Guida ai luoghi e ai punti d'interesse più incredibili della Thailandia e allo spirito del suo popolo, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Lucia Giovannini.
La Mia Thailandia: Nove Chiavi per la Felicità
Sorridere dentro e fuori
"La tua vicina non mi sorride mai..." mi dice un giorno Arun.
Arun ha trent’anni, ma lavora con me da quando ne aveva diciotto. È arrivato a Phuket da un paesino di pescatori del Sud della Thailandia, quasi al confine con la Malesia, dove viveva in una sorta di capanna. Lui sa cosa vuol dire apprezzare ciò che si ha, anche se è poco.
"Arun, perché dovrebbe sorriderti? Non ti conosce! Magari è timida o semplicemente è presa dai suoi impegni", gli rispondo, mentre lavoro al computer.
"Allora perché ce l’ha con me?" insiste.
"Arun, perdonami, in che modo il fatto che non ti sorrida significa che ha qualcosa contro di te?" gli domando.
"Ha sempre la faccia scura quando le passo davanti", mi fa notare.
"Ma uno può avere la faccia scura per mille motivi!" gli spiego con pazienza.
"E perché mai? Ha una casa, una famiglia, degli amici che la vanno a trovare, dei bellissimi vestiti, da mangiare tutti i giorni. Perché mai dovrebbe avere quella faccia accigliata?"
Arun mi guarda con i suoi occhioni da bambino. Proprio non capisce perché una persona con tutte quelle cose non sorrida sempre.
"Be', forse ha altri problemi che noi non conosciamo", rispondo per cercare una plausibile spiegazione e convincerlo in qualche modo.
"Forse pensa troppo!" ribatte lui.
A quel punto mi arrendo. Non so più cosa dire. E dentro di me inizio a pensare che forse Arun ha ragione. Lui, come tutti i thailandesi, trova normale sorridere e strano non farlo.
Ho visto la Thailandia superare la devastazione dello tsunami, l'onda infernale che nel 2004 ha portato via le case, gli affetti e l'economia di un intero popolo. Anni dopo ho visto questo Paese superare la pandemia di coronavirus, che ha distrutto il turismo e lasciato tanti senza nulla da mangiare.
Eppure, il sorriso dei suoi abitanti non è mai scomparso.
Come fanno? mi chiedevo.
Poi, piano piano, ho capito.
Nonostante la Thailandia sia nota come "la terra del sorriso", il sorriso di un thailandese non è superficiale o semplicemente giocondo, ma ha più sfaccettature e significati di quanti ne possiamo immaginare.
Un thai sorride quando vuole esprimere gioia e gratitudine, ma anche per nascondere un'emozione negativa, potrebbe quindi farlo durante una situazione tesa e persino a un funerale.
Fa parte della cosiddetta thainess, in italiano diremmo "thailandesità", un termine che racchiude il modo in cui i thai vivono la vita, la loro cultura e la loro essenza.
La "thainess"
La thainess è una magia, un magnetismo che attrae e che non si dimentica. Da generazioni è una risorsa intangibile, ma decisamente preziosa, che il popolo thailandese utilizza per superare le difficoltà e regalare gioia, a se stesso e agli altri.
Il concetto vi apparirà astratto, ma, come vedremo, l'atteggiamento dei thailandesi nei confronti della vita non contempla lo stress, il conflitto, la diffidenza ed è di totale accoglienza e fiducia nei confronti del prossimo, anche se appena incontrato.
Il loro è un modo istintivo di essere, che sgorga naturalmente dal cuore e che si manifesta, per esempio, dando più risposte affermative piuttosto che negative, alzando di rado la voce, cedendo il posto migliore sul bus agli estranei, fornendo informazioni o aiuto in caso di difficoltà, chiedendo spesso "Hai già mangiato?" per provvedere, nel caso, a cucinare qualcosa.
Una vecchia tradizione, che consisteva nel mettere recipienti colmi di acqua potabile accanto ai cancelli per i passanti, oggi si traduce nella moderna usanza di offrire acqua nei negozi e nei mercati.
Insomma, quella dei thai è un’amorevole gentilezza, rara e profonda, che fa di loro un esempio unico al mondo. Ma soprattutto è una qualità che merita di essere conosciuta e compresa anche dagli stranieri, per provare a farla propria.
Da quando mi sono trasferita in Thailandia tengo a Phuket, dove abito, dei corsi della durata di una settimana, ogni febbraio-marzo, in italiano, e una cosa che i partecipanti mi dicono sempre è che la thainess, cioè l'equilibrio, la cortesia, la pace e la connessione che sperimentano qui, poi la portano con sé e cercano di renderla una costante nella loro vita e nelle loro relazioni.
In questi vent'anni di Thailandia ho ricevuto tanti insegnamenti preziosi. Non solo dai monaci, ma anche dalle persone comuni.
Ho imparato a gestire l’impulsività, quella che per esempio ci investe quando qualcosa va storto sul lavoro, ho capito che talvolta sorridere aiuta a esorcizzare un momento negativo, anche se in quell’istante non avremmo alcuna voglia di farlo, e poi ho appreso il valore aggiunto del divertimento nelle attività quotidiane e l’inutilità dello scontro su argomenti futili.
Tutti insegnamenti che spesso sono arrivati semplicemente osservando le abitudini dei thailandesi, ascoltando il loro modo di parlare e respirando quest’aria speciale.
