Scopri la vera origine dei Tarocchi e del loro simbolismo leggendo l'anteprima del libro di Alejandro Jodorowsky.
Le due storie dei tarocchi
Nell’ultimo secolo, i Tarocchi stanno vivendo una diffusione capillare e un’esplosione di creatività paragonabili soltanto a quelle degli anni successivi alla loro nascita, sulla fine del XV secolo, quando, tra il XVI e il XVII secolo, le famiglie nobili italiane ed europee facevano a gara per avere il mazzo di carte più bello e pregiato. Le pubblicazioni sul tema prolificavano a vista d’occhio e mai come in questi due secoli si è assistito alla creazione di mazzi di carte dall’ispirazione artistica più disparata.
Eppure, a fronte dei secoli trascorsi, il reale significato del Tarocco non è ancora, pienamente, compreso e molti sono i pregiudizi che ne circondano il nome. Basterà solamente pronunciare la parola “Tarocchi” per suscitare una repulsione pressoché immediata nell’ascoltatore a digiuno sul tema, che assume di volta in volta l’espressione supponente di chi si sente al di sopra di certe frivolezze superstiziose, o lo sguardo inquietato di chi non vuole immischiarsi con certi oscuri affari.
Il pregiudizio che vede i Tarocchi esclusivo appannaggio della pratica divinatoria, oltre ad essere legato alla narrazione prevalente nella cultura popolare e nelle rappresentazioni letterarie o sceniche, ha radici relativamente recenti ed è legato a quella che io chiamo “la seconda storia” dei Tarocchi.
Essa ha avuto inizio nel XVIII secolo, per opera di un esoterista francese, Court de Gébelin, che ebbe, da un lato, la fortuna di creare una delle più popolari teorie sulla nascita dei Tarocchi e, dall’altro, la sfortuna di legare la sua fama esclusivamente al breve capitolo - non più di un centinaio di pagine - in cui disquisisce dell’origine egizia delle carte, destinando involontariamente all’oblio l’altro migliaio di pagine che aveva dedicato all’origine della conoscenza e del linguaggio umano nella sua opera monumentale, Il Mondo Primitivo. Un destino beffardo - degno dell’ironia del Matto o del sorriso sardonico del Bagatto - che, come La Ruota, prima lo innalzò a una inaspettata popolarità e poi, per la legge del contrappasso, lo punì per aver diffuso una teoria inventata di sana pianta e aver contribuito, involontariamente, agli stereotipi che ancora oggi aleggiano attorno alle carte.
Come racconta Court de Gébelin, il fatto accadde in un salotto dell’alta borghesia europea, durante una semplice partita al gioco dei Tarocchi. Fino ad allora, infatti, il gioco dei Tarocchi aveva allietato le giornate tanto dei nobili quanto della povera gente; poi, d’improvviso, Court de Gébelin decise di interrompere la partita, domandando, di fronte alle carte: “di che si tratta?”.
Con naturalezza, una dama svizzera gli rispose che si trattava del Gioco dei Tarocchi, “una rapsodia di figure assai bizzarre, assai stravaganti” e, come esempio, estrasse la carta del Mondo, inconsapevole di come il suo gesto avrebbe rivoluzionato completamente la storia dei Tarocchi. È lo stesso Court de Gébelin a raccontare di come rimase fulminato di fronte alla lama, in cui riconobbe all’istante - non è dato conoscere come - l’antico simbolismo egizio, per poi passare l’ora successiva ad analizzare a una a una le carte, per convincere i presenti della sua bizzarra teoria. A suo dire, le 22 lame dei Tarocchi erano ciò che rimaneva del Libro di Thoth, tramandato in Occidente dai gitani per mezzo di figure geroglifiche poi tramutatesi in carte.
