avrebbe preso in consegna i testi e le musiche di due nuovi artisti che il dj voleva produrre, nonché il materiale di un suo nuovo progetto discografico. In effetti il lavoro per il dj andava a gonfie vele e Giulio si sentiva particolarmente rassicurato dalla ritrovata tranquillità economica. Con questi presupposti la mattinata trascorse velocemente e riuscì finanche a evitare il tramezzino ferroviario o peggio la polpetta americana, rischio endemico che ricorreva inevitabilmente ogni volta che si trovava a ora di pranzo nell'ufficio del dj. Tornato a casa, decise di prepararsi il desinare. Non aveva fatto molta fatica a prendere confidenza con la nuova cucina, anzi lo spazio maggiore a disposizione gli aveva consentito di dare un'impostazione più funzionale alla sua dispensa, sempre attrezzata per affrontare una possibile carestia o un nuovo conflitto bellico. La scelta non fu difficile: il freddo dell'inverno suggerì la preparazione di una delle sue ricette preferite, la polenta con le frattaglie di agnello. Mentre affettava lo scalogno, orizzontalmente, in anelli sottilissimi, il campanello di casa suonò.

Amedeo e le sue abitudini

Era Amedeo, che aveva preso l'abitudine di fermarsi a pranzo da lui, quando lo trovava in casa. Non poteva dargli torto visto quello che rischiava di mangiare in commissariato. Fortunatamente la quantità di frattaglie acquistata dal macellaio consentiva la presenza di un ospite. Il commissario si sedette di fronte a lui in cucina e tacque religiosamente nel rispetto del suo impegno culinario. Preparò il soffritto di scalogno, lo sfumò con il vino rosso, un Nebbiolo, lo stesso che avrebbe accompagnato il pranzo, e, dopo la completa evaporazione dell'alcool, adagiò le frattaglie tagliate a tocchetti nel tegame. Solo in ultimo aggiunse un bicchiere di passata di pomodoro. Preparò la polenta di mais, ahimè quella istantanea per motivi di tempo, e la ripose, fumante in una teglia da forno larga e circolare, precedentemente imburrata. Poi coprì la polenta con delle fette di formaggio brie tagliate sottili, con le frattaglie, nella loro salsa, e infornò per una decina di minuti. Mangiando, Amedeo mugolava di piacere come il cane di un macellaio. In effetti Giulio doveva ancora una volta farsi i complimenti come cuoco. Alla fine, di fronte a un bel caffè fumante Amedeo sputò il rospo.

«Questo caso dell'omicidio della professoressa di liceo mi aveva tolto completamente l'appetito, grazie Giulio, mi hai risuscitato».

«Quale caso?» chiese candido Giulio.

«Ma dove vivi? Da una settimana i giornali e la televisione non parlano d'altro!».

«Ma lo sai bene, ormai che non leggo quasi mai i giornali, per non parlare della televisione».

«Certo, lo so che fai la vita dell'eremita senza esserlo; ora dopo il pittore dei rebus chissà cosa andrai a escogitare per estraniarti meglio dalla realtà».

«Quella che tu chiami realtà è qualcosa di più artificioso dei miei studi».

«Non ci sono speranze con te: prima o poi finisci a fare il monaco con il tuo amico di Chiaravalle».

Alludeva evidentemente alla sua amicizia con fra' Tommasino, colui che rappresentava la memoria vivente dell'Abbazia di Chiaravalle, che tanto gli era stato di aiuto nei mesi precedenti. «Quando conoscerai anche tu fra' Tommasino, forse comincerai a capire dove sia la vera saggezza».

«Giulio, sei un amico, ti voglio bene, ti ringrazio per l'ottimo pranzo che hai cucinato, ma se il discorso prende questa piega, preferisco, senza offesa, tornare in commissariato dove sicuramente ci sono un po' di viados che mi aspettano per essere rilasciati, come al solito».

Giulio accompagnò il commissario all'uscita, pensando, con un sorriso, all'esotica, variegata e vociante anticamera del suo ufficio, che ben conosceva. Trascorse il resto della giornata a casa, visionando il lavoro che aveva preso in consegna da Joe, e ascoltando musica di Bach, i Concerti Brandeburghesi. La sera decise di tenersi leggero, visto che il pranzo era stato sostanzioso, e mangiò solo della frutta. Prima di addormentarsi gli venne da pensare che, senza che sapesse come, la tranquillità degli ultimi mesi sarebbe stata nuovamente turbata da qualcosa di nuovo e inquietante.

Questo testo è estratto dal libro "Labirinti".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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