SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO   |   Tempo di Lettura: 7 min

Lo Zen e l'Arte di Mangiar Bene - Anteprima del libro di Seigaku

Esaminiamo un pasto all'Eiheiji dall'inizio alla fine

Esaminiamo un pasto all'Eiheiji dall'inizio alla fine

Vi spiegherò in breve come gli unsui consumano i pasti all'Eiheiji.

Nel monastero non esiste nessuno di quegli spazi che comunemente definiremmo refettorio: i monaci consumano i loro pasti seduti a gambe incrociate nella posizione del loto, la stessa adottata durante la meditazione, sul medesimo tatami in cui si svegliano, vanno a dormire e sul quale praticano zazen.

Gli unsui indossano l'abito monastico con sopra il kesa. La loro prima colazione consiste in okayu e takuan con gomasio, il pranzo in riso, zuppa e takuan con un piattino di verdure, e il pasto serale, chiamato yakuseki, in riso, zuppa e takuan, con l'aggiunta di due piattini di verdure. Il contenuto dei pasti è variegato, ma solitamente ogni giorno vengono proposti gli stessi piatti semplici.

Per quanto riguarda utensili e stoviglie, si usano delle ciotole chiamate óryóki, che ciascun novizio possiede. Si tratta di scodelle nere laccate che si infilano l'una dentro l'altra come delle matrioske e che vengono avvolte in uno stesso fagotto insieme alle bacchette e a uno strofinaccio bianco: prima di ogni pasto lo si disfa e le ciotole vengono allineate sul jóen, la superici legno che circonda il tatami.

Per prima cosa proviamo a capire la successione dei pasti degli unsui servendoci di alcune illustrazi. Scoprirete molte parole a cui probabilmente non siete abituati e ci saranno anche alcuni aspetti difficili da immaginare. Potete tranquillamente sorvolare sui terrmini tecnici per voi complicati: mi farà felice anche solo sapere che siete riusciti ad avere un quadro generale dei pasti.

Radunarsi nella sala di meditazione al suono dei narashimono

Il contenuto del set di oryoki è seguente: ciotole, cucchiaio, bacchette, setsu (spatola per pulire le ciotole), mizuita (tavoletta), astuccio portabacchette e portacucchiaio, strofinaccio bianco, hattan (tovaglietta), plaid per le gambe, fukusa per avvolgere il tutto. Ogni volta che si maneggia l'oryoki, si dovrebbe fare in modo di usare solo tre dita: pollice, indice e medio.

Gli unsui non portano l'orologio. Nel tempio, tutte le funzioni sono scandite dal suono di campane e da strumenti simili definiti narashimono, tra cui i moppan, gli unpan (lastre di bronzo a forma di nuvola), i gyoku (gong di legno a forma di pesce, da appendere) e i dairai (tamburi tradizionali giapponesi).

Il suono dell'unpan che echeggia per tutto il tempio segnala che è ora di mangiare. Udito questo richiamo, gli unsui indossano le loro vesti formali e si radunano nella sala di meditazione. I sódó, le sale di meditazione dove si consumano i pasti, vengono chiamate anche undò o zazendò, e sono luoghi che oltre a essere consacrati allo zazen e alla recitazione dei sutra, rappresentano il cuore delle pratiche dei monaci.

È l'ordine di ingresso all'Eiheiji che determina il posto a sedere di un unsui giunto nella sala di meditazione.

Una volta arrivato di fronte al proprio tan (il tatami su cui si pratica zazen), per prima cosa il novizio farà un inchino a mani giunte, e poi ne ripeterà un altro in direzione opposta. Questi rituali - comuni anche alla pratica zazen - sono chiamati rin'imonjin e taizamonjin e si compiono tutte le volte, che ci sia qualcuno o no. L'unsui salirà sul tan e allineerà le pantofole appena tolte; poi, rivolto verso il muro, farà zazen e resterà in attesa. Conformemente al detto «Quando si dorme basta un tatami, da svegli ne basta mezzo», il tan è l'unità di misura fondamentale della vita degli unsui. L'oryoki è appeso in prossimità del tan mentre sulle mensole sottostanti si trovano il futon e gli oggetti di uso quotidiano. (Nelle grandi sale di meditazione come quella dell'Eiheiji, in cui vivono più di cento unsui, non ci si siederà necessariamente ogni volta allo stesso posto, per cui ognuno porta il proprio oryoki nella sala di meditazione prelevandolo dallo scaffale personale situato altrove).

