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Lockdown: l’epidemia artificiale

Lockdown pandemia di legge

Scopri come le sindromi da lockdown minaccino oggi il benessere e la vita delle popolazioni del mondo leggendo l'anteprima del libro di Stefano Mantegazza.

Pandemia di legge

Occupandomi sul mio blog delle politiche adottate in Italia e nel mondo per frenare la diffusione di una nuova malattia, osservavo che nessun problema vero o presunto, semplice o difficile, sanitario o non sanitario, individuale o collettivo, si può risolvere privandosi delle risorse necessarie alla sua soluzione. Rimarcavo allora, tra le altre cose, che per proteggere una comunità a rischio occorre mettere chi non è a rischio nella condizione di rendere effettiva quella tutela. Il caso di questi mesi non smentisce la regola e anzi la conferma a corollario di una più ampia legge naturale: se i più fragili sono esposti a un certo pericolo, la popolazione restante è chiamata ad attivarsi affinché godano di cure, protezione, reddito, supporto fisico e morale. Non a disattivarsi come predica la logica del “lockdown”, che nel minare la capacità produttiva e la serenità di chi dovrebbe farsi carico dei vulnerabili, estende la vulnerabilità a tutti, moltiplica la quantità e la qualità del pericolo e rende impossibile la reazione.

Dopo avere scritto queste cose, tutto sommato scontate, constatavo che la consapevolezza della contraddizione era più estesa di quanto immaginassi. A parte i pochi “esperti” che riuscivano a portarla sugli schermi televisivi, sempre più persone misuravano la sproporzione tra i danni anche ufficialmente circoscritti del problema e quelli invece universali della sua “medicina”. Con il ritorno delle chiusure autunnali, grandi folle occupavano le piazze italiane per rivendicare il diritto di vivere del proprio lavoro e contribuire così al benessere, e perciò anche alla salute, della propria comunità. Non si trattava di posizioni eretiche o - qualunque cosa significhi - “negazioniste”, se è vero che il 9 ottobre uno degli inviati speciali dell’OMS per l’emergenza Covid-19, David Nabarro, dichiarava in un videocast della rivista Spectator che:

"Noi dell’OMS non invochiamo i lockdown come mezzo principale per controllare questo virus. L’unica situazione in cui riteniamo che un lockdown sia giustificato è quella in cui si deve guadagnare tempo per riorganizzarsi [...] ma, in generale, non lo raccomandiamo. [...] Guardate ciò che sta accadendo ai livelli di povertà. Entro il prossimo anno la povertà nel mondo potrebbe raddoppiare. [...] È una catastrofe globale terribile e spaventosa, quindi ci appelliamo con forza ai leader mondiali: smettete di utilizzare i lockdown come principale metodo di controllo. Sviluppate sistemi migliori per farlo. Lavorate assieme, imparate l’uno dall’altro, ma ricordate: i lockdown hanno una sola conseguenza, che non dovete assolutamente trascurare, che è quella di rendere le persone povere terribilmente più povere."

In quella dichiarazione il dottor Nabarro non citava nemmeno la malattia Covid-19, «una malattia normale» (così il dottor Roberto Bernabei, membro del Comitato tecnico-scientifico [CTS] del governo) che colpendo in modo grave quasi solo persone in età non più lavorativa non potrebbe neanche avvicinarsi all’obiettivo monstre di raddoppiare la povertà nel mondo. La «catastrofe globale terribile e spaventosa» era invece quella del suo presunto rimedio, già annunciata in aprile dal Programma alimentare mondiale dell’ONU, secondo il quale le centinaia di milioni di persone afflitte dalla fame sarebbero raddoppiate a causa dei “lockdown”, e patita in modo esemplare anche da una nazione sviluppata come l’Argentina, messa in gravi difficoltà da otto mesi di ininterrotta chiusura e ciò nondimeno... di ininterrotta crescita dei contagi.

La parte immersa dell'iceberg

Dei tanti modi in cui i “lockdown” erodono gratuitamente la salute di tutti, quello economico è solo il più evidente. Con la disoccupazione, i fallimenti, l’impoverimento e la precarietà non si deteriora solo il benessere fisico e psichico dei singoli, ma anche la ricchezza erariale di tutti e quindi la possibilità di godere di servizi pubblici anche sanitari, il cui “affanno” presente non potrà dunque che aggravarsi per la carenza di risorse fiscali da destinare a personale, macchinari, farmaci e strutture. A questa parte emersa del problema deve aggiungersi quella più profonda del disagio cagionato dall’incertezza del futuro, della paura delle sanzioni, della reclusione in casa (che, commenta lo stesso Bemabei, «ammazza come il virus»), dell’isolamento dei più fragili e del timore di sottoporsi a prestazioni sanitarie anche per malattie ben più letali come quelle oncologiche, i cui screening sarebbero già calati drasticamente.

Manca poi la parte più preoccupante perché di lungo effetto, quella a carico di bambini e ragazzi, che senza dover temere la nuova malattia ne trangugiano più di chiunque altro il preteso farmaco: con la segregazione, la separazione dai coetanei, la mancata attività fisica all’aperto, l’indebolimento delle figure genitoriali, lo scadimento dell’istruzione e l’abbandono scolastico, l’alienazione della didattica a distanza e la dipendenza informatica.

