SAGGI E RACCONTI   |   Tempo di Lettura: 8 min

Maria Maddalena e le discepole, prima della partenza

Maria Maddalena e le discepole prima della partenza

Scopri il racconto del viaggio dalla Galilea alla Camargue di una discepola del Cristo leggendo l'anteprima del libro di Marie Johanne Croteau-Meurois.

La complicità dei sopravvissuti

Eravamo verso l’anno 40 della nostra era, e Gerusalemme era appena uscita dalla quarta Pasqua dopo che il Maestro Jeshua era stato inchiodato sulla croce. Già quattro anni... forse di più, non lo so con esattezza. Dopo lo shock che l’orrore di quell’evento e la separazione che lo aveva seguito avevano creato in tutti noi, avevo l’impressione che il tempo non scorresse più nello stesso modo.

Dopo essere riuscito a rigenerarsi nel sepolcro che suo zio Yussaf gli aveva messo a disposizione, e anche dopo averci rivisti due o tre volte, intorno alla persona del Maestro era stato alimentato un certo mistero. Dove sarebbe andato a vivere? Che cosa avrebbe fatto?

A volte circolava un’informazione che spesso ne contraddiceva un’altra... Eravamo sicuri solo di una cosa: quella di sentirci terribilmente orfani. Non orfani della Parola che Lui ci aveva affidato, certo, ma orfani della sua Presenza. Era già infinitamente più grande di quella di un uomo!

Sì... dovevano quindi essere quattro anni che percorrevamo le strade della Galilea, della Giudea e di Samaria nella speranza di poter offrire anche solo un po’ di ciò che Lui ci aveva offerto. Che altro avremmo potuto fare delle nostre vite?

Quattro anni passati a nasconderci quasi di continuo, vivendo nell’angoscia di essere arrestati... I Romani cominciavano a misurare la portata del vento di libertà che il Maestro Jeshua aveva soffiato, e la loro caccia ai “Galilei”, come spesso ci chiamavano, continuava a intensificarsi. Quando dico “noi” voglio dire tutte quelle e tutti quelli che Lo avevano seguito passo passo, da un villaggio all’altro, a perdifiato.

Non saprei dire quanti fossimo di preciso. Non ho mai fatto un conto. E d’altronde, chi avrebbe potuto farlo? A volte mi sembrava che fossimo pochi, a volte al contrario molti, quando prendevo completamente coscienza del numero di cuori che erano stati davvero toccati e che accettavano di correre il rischio di confessarlo.

«Shlomit» mi dicevano «è vero che Lo hai conosciuto e che hai davvero camminato con Lui? Com’era con te? È vero che è tornato dal regno dei morti? L’hai visto con i tuoi stessi occhi? Era Lui il “Benedetto”?»

Era troppo... capitava che non sapessi bene cosa dire... e soprattutto come dirlo... e tutte quelle domande, quei visi rivolti verso di me, mi stordivano e mi intimidivano sempre di più. Allora, in quei momenti, in un angolo discreto di una pubblica piazza, all’ombra di un uliveto o anche su una spiaggia, Yacuba, quella che era diventata mia sorella d’anima, cercava di trovare le parole, quelle che le venivano e quelle che ci assomigliavano...

Curare, consolare, portare conforto...

Yacuba parlava con autorevolezza... mentre io, come un piccolo animale ferito, avevo bisogno di silenzio e mi facevo discreta dietro la forza che lei poteva esprimere e che mi permetteva di sopravvivere alla prova della Sua partenza.

Dal canto mio, come di riflesso, mi coprivo subito il viso con il velo e poi cercavo di amare e di curare con le mie mani, molto semplicemente... In effetti era ciò che Lui mi aveva insegnato prima di ogni altra cosa... Curare, consolare. Allora, persone sofferenti venute da non si sa dove sfilavano davanti a me e io posavo le mani su di loro... lasciando agire l’Onda di guarigione.

La musica della voce di Yacuba mi accompagnava mentre lo facevo e questo mi rassicurava, ma mi rassicuravano ancora di più gli occhi del Maestro Jeshua che mi raggiungevano interiormente e mi sorridevano. E quel sorriso, il Suo sorriso mi dava la Forza di prolungare il Soffio della terapia verso l’infinito di quelli che chiamiamo “gli altri”.

Quando mia sorella ed io eravamo insieme, sapevamo quando succedeva “qualcosa”. Jeshua aveva sempre parlato della fugace apparizione di una sorta di vapore capace di avvolgere tutti quelli che amavano. Doveva essere quello che, in simili momenti, continuavamo a intuire se non a percepire, al punto che a volte ci mettevamo a piangere...

I primi tempi, avevamo errato da un villaggio all’altro in gruppi poco numerosi, sparpagliandoci per non attirare l’attenzione dei Romani. Tuttavia, a poco a poco si erano creati spontaneamente dei punti di ritrovo in qualche ovile o bethsaid.