Il suono di gyoku e dairai segnala che il pasto è pronto per essere servito. Preso il proprio oryoki, tutti si siedono nuovamente, rivolti gli uni verso gli altri.

Disporre le ciotole per essere serviti dal jonin

Per prima cosa il jonin - l'unsui addetto al servizio - pulisce il jòen con il jòkin, un panno pulito bagnato e strizzato, e solo a quel punto gli unsui poggiano le loro ciotole sul piano di legno. Al suono del kaishaku (un narashimono simile agli hyòshigi usati nelle ronde antincendio), i monaci recitano il Tenpatsu no ge (Versi per disporre le ciotole, vedi pag. 37) e sistemano le scodelle in una posizione specifica, seguendo un ordine prestabilito. Al momento opportuno, quando hanno finito di allinearle, dal gaitan (lo spazio situato accanto alla sala di meditazione, dove il jònin predispone i contenitori necessari per il servizio e si prepara), l'addetto accede alla sala di meditazione e inizia a distribuire l'okayu. In quel momento, gli unsui riuniti nella sala recitano il Jùbutsumyò (I dieci nomi del Buddha, vedi pag. 38).

Mentre aspettano di essere serviti, i monaci restano sempre seduti in posizione zazen. Quando si trovano di fronte il jònin fanno un inchino a mani giunte e, tenendo la ciotola con entrambe le mani, la porgono al monaco, che serve la zuppa con un mestolo.

Nel momento in cui il jònin versa la quantità per loro sufficiente, i novizi rivolgono il palmo della mano verso l'alto e lo muovono in su e in giù vicino alla ciotola per dare l'idea che la quantità sia adeguata. Una volta servito il pasto non possono lasciare avanzi, perciò fanno in modo di prendere solo quello che riescono a mangiare, e fin dall'inizio evitano di farsi dare una quantità di cibo che non riuscirebbero a finire. Dopo essere stati serviti aspettano di nuovo seduti in posizione zazen. Il suono del kaishoku annuncia che tutti sono stati serviti, e si continua recitando i sutra dal Gokan ro ge (Versi delle cinque contemplazioni/vedi pagg. 39-40) al Sanshi no ge (Versi dei tre bocconi, vedi pag. 42). Nel frattempo si inserisce il cucchiaio nella ciotola più grande, chiamata zuhatsu, mentre le bacchette vengono poggiate sulla ciotola centrale, con la punta rivolta verso il proprio lato destro.

Gli unsui posizionano poi alcuni chicchi di riso sull'estremità del setsu (la spatola di legno per pulire le ciotole, che ha un panno applicato all'estremità): vengono chiamati saba, e verranno recuperati dal jónin al termine del pasto.

Il saba raccolto verrà radunato e posto in cima a delle pietre che si trovano in giardino, chiamate sabadai, finendo presto nella pancia di uccellini esperti.

Mangiare in silenzio secondo le regole

Una volta terminato il Sanshi no ge, gli unsui reggono con entrambe le mani lo zuhatsu in cui è contenuto il riso e lo sollevano all'altezza dello sguardo. Questo rituale si definisce keihatsu, «sollevare la ciotola», ed è lo stesso che si compie quando si trasporta ì'òryòki, e prima di disporre e dopo aver riposto le ciotole. Poi, dopo essersi assicurati che il róshi seduto al posto d'onore e i senpai chiamati kosan abbiano iniziato a mangiare, i novizi assaporano tre bocconi di riso (o di okayu, la mattina).

Durante i pasti si mantiene sempre la posizione zazen nei limiti del possibile. I movimenti si riducono al minimo e si tengono le orecchie allineate alle spalle e il naso allineato al punto vitale del tanden.

È possibile ricevere un'altra porzione di riso e di zuppa: al segnale del róshi gli unsui che ne desiderano ancora leccano il cucchiaio e le bacchette e le poggiano sulla tovaglietta. Si fa il bis rispettando i ritmi degli altri, regolando la quantità e facendo in modo di non finire di mangiare troppo presto o troppo tardi.

Questo testo è estratto dal libro Lo Zen e l'Arte di Mangiar Bene

Data di Pubblicazione: 30 settembre 2017

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