La seconda storia dei Tarocchi
Vuoi per le capacità retoriche di Gébelin, vuoi per l’egittomania imperante, presto le sue teorie si diffusero in tutta Europa, affascinando sia cartomanti sia studiosi. Sarà Etteilla, uno dei più famosi cartomanti francesi, ad applicare le strampalate teorie di Court de Gébelin sia alla pratica cartomantica sia alla creazione di nuovi mazzi di Tarocchi, ispirati a una presunta simbologia egizia, che cominciò a fare da punto di contatto tra le logge esoteriche/massoniche “filo-egizie” e il mazzo di Tarocchi.
Dall’altro lato, è interessante notare come anche gli storici contribuirono a dar credito alle teorie dell’esoterista francese, a tal punto che esse si trovano discusse, analizzate e apprezzate nei più antichi saggi sulla storia delle carte: Facts and Speculations on the Origins and History of Playing Cards di William Andrew Chatto (1799-1864) e The History of Playing Cards del rev. Ed. S. Taylor (1865).
La “seconda storia dei Tarocchi” era ormai cominciata. La sua narrazione si era diffusa a tal punto da nascondere la reale origine delle carte, divenuta ormai appannaggio degli insegnamenti iniziatici di autori come Papus ed Eliphas Levi che, anche quando criticavano la teoria di Gébelin, ne sposavano tuttavia l’assunto iniziale: i Tarocchi sono un libro iniziatico, attribuito ora agli egizi, ora ai magi, ora ai cabalisti e agli ebrei.
Anche quando Oswald Wirth porterà ordine nella storia del Tarocco, riconoscendone l’origine medievale e occidentale, non riuscirà a distaccarsi totalmente dalla seconda storia del Tarocco, mantenendo nel proprio mazzo le simbologie egizie e cabalistiche. Il tutto confluirà negli insegnamenti iniziatici della Golden Dawn, congrega magica fondata in Inghilterra alla fine del XIX secolo, in cui il Tarocco esoterico era considerato uno strumento magico per la conoscenza del sé e dei simboli interiori, nonché una scala per percorrere l’albero della vita cabalistico e raggiungere i cieli più alti della divinità. Non a caso, sarà proprio dagli affiliati della Golden Dawn che nasceranno due tra i mazzi esoterici più importanti e influenti dell’ultimo secolo: il mazzo di Arthur Waite e Pamela “Pixie” Colman Smith e quello di Aleister Crowley e Lady Harris, entrambi crogiuolo di simbolismo egizio, alchemico, cabalistico, astrologico, iniziatico.
Così, in nemmeno duecento anni di storia, il velo del simbolismo occultista aveva coperto l’origine antica delle carte, reinventando una nuova tradizione e perdendo di vista l’origine dei Tarocchi e del loro simbolismo, appannaggio della “prima storia dei Tarocchi”.
Una forma d'arte
Molte persone restano stupite quando si fa loro notare che i Tarocchi sono in realtà una delle più alte espressioni dell’arte cristiana tardo-medievale e rinascimentale, e che sono nati proprio in Italia, alle corti milanesi o ferraresi dei Visconti o degli Estensi. Questa è la più viva dimostrazione di come la seconda storia dei Tarocchi abbia eclissato la prima. Eppure, non è possibile cogliere il significato delle carte se non le si inquadra nel clima artistico e culturale in cui esse sono nate: lo sbocciare della cultura Rinascimentale, in cui il Cristianesimo si arricchiva della classicità greca e del misticismo classico, i cui volumi ritrovati nella biblioteca di Alessandria venivano finalmente tradotti in latino.
Il “Gioco dei Trionfi”, questo il nome originario delle carte, allietava le ore libere di uomini e donne alla corte viscontea, eppure bisogna spezzare una lancia a favore di Court de Gébelin nel sostenere che nelle carte fosse nascosta una simbologia molto più profonda. La stessa che adornava gli ambienti sacri e profani delle chiese e dei castelli viscontei, come testimonia il castello di Malpaga, in provincia di Bergamo, sulle cui pareti riposano silenziose le medesime figure, i medesimi sguardi e i medesimi gesti che si ritrovano, ad esempio, nelle immagini dei Tarocchi Visconti-Modrone.
