SALUTE E BENESSERE   |   Tempo di Lettura: 9 min

Malattie, non condanne a morte: scopri la terapia antiacida

Il nostro corpo è un sistema complesso e integrato.

Scopri la terapia antiacida per la cura dei tumori leggendo un estratto del libro del Dottor Stefano Fais.

«Se ci si mette l'impegno necessario - ha detto non so più chi - non c'è cosa che non si possa venire a sapere».
Haruki Murakami, "Nel segno della pecora" (Einaudi)

Questo è veramente il messaggio più importante che vorrei questo libro trasmettesse a chi lo legge: il contatto che un essere umano di qualsiasi età e genere ha nella sua vita con la medicina deve essere sempre confortante e rassicurante, mai dovrebbe prendere le sembianze di un incubo costante, giornaliero, mai dovrebbe togliere a chiunque la voglia di vivere.

Purtroppo, invece, la visione che si è diffusa sui tumori è quella di una morte imminente, appaiata alla paura di morire e nell’aspettativa di essere sopraffatti da sofferenze atroci.

Tutto ciò ha generato quegli elementi percettivi e psicologici dominati dalla paura che diventano un’arma efficacissima in mano a chi vuole imporre, senza che siano messe in discussione, le regole che tutti devono seguire (e che anche troppo spesso chi è affetto da tumore chiede che vengano applicate).

All’inizio del libro e lungo il percorso che abbiamo seguito insieme ci sono le lettere di chi mi ha chiesto aiuto, e sono tutte persone alla ricerca di parole che non fossero le stesse che sentivano da qualche tempo; persone alla ricerca di energia nuova o comunque di ulteriore energia, perché quello che il mondo dell’oncologia ha proposto loro le aveva completamente svuotate della loro forza.

Il nostro corpo è un sistema complesso

Non vi è alcun dubbio che considerare una malattia come localizzata in una determinata parte del corpo è fondamentalmente sbagliato. Perché il nostro corpo, come quello di tutti gli esseri viventi, è un sistema complesso ed estremamente integrato.

Mi fa un po’ sorridere pensare alla psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI), di cui basta leggerne per intero il nome per accorgersi del paradosso che deriva dal mettere insieme almeno quattro funzioni dell’organismo, rappresentate da altrettanti apparati e organi e a cui fanno riferimento precise discipline accademiche; ma si dà ormai per scontato che essi siano profondamente interconnessi fra loro, grazie a mediatori comuni (ad esempio TSH, neuropeptidi gastroenterici e citochine), come se il resto del nostro organismo non esistesse.

La PNEI nasce a metà degli anni Ottanta del Novecento, quando ci si accorse appunto che le cellule del sistema immunitario producevano ormoni che si pensava sino ad allora fossero appannaggio esclusivo del sistema endocrino (ad esempio il TSH).

Oggi si sa con certezza che non esiste una suddivisione netta, ma forse ormai solo didattica, fra i mediatori dei sistemi che compongono la rete integrata, e che quindi citochine, neurotrasmettitori e ormoni rappresentano una categoria di mediatori comuni a una unica rete, che probabilmente unisce ogni parte del nostro organismo [una lettura che consiglio è "Cos'è lo stress" di Filippo D’amico e Antonio Milici (Nuova Ipsa, 2017) che in poche pagine spiega bene cosa è la PNEI e la grande importanza che riveste].

Io devo dire a posteriori che ho partecipato a studi pionieristici in questo ambito quando insieme ad amici e colleghi (eravamo tutti più giovani) ci mettemmo a studiare l’effetto dei neuropeptidi gastroenterici sul sistema immunitario periferico e delle mucose.

I risultati ottenuti con somatostatina, VIP e sostanza P, furono subito chiarissimi nel dimostrare che i linfociti T e B, e le cellule NK erano tutti stimolabili o inibibili da questi peptidi (Fais et al., 1991; Annibaie et al, 1990; Boirivant et ai, 1994, Sirianni et al., 1994). Ma a questo punto è mandatorio concludere che esiste un meccanismo che interconnette tutte le parti anche minime del corpo umano e che fa in modo che esso funzioni come un sistema complesso.

Nel precedente libro ho parlato del modo onestamente casuale che ha portato me e le persone che lavorano e hanno lavorato con me a ottenere risultati scientifici che si discostano dalla gran parte di quelli che si leggono sui giornali scientifici quotidianamente.

Fra le varie cose di cui ci siamo occupati con molto anticipo vi è un’area della ricerca in medicina che è fondata sullo studio di vescicole rilasciate praticamente da tutte le nostre cellule e che vanno da dimensioni micro a dimensioni nano. Sono raggruppate in un complesso molto eterogeneo detto delle vescicole extracellulari, in inglese extracellular vesicles (EV), ma la cui componente forse più interessante sono proprio le nanovescicole chiamate exosomi.

