Scopri il vero significato della parola "kaizen" e del concetto di miglioramento leggendo l'anteprima del libro di Marcos Cartagena.
Il vero significato di kaizen
Si dice che la parola kaizen significhi “continuo miglioramento”. Però, in realtà, se esaminiamo i due kanjis che la formano, otterremo quanto segue:
kai = cambiamento
zen = buono
Pertanto la traduzione letterale è “buon cambiamento”. Allora, da che cosa deriva il concetto di continuo miglioramento? Direi che la parola kaizen ha per i giapponesi un significato che va ben oltre la sua traduzione letterale. Quando mettono in pratica il kaizen, lo fanno con l’intenzione di provocare un buon cambiamento che perduri nel tempo. Per loro è inconcepibile il fatto che arriverà forse il giorno in cui non potranno più migliorarsi. Una volta avviato il processo, continuano a cercare il modo di migliorarsi. Forse è per questo che generalmente la parola kaizen all’estero viene tradotta con “continuo miglioramento”.
Il kaizen è un concetto utilizzato soprattutto nel mondo del lavoro. Le grandi società nipponiche sono famose per il loro alto livello di perfezione ed è risaputo che sono in grado di raggiungerlo grazie al kaizen. Alle volte si può avere l’impressione che questa parola sia utilizzata soltanto in ambito professionale, invece in questo libro ho l’intenzione di darle il posto che si merita. A mio avviso, il kaizen rappresenta qualcosa che va ben oltre il lavoro. È l’essenza di un modo molto speciale di concepire l’esistenza. È ciò che io definisco “evoluzione nella vita”.
Kaizen è evoluzione
In realtà, il kaizen può essere applicato a tutti gli aspetti importanti della nostra vita. Significa, tra le altre cose: migliorare a titolo personale, nelle relazioni, sul lavoro, nella nostra interazione col mondo, eccetera. Per me, “evoluzione” è la parola che più ricorda il concetto di kaizen.
Se osserviamo la natura, vedremo il kaizen messo in pratica in modo magistrale e apparentemente involontario. La vita si è fatta strada superando tutti gli ostacoli che ha incontrato lungo il cammino. È passata da forme infinitesimali a strutture che neanche i più grandi scienziati, biologi, chimici e fisici avrebbero potuto immaginare di creare. È passata da una cellula primitiva a un universo in cui queste lavorano in perfetta sincronia, costituendo i corpi di tutti gli esseri viventi che abitano il pianeta.
Studiando un po’ il funzionamento degli organi vitali che compongono il corpo umano, come per esempio l’occhio e l’orecchio, s’inizia a comprendere la portata dell’evoluzione di cui noi siamo il risultato, un autentico capolavoro dell’ingegneria genetica. Naturalmente ciò non è accaduto da un giorno all’altro: ciascun organo rappresenta la somma di milioni di piccoli cambiamenti. Nonostante ciò, a me sembra lo stesso una cosa sorprendente.
La vita è sempre in costante evoluzione. Non si arresta mai. Il suo proposito è di migliorarsi, perfezionarsi, mettere in atto il kaizen. La natura nel suo insieme è fedele devota del miglioramento. Dal momento che facciamo parte di essa, perché non dovremmo pure noi seguire questo nobile obiettivo? Non possiamo negare il fatto che la volontà di evolversi sia implicita in ciascuna delle catene del dna che compongono le cellule del nostro corpo.
L'essere umano, l'unico animale capace di mettere in atto il kaizen
Esiste una sottile ma significativa differenza tra l’uomo e il resto degli esseri viventi. La maggior parte di essi ha bisogno di morire e rinascere per scatenare un’evoluzione. Al contrario, noi siamo gli unici capaci di evolvere in modo intenzionale nel corso della nostra vita. Possiamo decidere di morire migliori di come siamo nati. Ed è ciò che i giapponesi hanno battezzato col termine kaizen, forse senza esserne coscienti.