Figure geroglifiche provenienti non dall’Antico Egitto, ma dall’epoca altrettanto affascinante e misteriosa che Huizinga soprannominerà “l’autunno del medioevo”, in cui teologia, filosofia, religione, magia, ermetismo e alchimia si corteggiavano, rincorrevano, scontravano, dando vita a sistemi di pensiero vivi e complessi. Un’epoca in cui qualsiasi momento della vita - anche quello “profano” - era sacralizzato e ritualizzato, e anche la creazione di un gioco di corte non poteva essere da meno. Perciò, per comprendere l’origine della simbologia degli Arcani non bisogna recarsi nelle profondità delle piramidi, ma girare per gli affreschi delle chiese, dei monasteri, dei castelli del XV e del XVI secolo; si rimarrà stupiti nel riconoscere, ad esempio, il Matto nella figura di San Cristoforo o dell’Homo Selvaticus, la Papessa nella Madonna con il Bambino, l’Eremita in San Bernardo, il Diavolo nei demoni che infestano le visioni infernali dell’Apocalisse, il sorriso beffardo dell’Arcano Senza Nome nelle Danze Macabre (come quella di elusone) e via discorrendo.
Il cuore più profondo dei Tarocchi
Con un meccanismo tipico dell’ermetismo medievale e rinascimentale, i creatori delle carte fecero in modo di compendiare nel microcosmo dei Trionfi (oggi Arcani Maggiori) l’intero macrocosmo umano e divino, a tal punto che già Pietro Aretino si accorse, ammirandone la simbologia, che “queste sorte di carte non son carte”, come dice in una sua lettera, bensì veicolo di qualcosa di più profondo: delle storie.
Non a caso sarà sempre Pietro Aretino uno dei primi letterati a dar letteralmente voce alle carte nella sua raccolta di novelle Le Carte Parlanti, in cui a narrare le vicende degli uomini è proprio un mazzo di Tarocchi che, trovandosi sulla tavola di poveri, ricchi, laici, religiosi, nullatenenti e potenti, conoscono ogni aspetto della vita sacra e profana. Un vero e proprio scrigno di saggezza, in grado di aprirsi a coloro che sono in grado di interrogarli.
Questo è il cuore più profondo dei Tarocchi: la loro possibilità di narrare storie mute attraverso i simboli, dando vita a una molteplicità di narrazioni e combinazioni in grado di stimolare la creatività e la fantasia del lettore/osservatore.
Questo aspetto viene spesso soffocato dalla smania cartomantica di conoscere il futuro, la sorte, il destino, che mette sia il cartomante sia il consultante nella posizione di poter narrare/ascoltare una sola narrazione possibile; ed è invece sempre rimasto vivo nella “prima storia dei Tarocchi”, soprattutto nell’ambito artistico e letterario nostrano in cui, come accennato a inizio trattazione, i Tarocchi furono per circa duecento anni un fenomeno artistico irrefrenabile.
Si pensi alla molteplicità di mazzi artistici nati sul nostro territorio oltre al Visconti, come il Sola-Busca, il Mitelli, le Minchiate Fiorentine, il Tarocco Siciliano, Piemontese, Bolognese, tutti legati da un medesimo filo conduttore eppure tutti con le proprie peculiarità e le proprie storie da raccontare attraverso le diverse sfumature artistiche delle carte, in grado di esprimere le aspirazioni, i desideri, i pensieri, la fede e le illusioni degli anni in cui erano creati (emblematica, da questo punto di vista, la comparsa della “caravella” in concomitanza ai grandi viaggi di scoperta oltreoceano).
Questo spirito fu compreso da alcuni autori, come il già citato Pietro Aretino, ma anche da Matteo Maria Boiardo e Teofilo Folengo, i primi a dedicare componimenti poetici legati direttamente al simbolismo dei Trionfi, e pure da scrittori moderni come Italo Calvino ne Il castello dei destini incrociati e, infine, Alejandro Jodorowsky, che proprio in quest’ottica si situa all’interno della storia - anzi, delle storie - dei Tarocchi.
Data di Pubblicazione: 30 luglio 2021