Lasciati incantare dalle incredibili vicende di Amelia, ragazza normale e Madre scelta dalle Stelle, leggendo l'anteprima del libro di Enzo Braschi.
Che ne sapeva una ragazza di provincia del cielo e dei suoi segreti?
Eppure, anche se non era mai salita al di sopra delle nuvole, dove solo osano gli astri, furono gli astri un giorno a venire incontro a lei.
E il mare? Che ne sapeva del mare e delle sue correnti? Amelia non aveva mai visto il mare se non al cinema, non sapeva nulla dei suoi abissi, delle sue possenti onde che si infrangevano sulle scogliere, delle sue spiagge dalla sabbia d’oro, dei grandi pesci che nuotavano nelle sue profondità.
Si svegliò sul prato che circondava la piscina della villa di Alfred alle prime luci dell’alba. Con la punta delle dita sfiorò l’erba, che era bagnata di rugiada. Si passò le mani sui vestiti e sul viso, che erano asciutti. Era intontita, faceva fatica a concentrarsi. Guardò l’orologio, che segnava le sei meno qualche minuto.
Non si udiva alcun rumore in giro, né una voce provenire dall’interno della villa. “È domenica” pensò, “staranno ancora tutti dormendo. Perché mi trovo qui invece che nella mia camera d’albergo? Perché l’erba è bagnata di rugiada e i mici vestiti, i miei capelli e la mia faccia sono asciutti? Come è possibile?”
Gli occhi le dolevano e avvertiva un fastidioso ronzio nella testa e un forte senso di nausea. Dapprima si mise a sedere, poi si alzò in piedi lentamente. Le sue gambe ebbero un tremito. Si guardò la giacca di seta rossa e i blue jeans che aveva acquistato per l'occasione due giorni prima da Calgary”, nel centro di Santa Fe. La sua mente annaspò nel vuoto, le parve di scivolare all’indietro.
Uno strano risveglio...
Nonostante fosse stata sdraiata sull’erba per chissà quanto tempo la giacca era senza una piega, neanche Amelia fosse stata delicatamente adagiata da qualcuno sul prato un attimo prima di svegliarsi, e i blue jeans non erano sporchi di terra o di erba.
Aprì la pochette nera luccicante di lustrini che portava a tracolla per vedere che non le mancasse nulla. Al suo interno ritrovò le chiavi dell’auto e quelle di casa, il pacchetto dei kleenex, lo specchietto con la cipria e il rossetto, il portafoglio con il contante che si era portata da casa e la carta di credito. Ogni cosa era al suo posto.
Si voltò in direzione del vialetto di ghiaia che portava all’uscita della villa, le mani affondate nelle tasche della giacca, i capelli castani che ondeggiavano alla leggera brezza del primo mattino, i profondi occhi blu, e l’espressione di chi tenta disperatamente di dare una risposta a quanto sta accadendo.
Il sole sbucò da dietro una nuvola e le illuminò il volto.
Era un sole caldo ma non bruciava ancora la pelle.
Amelia andò a vomitare dietro il salice.
Si pulì la bocca sul dorso della mano.
La saliva sapeva di ferro.
Primi ricordi
Pensò che non aveva bevuto alcolici la sera prima, solo un paio di cocktail alla frutta, e non aveva fumato “erba”, il che voleva dire che essendo stata lucida non era possibile che si fosse addormentata ai bordi della piscina.
“Ieri sera... ieri sera...” ripeté a se stessa.
Non ricordava assolutamente nulla di quanto potesse essere accaduto la sera prima.
Alla sua destra ritrovò il palco sul quale si erano esibiti i Best Offer, il gruppo rock di Denver che aveva invitato Alfred “per dare più corpo alla festa”, come le aveva detto al telefono per convincerla a raggiungerlo nella sua villa di Durango, in Colorado, da Santa Fe, nello Stato del New Mexico, dove Amelia abitava con la famiglia.
Si ricordò del nome della band in quell’attimo solo perché notò il manifesto appeso a una corda tesa tra due alberi, ma se i ragazzi avessero suonato bene o fossero stati una lagna non ne aveva la più pallida idea. Eppure li aveva sentiti suonare. O no?
Rifletté che da casa sua alla villa di Alfred non era quel che si dice una “passeggiata”. In auto erano la bellezza di quasi quattrocento chilometri, e con un paio di soste per sgranchirsi le gambe e bere qualcosa di fresco, rispettando ovviamente i maledetti limiti di velocità, Amelia ci aveva impiegato quasi cinque ore. E adesso le sarebbe toccato tornarsene a casa.
Alfred
Lei e Alfred si erano conosciuti a Phoenix un paio di anni prima, a un concerto di musica country, ed erano diventati amici, anche se si vedevano non più di due, forse tre volte all’anno, data la distanza. L'amicizia l’avevano cementata whatsapp e la posta elettronica: almeno un messaggio o una mail ogni due settimane per raccontarsi di come andavano le cose.
Sia Alfred sia Amelia si erano appena laureati in Biologia, lui all’Università di Denver, lei al Santa Fe Community College, ma lei non aveva dato alcuna festa di laurea, ad Alfred invece piaceva fare le cose in grande.
Figlio del più noto avvocato di Durango, occupava l’ultimo dei tre piani della villa di famiglia, la “magione”, come la chiamava Amelia, una costruzione in stile coloniale del XVIII secolo, con tanto di ben sei colonne di marmo bianco all'ingresso, di un kitsch “ributtante”, come aveva pensato lei la prima volta che se l’era trovata davanti, che si ergeva nel bel mezzo di un immenso parco con erba sempre perfettamente rasata, numerosi alberi e rigogliose piante di fiori e una piscina che avrebbe fatto invidia a tanti attori che vivevano a Beverly Hills.
La giovane s’incamminò lungo il vialetto, raggiunse lo spiazzo ghiaioso sull’altro lato della villa, azionò il telecomando del Dodge Ram metallizzato di suo padre, salì nel pick-up, chiuse la portiera e si guardò allo specchietto retrovisore.
I primi ricordi
I capelli erano a posto, così come il trucco e il colletto della camicia azzurra di mussola che pareva essere appena stata stirata. Si ripassò il rossetto sulle labbra carnose e si diede un'ultima occhiata allo specchietto. “Può andare” pensò. Poi aggrottò la fronte, sospirò, e accese il motore. Il quadro del cruscotto si illuminò.
Aveva ancora mezzo serbatoio di benzina. La solita musichetta di sempre le ordinò di allacciarsi la cintura di sicurezza. Fece come le veniva chiesto, quindi innestò il cambio automatico e l’auto scivolò lentamente verso il cancello della villa. Presso la colonnina col pulsante di apertura Amelia accostò e lo premette, il cancello si aprì, e il pick-up si lasciò la “magione” alle spalle, poi svoltò a destra e all’incrocio prese a sinistra, in direzione della highway che l'avrebbe riportata a casa.
Improvvisamente si rammentò che il pomeriggio precedente, appena arrivata a Durango, aveva lasciato il suo bagaglio al Crimson Hotel, dove avrebbe dovuto trascorrere la notte. La signorina della reception era stata molto gentile con lei al telefono, offrendole la camera a metà prezzo, vista la bassa stagione, e non richiedendole neppure il numero della carta di credito.
Alla fine, Amelia in albergo non ci aveva dormito ma doveva passarci a riprendersi il trolley e a saldare il conto. Così fece inversione a “U”, percorse il rettilineo fino al semaforo, svoltò a sinistra e imboccò la seconda via a destra.
Data di Pubblicazione: 27 febbraio 2024