Nell’approccio antiacido le ho ribattezzate le particelle di Dio, non volendo per nulla apparire blasfemo, ma volendo semmai significare che in queste nanovescicole sono contenuti messaggi in grado di poter dare la vita. Infatti, oltre a trasportare proteine, lipidi e altre molecole, trasportano anche acidi nucleici, e parlo di DNA e RNA di vario tipo.

Sulla base di dati incalzanti, accumulati nell'ultimo decennio, si è portati a pensare che queste nanovescicole siano in realtà delle nanocellule prive di nucleo, ma con tutte le caratteristiche di una cellula. Da sempre si sa che sia globuli rossi che piastrine pur essendo considerate cellule non hanno nucleo. Eppure svolgono funzioni fondamentali per il nostro organismo, come trasportare emoglobina a tessuti e organi, o consentire i processi coagulativi, rispettivamente. E tutti sanno come alterazioni di globuli rossi e piastrine possano diventare letali per gli esseri umani o comunque essere la causa di malattie croniche. Ora, di fatto, gli exosomi sembrano versioni nanometriche di globuli rossi e piastrine.

In un lavoro pubblicato alla fine del 2014 abbiamo partecipato a uno studio promosso dal gruppo di Corrado Spadafora che dimostrava che gli exosomi rilasciati in vivo dai tumori finiscono nello strato germinativo (cioè gli spermatozoi) trasferendo un gene reporter non espresso nelle cellule germinative e poi espresso in seguito all’interazione con gli exosomi (Cossetti et al., 2014).

Questo significa che se per esempio un futuro padre feconda una futura madre mentre in quel preciso momento ha una infezione virale x, gli exosomi rilasciati dalle cellule infettate dal virus possono trasmetterlo agli spermatozoi e quindi alla progenie.

Questo non è per nulla campato in aria, dal momento che il Progetto genoma umano ha dimostrato che il nostro genoma è pieno di retrovirus che normalmente sono silenti, ma che possono essere espressi in condizioni di malattia, per esempio nei tumori (Sciamanna et al., 2016). Tanto che farmaci antiretrovirali hanno dimostrato di avere un effetto antitumorale (Sciamanna et al., 2016) e vieppiù in associazione con antiacidi (Lugini et al., 2017).

Nel trattare questo argomento non si deve essere superficiali, anche perché il mio non è esattamente un libro di divulgazione scientifica, ma, almeno nelle mie intenzioni, un invito a riflettere sul significato della salute. Tuttavia, gli studi che il mio gruppo sta portando avanti dal 2000 circa vanno tutti nella stessa direzione: il corpo umano funziona in maniera integrata sempre, sia durante la veglia che durante il sonno, e il modo attraverso cui ciò avviene passa attraverso queste nanovescicole, che viaggiano all’interno degli organi e nel sangue per tenere ogni parte dell’organismo in continua comunicazione; più questa comunicazione è efficiente più il nostro corpo funziona bene. Ma questo, scusate, è un concetto generale, che rischia di diventare superficiale, anche se molto affascinante.

Chiudo questo argomento parlando di uno studio recente del nostro gruppo che ha dimostrato che gli exosomi di per sé sono in grado di indurre trasformazione maligna in cellule normali (Lugini et al., 2016). Questo studio è nato da una mia riflessione sulla genesi delle metastasi. Ci sono alcuni fatti che da tempo non mi sono per nulla chiari. Nel mondo si dà per scontato che le metastasi sono generate da cellule tumorali circolanti che vagano per il nostro corpo e poi si fermano e proliferano in determinati organi, dando quindi luogo alla ripetizione metastatica.

Questo non mi ha mai veramente convinto per le seguenti ragioni:

(a) le metastasi si verificano molto spesso negli stessi organi, alcuni dei quali certamente con funzioni di filtro (per esempio fegato e polmone) ma altri per nulla così scontati (cervello, ossa, surrene); quindi mi sono chiesto perché ciò non avviene mai nel rene; eppure il rene filtra continuamente sangue;

(b) gli stessi tumori producono localizzazioni metastatiche di natura completamente diversa, per esempio i carcinomi della prostata e della mammella quando metastatizzano al fegato diventano tumori, quando metastatizzano alle ossa diventano delle lesioni osteolitiche, quindi dei buchi;

(c) guardando le istologie dello stesso tumore nella localizzazione primaria e nella metastasi si somigliano certo, ma non sono per nulla identici;

(d) non mi convince l’idea che una o due cellule tumorali viaggino nel sangue si fermino in un organo così armato come il fegato e in poco tempo formino un nuovo tumore.

Una volta conosciuti gli exosomi mi è in effetti venuto in mente che le metastasi siano causate dalla trasformazione che queste nanovescicole inducono in cellule particolarmente adatte a subire trasformazioni, come per esempio le cellule staminali, di cui in effetti gli organi bersaglio delle metastasi sono pieni. Il lavoro ha in parte dimostrato questo e l’ipotesi ha avuto un certo consenso internazionale (Zhao et al., 2018).

Data di Pubblicazione: 17 gennaio 2020

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