SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO   |   Tempo di Lettura: 8 min

Mai Stati sulla Luna? - Anteprima del libro di Umberto Visani

La corsa allo spazio

La corsa allo spazio

Lo sbarco sulla Luna rappresenta, sia per chi l’ha vissuto in diretta sia, per quanto in misura minore, per coloro che ne hanno solo sentito parlare non essendo ancora nati, una sorta di “mito di fondazione” dell’epoca moderna.

Proprio in quanto tale, nel preciso momento in cui qualcuno, a prescindere da chi esso sia, dalle sue qualifiche e dalle prove che adduca a supporto, ne critichi addirittura la possibile sussistenza, andando a demolirne alcuni aspetti con tanto di dati precisi e circostanziati, ecco che la reazione piu comune che si avrà sarà simile a quella che otterrebbe chi avesse infranto un tabù. Infatti, in quanto mito di fondazione, lo sbarco sulla Luna ha, nella mente di molte persone, tutti i caratteri tipici della sacralità, per cui la reazione psicologica che tende a nascere nei più è quella dello sdegno e del ritenere assolutamente impossibile ogni scenario differente da quello entrato nella mitologia moderna.

Il primo aspetto da prendere in considerazione è quello dell’opportunità, vale a dire esaminare se e in che misura sarebbe stato preferibile, se non addirittura necessario, realizzare un fìnto allunaggio all’interno di un set cinematografico in modo che l’esito della missione fosse al 100% positivo.

Per fare ciò bisogna guardare il contesto politico degli anni precedenti al 1969.

Dodici anni prima, infatti, era iniziata una vera e propria corsa allo spazio tra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica: lanci di sonde, di animali, del primo uomo nello spazio. Una declinazione della Guerra Fredda perseguita tramite altri mezzi e che avveniva non più sulla Terra bensì nello spazio. Una corsa che, in ogni aspetto, vedeva l’Unione Sovietica davanti agli Stati Uniti, dal momento che era riuscita a primeggiare e a battere sul tempo il nemico.

Già alla fine degli anni Cinquanta, il celebre Wernher von Braun, ideatore dei razzi V-2 tedeschi e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, collaboratore nei più importanti progetti missilistici americani, era al lavoro su dei razzi in grado di raggiungere la Luna1.

Fu il volo di Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio, il 12 aprile del 1961 a causare una forte accelerazione nei piani statunitensi. Il 20 aprile dello stesso anno il Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy chiedeva al vicepresidente Lyndon Johnson in che maniera poter battere i russi nella corsa allo spazio:

«Abbiamo una qualche possibilità di battere i sovietici portando un laboratorio nello spazio, o compiendo un viaggio intorno alla Luna, o facendo atterrare un razzo sulla Luna, oppure facendo andare un razzo sulla Luna e poi farlo ritornare, con a bordo un uomo?».

Von Braun e il suo team, per quanto solo su basi teoriche, già avevano dei progetti su come raggiungere la Luna. Stranamente, però, fino a poco tempo prima si riteneva che la creazione di una stazione spaziale rappresentasse un prerequisito indispensabile per qualsiasi missione che intendesse spingersi con un equipaggio verso altri corpi celesti, dato il supporto logistico che una simile struttura avrebbe potuto fornire. Questo “prerequisito” sarebbe stato realizzato nel 1973, vale a dire un anno dopo l’ultimo sbarco sulla Luna, quando la Nasa mise in orbita lo Skylab.

Il discorso del presidente Kennedy

L’8 maggio 1961 il direttore della Nasa James E. Webb e il Segretario alla Difesa Robert McNamara inviarono un memorandum al vicepresidente Johnson in cui illustravano come i successi di ampia portata nelle missioni spaziali fossero il simbolo dell’abilità tecnologica e della capacità organizzativa di una nazione, contribuendo al prestigio nazionale e, per questo, essi giungevano a suggerire uno sbarco sulla Luna entro la fine del decennio.

Fu proprio questo l’input che spinse Kennedy a tenere un celebre discorso dinnanzi al Congresso il 25 maggio dello stesso anno, nel corso del quale disse:

«Credo che questa nazione debba impegnarsi per raggiungere l’obiettivo, entro la fine di questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e di riportarlo sano e salvo sulla Terra. Nessun programma spaziale in questo periodo impressionerà maggiormente l’umanità, né sarà più importante per l’esplorazione a lungo termine dello spazio e nessun altro sarà così diffìcile o costoso da portare a compimento».