Gruppi

Simone, il figlio del vasaio, era molto attivo e presente. Quanto a Taddeo, Tommaso e Betsabea, stavano per lo più con Yacuba e con me per offrire le terapie e per parlare di Quello che avevamo ricevuto a chi era alla ricerca... Anche Meryem, la madre del Maestro, aveva il suo piccolo gruppo. Si era composto spontaneamente: c’era Myriam, la moglie di suo figlio, poi suo nipote Marcus e infine Marta; a volte cera anche Yussaf. Si rifugiavano spesso in un piccolo bethsaid nel cuore dei valloni non lontano da Tiberiade, dove cerano così tanti Romani che non avrebbero mai pensato di cercarli proprio lì.

Giovanni, anche se era sempre vicino a Meryem, si spostava regolarmente per raggiungere Filippo e Bartolomeo. Simon Pietro e suo fratello Andrea, invece, si tenevano un po’ in disparte insieme a Levi, come legati da una complicità tutta loro.

Succedeva così per le affinità d’anima... I nostri piccoli gruppi non erano fissi e spesso Myriam di Magdala, Meryem e Yussaf si ritrovavano con Simone, sua moglie, con Yacuba e con me. Ci radunavamo trascorrendo raramente più di due o tre notti nello stesso posto, navigando da un gruppo informale all’altro. A volte luoghi che erano sempre stati ospitali ci chiudevano le porte per paura di rappresaglie, e da quel momento non eravamo più i benvenuti... Per fortuna, se ne rivelavano altri...

Fu in quel periodo che, contrariamente a ogni comune aspettativa, alcuni Zeloti si mostrarono molto collaborativi soprattutto nell’ospitarci e anche nel metterci in guardia sui luoghi da evitare.

Se oggi posso dire, per quanto riguarda gli Zeloti, “contrariamente a ogni comune aspettativa”, è perché tra di noi il solo fatto di pronunciare il loro nome e di evocarne l’esistenza era diventato una sorta di tabù inconscio.

Avevamo mal tollerato la liberazione di Barabba, che rimaneva ancora una ferita aperta nella nostra testa. Quindi quando eravamo riuniti nessuno si azzardava a parlare di loro. Una forma di pudore, di incapacità di confessarci di aver notato che non erano tutti dei brutali assassini.

Molti di noi, ognuno per conto suo, avevano tuttavia accettato che fra loro ne esistessero alcuni che avevano finito per essere toccati dalla Parola e dalla Forza interiore del Maestro.

Sì, per molto tempo avevamo avuto paura di riconoscerlo perché avremmo avuto un po’ l’impressione di tradire Jeshua. Eppure, un giorno fummo costretti ad arrenderci all’evidenza che tra di loro erano sempre più numerosi - anche se in forte minoranza - quelli che ci rispettavano e che cercavano di proteggerci come potevano, evidentemente malgrado quelli che avevano capito come trarre profitto dall’ascendente che il Maestro continuava ad avere attraverso di noi.

Fu in quel periodo, credo, che nella confusione generale sempre più Romani cominciarono a chiamare “Galilei” anche loro. Ne risultò che non sapevamo davvero più di chi fidarci, anche perché certe porte che consideravamo amiche si erano improvvisamente chiuse.

La paura, sempre...

Qualcuno aveva anche l’impressione che il Maestro ci avesse effettivamente mentito. Altrimenti, dicevano, perché sarebbe finito inchiodato su un palo come un semplice lestai? Quelli lì non credevano per niente alla sua rigenerazione malgrado le nostre insistenti testimonianze, né nell’idea della sua resurrezione che molti volevano imporre. Di fronte a tutto ciò, avevamo deciso di non forzare nulla...

Dopo tutto, era poi così importante?

Un giorno, all’alba, mentre ero accovacciata a raccogliere minuziosamente le erbe con cui fabbricavo i miei unguenti come potevo e malgrado le circostanze, sentii una presenza dietro di me. Mi voltai... Era quella di Zebedeo, mio marito. Stava lì, in piedi ma un po’ piegato in avanti, con lo sguardo preoccupato, la voce sussurrante. Temeva visibilmente di essere visto e udito...

Da quando avevo deciso di lasciare la sua casa di Bethsaida per percorrere le strade della regione, lo avevo sempre visto con più o meno regolarità tra la folla quando il Maestro era ancora tra noi e insegnava... In effetti capitava che venisse ad ascoltarlo e allora, a volte, si avvicinava discretamente a me per farmi scivolare in mano qualche moneta affinché potessi provvedere a bisogni che non ammettevo di avere... procurarmi della lana da tessere o comprare del lino per rattoppare due o tre abiti o delle vele. No, malgrado me ne fossi andata di casa non mi aveva mai abbandonata. Lui era così...

Ma quella volta capii che era venuto per altro... Voleva proporci un posto in cui potessimo dormire al riparo dei delatori.

Data di Pubblicazione: 16 marzo 2021

Ti è piaciuto questo articolo? Rimani in contatto con noi!

Procedendo con l'invio dei dati:

Lascia un commento su questo articolo

Caricamento in Corso...