Le ferite inflitte ai più giovani si cronicizzano e si trasmettono alle generazioni future. Un’indagine condotta nella primavera del 2020 dall’ospedale pediatrico Gaslini di Genova riscontrava «problematiche comportamentali e sintomi di regressione» in circa 2 minori su 3,8 mentre la malattia che dovrebbe giustificare questa sofferenza ne ha sinora colpiti otto su diecimila in modo serio e meno di due su un milione in modo letale. La chiusura delle scuole e i surrogati didattici telematici, oltre a pregiudicare evidentemente l’istruzione, ha imposto ai più giovani «una distorsione evolutiva tragica» che colpisce soprattutto gli adolescenti costringendoli a privarsi del loro naturale bisogno di confrontarsi con ambienti esterni alla famiglia. Così «una generazione che ha pochissimo a che fare con la patologia» sprofonda nell’isolamento con «conseguenze sulla salute mentale dei ragazzi, a livello di depressione, demotivazione e atti autolesionistici [...] già documentate» e confermate dai primi dati sull’aumento di suicidi e tendenze suicidarie tra i giovanissimi.

La permanenza forzata in famiglie già problematiche o rese tali dalle circostanze alimenta anche i presupposti del maltrattamento. Nei mesi dell’emergenza gli operatori del Telefono Azzurro hanno visto salire verticalmente i contatti con il servizio e stimato una crescita del 45% degli abusi sui minori. Secondo un portavoce dell’Associazione culturale pediatri, ai rarissimi casi di complicanze pediatriche della malattia corrisponderebbero «dati decuplicati sui bambini con trauma cranico da abuso» per le percosse subite.

Conseguenze del lockdown

Adottando qualsiasi definizione di salute, non c’è dubbio che il “lockdown” sia oggi in sé un agente patogeno di portata pandemica in grado di produrre un vasto spettro di sindromi e complicanze, anche fatali. Sarebbe perciò urgente condurre studi epidemiologici sul suo impatto nelle popolazioni coinvolte, come si è già fatto in passato trattando gli effetti dell’austerità fiscale. Nelle more di siffatte indagini, si possono utilizzare le esperienze e i dati disponibili per abbozzare un confronto tra il patogeno “lockdown” (L) e quello virale (C) di cui L vorrebbe essere l’antidoto.

In quanto a morbosità, C ha prodotto sintomi in circa il 2,6% della popolazione italiana e dall’inizio dell’epidemia ne ha colpito in modo severo o critico lo 0,32%, mentre L sta colpendo tutti. In quanto a patogenicità e letalità, C può scatenare una malattia respiratoria da lieve (36% dei casi) a grave (5%)18 e non provoca la morte nel 98,7% dei contagiati con meno di 80 anni (99,5% in quelli con meno di 70), mentre ad oggi sono stati confermati 210 casi di deceduti (lo 0,01% dei contagiati o, proiettati sui decessi totali, lo 0,09%) che non avevano già in corso patologie croniche o gravi.

L può innescare uno o più stati patologici invalidanti collegati alla privazione materiale, sociale e affettiva, alla sedentarietà, allo stress, ai conflitti e al limitato accesso ai servizi socio-sanitari, la cui potenziale letalità è documentata, ma non ancora quantificata nel caso. Inoltre, C uccide individui di età media pari all’aspettativa di vita nazionale («fucila i vecchi», cit. Bemabei), mentre L minaccia la vita di ogni fascia anagrafica, avendo ad esempio fatto slittare quasi il 10% delle prestazioni sanitarie (tra cui più di un milione di screening oncologici), triplicato la mortalità tra i neonati e posto le basi di un’emergenza psichiatrica senza precedenti. Infine, in quanto a impatto sociale, C impone maggiori cautele verso le fasce sensibili (terza e quarta età, immunodepressi, malati cronici ecc.) specialmente nelle zone più a rischio e un potenziamento dei servizi sanitari dedicati, mentre L reclama la chiusura di scuole, università, teatri, parchi, impianti sportivi e centinaia di migliaia di aziende per milioni di posti di lavoro, la repressione di alcuni diritti costituzionalmente ordinati, solitudine, disagi in tutta popolazione e una recessione economica di molti punti percentuali.

Gli indicatori epidemiologici disponibili e approssimabili per ordine di grandezza suggeriscono che il rischio sanitario rappresentato da L superi quello di C sia per la numerosità e severità delle patologie collegate, sia per l’universalità dei soggetti che le esprimono, singolarmente o in comorbidità. Per questi motivi, pur restando da verificare la maggiore letalità dei suoi singoli effetti, è plausibile che esso sia destinato a esprimere una mortalità globalmente più elevata. Va perciò accettata l’ipotesi che le sindromi da “lockdown” rappresentino l’evento patologico nuovo più importante, ancorché negletto, che minaccia oggi il benessere e la vita delle popolazioni del mondo.

Che, in breve, la prima epidemia di cui occorre preoccuparsi sia quella diffusa dalla pratica dei “lockdown”, tanto più incomprensibile non solo in quanto sembra molto lontana dal mantenere gli effetti contenitivi che promette, ma più ancora perché prodotta - questa volta per davvero, senza dover immaginare complotti - in laboratorio, disegnata ad arte dagli uomini, codificata minuziosamente nelle leggi e inflitta ai cittadini con la forza pubblica, affinché non si attivino gli anticorpi del lavoro, della socialità e della critica.

Invece di fermarla, l’epidemia artificiale così allestita ha surclassato la sua antagonista naturale in ogni dimensione possibile e se ne è fatta scudo per aggiungere al danno contenibile e contenuto del virus l’incontenibile danno della propria furia, e infilare l’umanità in un circolo di distruzione che la natura, da sola, non avrebbe potuto realizzare.

Data di Pubblicazione: 28 maggio 2021

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