Discorso che, come si può ben comprendere, fissava chiaramente un obiettivo di portata immane, con tutto ciò che ne consegue. Infatti, considerando lo status della scienza missilistica del 1961, le difficoltà si presentavano da subito di portata a dir poco rilevante, senza dimenticare anche il fattore tempo, nel senso che rimanevano otto anni e mezzo per riuscire a stare nella finestra temporale decennale delineata da Kennedy.

Problemi tecnici e il caso Grissom

Se il presidente Kennedy sembrava dunque fiducioso del raggiungimento di questo obiettivo, tale fiducia non era però condivisa dagli addetti ai lavori. Lastronauta Alan Shepard, ad esempio, come riportato nella biografìa scritta da Neal Thompson, ricorda come nei primi incontri con gli ingegneri vi fosse l’impressione che la Nasa non avesse idea di come andare sulla Luna, nel senso che vi erano tante teorie su come arrivarci, così come nell’Ottocento vi erano teorie su come volare imitando gli uccelli5.

Nel maggio di quell’anno, la percentuale di difettosità dei razzi Redstone (ideati per le prime missioni spaziali con equipaggio) aveva raggiunto il 57%: di 35 lanci, ben 20 avevano avuto problemi di grave entità.

Tra i maggiori critici della bontà tecnica di quanto creato dalla Nasa vi era Virgil Grissom. Se tutto fosse andato come da programmi, alla storia non sarebbe passato Neil Armstrong come primo uomo sulla Luna, bensì proprio Grissom. Egli, infatti, era uno degli astronauti più anziani, il secondo ad aver compiuto un volo suborbitale dopo Alan Shepard6, il 21 luglio 1961. Volo che, per ragioni mai del tutto chiarite, per poco non portò alla morte di Grissom: proprio quando la capsula Mercury si trovava già in acqua in attesa di venir recuperata, il portellone si aprì, senza che Grissom lo avesse attivato e la capsula iniziò a riempirsi di acqua, costringendolo a uscire in mare aperto dove, dopo vari ritardi, venne soccorso da un elicottero. La Nasa dichiarò che non vi era alcuna avaria tecnica ma, al tempo stesso, Grissom negò categoricamente di averlo azionato. La sua ricostruzione era in ogni caso supportata dalla circostanza che la sua mano non presentasse alcuna ferita derivante dal meccanismo di apertura interno7.

Ciò creò degli screzi tra Grissom e la Nasa, poiché le due versioni erano totalmente incompatibili l’una con l’altra.

Alcuni anni dopo fu sempre Grissom a essere scelto per il volo inaugurale della capsula Apollo, la prima in grado di ospitare al suo interno ben tre astronauti. L’opinione di Grissom sull’Apollo non era delle più lusinghiere, dal momento che, dopo averla esaminata, disse che non era allo stesso livello di quelle su cui era salito in precedenza, poiché vi era una serie di cose che, a suo giudizio, non andavano nella struttura della capsula.

L’Apollo, dunque, vale a dire la capsula che avrebbe dovuto portare tre uomini sulla Luna, secondo un veterano come Grissom non era allo stesso livello dei modelli precedenti che erano riusciti a stento a compiere alcuni voli orbitali intorno alla Terra.

Proprio per questa profonda delusione mista a incredulità verso quanto progettato dalla Nasa, il 22 gennaio 1967, tornato a casa a Timber Cove, in Texas, vedendo la grande pianta di limoni che lui e sua moglie tenevano in giardino, raccolse il limone più grande e lo mise nella valigia, spiegando alla moglie la sua intenzione di appenderlo alla capsula Apollo a indicare come si trattasse di un “catorcio”.

American Aviation, al «Journal of Spacecrafts and Rockets», nell’estate del 1964:

«L’ossigeno è più importante per la sopravvivenza dell’uomo di quanto non lo siano acqua o cibo. D’altro canto, presenta un alto rischio di incendio, specialmente sulla rampa di lancio, dove la cabina è pressurizzata con ossigeno puro a pressione superiore di quella atmosferica. Non c’è alcun metodo antincendio che possa combattere efficacemente una combustione che si sviluppi in un ambiente di ossigeno puro».

Questo testo è estratto dal libro "Mai Stati sulla Luna?".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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