Metti in atto il kaizen nella tua vita
Ci sono molti modi di applicare il kaizen per migliorarsi continuamente. Uno di questi è imparare dai tuoi errori.
Le pietre in cui inciampiamo sono quelle che ci insegnano a camminare, ad avanzare con forza e a mantenere l’equilibrio. Se la nostra strada fosse sempre pianeggiante e priva di ostacoli, non sapremmo come reagire se ne incontrassimo uno. Chi è stato costretto ad affrontare tante avversità ha una maggiore capacità di rimettersi in piedi dopo una caduta.
Le persone sono come macchine che necessitano di alcuni ritocchi e aggiustamenti per poter arrivare a raggiungere un funzionamento ottimale. Non c’è modo migliore del collaudato metodo “prova e sbaglia”. Come potrebbe un chitarrista affinare la propria chitarra senza prima provare il suono prodotto dalle corde? Per caso il chitarrista ritiene che sia un fallimento suonare varie volte una corda che emette il suono sbagliato? Assolutamente no. Sarebbe impossibile accordare la chitarra senza prima suonarla. Noi funzioniamo nello stesso modo. Per trovare il modo corretto di fare qualcosa, dobbiamo necessariamente commettere alcuni errori. Anche se io non li definirei errori ma, piuttosto, piccole calibrazioni.
Tuttavia, gli errori in sé non ci insegnano nulla. Per poter apprendere da loro, dobbiamo ricorrere a un grande strumento che l’essere umano possiede: l’analisi.
Dopo aver compiuto un’azione che non ha prodotto l’effetto desiderato, dobbiamo riflettere su quanto successo, su quale sia la ragione per cui non abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Tratte le conclusioni, proveremo un’altra volta e poi analizzeremo di nuovo il risultato. Se verificheremo di aver avuto ragione, procederemo per questa strada, sempre cercando di migliorare il risultato ottenuto. E se, addirittura, avremo ottenuto quanto sperato, non sarà comunque una cattiva idea fermarsi qualche minuto a pensare se esista un modo migliore per raggiungere lo stesso scopo. Lo schema da seguire dovrebbe essere questo:
prova -> risultato -> analisi -> cambiamento
Durante l’anno in cui ho vissuto a Kyoto, mi sono iscritto a un corso di karate che ho seguito fino al mio ritorno in Spagna. Ricordo molto bene il giorno in cui il direttore della palestra mi ha spiegato che avrei dovuto registrare i miei progressi in un apposito libretto, che mi avrebbe aiutato ad applicare il kaizen durante gli allenamenti. Per me era un concetto totalmente nuovo. Quindi gli ho chiesto di spiegarmelo in maniera più dettagliata. Quando ha aperto il suo libretto personale per mostrarmi quanti progressi aveva fatto da quando aveva iniziato ad allenarsi con la cintura bianca, sono rimasto a bocca aperta. Aveva riportato tutti gli errori che di solito commetteva e le azioni che aveva messo in pratica per migliorare se stesso sotto ogni punto di vista. Ogni sei mesi, poi, aveva trascritto le misure di braccia, gambe e petto per tenere d’occhio il progresso fisico, cercando sempre di migliorarsi tra una misurazione e l’altra. Dopo ogni esame, infine, aveva analizzato i combattimenti a cui aveva preso parte.
Io praticavo karaté da più di dieci anni, eppure non avevo mai fatto niente di simile. Semplicemente andavo ad allenarmi, limitandomi a compiere un’analisi superficiale e approssimativa. Quella è stata la prima volta in cui ho sentito pronunciare la parola kaizen e mi si è aperto un mondo che non ha mai smesso di darmi ottimi risultati.
Se dopo aver commesso un errore non si fa niente per cambiare la situazione, si continuerà a fallire. Invece, se si analizza lo sbaglio e si mette in atto un cambiamento con lo scopo di non cadere nello stesso errore una seconda volta, allora ne avremo tratto una lezione preziosa.
Data di Pubblicazione: 28 gennaio 2020