Sono valori assai diversi da quelli che abbiamo in Occidente. E se questa diversità all’inizio può destare curiosità, talvolta può anche creare incomprensioni o addirittura spaventare. Eppure, la verità è che dopo tutti questi anni sono convinta che la Thailandia abbia parecchio da trasmetterci.
Così Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere della Sera, descrive la sua esperienza in questo Paese in una testimonianza comparsa sulla rivista dell’ente del turismo thailandese in Italia: "La cosa che colpisce di più della Thailandia non sono i templi, per quanto meravigliosi. Non è la natura lussureggiante. Non sono i fiumi tanto più ampi dei nostri. La cosa che colpisce di più della Thailandia è la gente.
È il fatto che si possa trovare in un angolo il XXI secolo e all'angolo successivo il Medioevo; che si possa passare un mese tra persone infinitamente più povere di noi senza suscitare, non dico un gesto ostile, ma anche solo uno sguardo di invidia. Forse perché siamo noi che abbiamo molto da invidiare a loro: l’arte del sorriso, la compostezza, la misura, il senso dell’estetica, il talento di guardare all’essenza delle cose".
Il mio intento, in questo primo capitolo, è proprio quello di offrirvi uno scorcio su questo mondo e sulla thainess, condividere con voi gli insegnamenti principali che ho appreso qui, nella speranza che vi possano servire a superare i problemi di tutti i giorni, ad arrivare alla vostra vera essenza e a portare maggiore gioia e spensieratezza nella vostra vita.
Non è la fine del mondo
La capacità che hanno i thailandesi di superare i turbamenti della vita è unica. Sembra quasi che sappiano intuitivamente come lasciar andare ciò che non serve e come evitare di preoccuparsi senza motivo o in modo eccessivo.
Per farlo, c'è un'espressione che usano spesso e che credo rappresenti la chiave della serenità che contraddistingue questo popolo: mai pen rai, ossia "non importa". Quando un thai la utilizza, è un invito a lasciar correre, a non preoccuparsi così tanto perché una soluzione si troverà.
Siete in ritardo per un appuntamento? Mai pen rai. Vi siete scordati di chiamare una persona? Quando lo farete, chiederete scusa e vi sentirete rispondere "Mai pen rai". In Thailandia una persona potrebbe rovesciare accidentalmente un drink addosso a uno sconosciuto in un bar, oppure rendersi conto di non avere abbastanza soldi per pagare un pad thai al ristorante e, con molte probabilità, si sentirà dire "Mai pen rai".
L'atteggiamento del "non importa", inteso come "non sono queste le cose che devono farci preoccupare", domina l'approccio del popolo thai alla vita, perché i thailandesi non amano lo scontro e l’eccessivo stress.
La loro è una filosofia che valorizza l'armonia e che riconosce, in un modo molto buddhista, che tutta l’esistenza è transitoria e che anche ciò che sembra una questione di vita o di morte in quel momento, probabilmente (anzi, sicuramente!) non lo è.
È saggio, è rincuorante. E infatti l'insegnamento più difficile è utilizzarlo in prima persona, specialmente sul lavoro. Un fornitore non vi consegna in tempo un materiale?
Mai pen rai, dovrete pensare. In ufficio va via l'elettricità e non potete utilizzare internet proprio quando ne avete un impellente bisogno? Mai pen rai. I lavori stradali aggiungono mezz'ora al vostro tragitto giornaliero? Mai pen rai, non sarà questa la fine del mondo.
Pensate alle reazioni che noi occidentali abbiamo tutti i giorni di fronte a eventualità come queste: tendiamo a prendercela per tutto, a tenere il muso, a rimuginare sulle cose, ad arrabbiarci. Facciamo davvero fatica a lasciar correre. E infatti, per alcuni, specialmente per quelli che fanno affari in Thailandia, la filosofia mai pen rai può essere frustrante.
Non è sempre facile, lo ammetto, ma è un bell’allenamento e vale la pena tentare. Evita di far cadere nel mare della negatività qualsiasi evento e di creare nelle nostre menti scenari apocalittici per avvenimenti che di apocalittico hanno davvero poco.
Vivendo in Thailandia si impara anche questo: lamentarsi con una persona a volte è come parlare a un muro e spesso le cose sono al di fuori del nostro controllo. Quindi è inutile arrabbiarsi, incaponirsi o preoccuparsi. Meglio fare spallucce e dire "Man pen rai".
Se non ti diverti, non vale la pena
Uno degli aspetti che mi ha colpito di più della Thailandia è quanto i thailandesi siano un popolo naturalmente gioioso e giocoso, un popolo che possiede ancora la capacità di scherzare, ridere ed entusiasmarsi come fanno i bambini.
Mio marito Nicola ha un'attitudine molto più scherzosa della mia e per lui la Thailandia è perfetta. Si diverte a istigare i thailandesi al gioco e riesce a farlo in qualsiasi situazione. E quando dico "qualsiasi", lo intendo davvero!
Nicola gioca con le guardie davanti ai centri commerciali, entrando e uscendo più volte dalle porte girevoli. È un comportamento che farebbe imbestialire anche un santo, soprattutto se pensate che lo faceva anche durante la pandemia, quando la guardia doveva prendere la temperatura alle persone.
Ma invece di arrabbiarsi, cosa faceva la guardia thailandese vestita di tutto punto, con la mascherina d’ordinanza, un’afa insopportabile e 40 gradi all’ombra? Rideva divertita e si metteva a giocare con Nicola facendo finta di puntargli addosso la pistola, che in realtà era il termometro per rilevare la temperatura!
Ma mio marito gioca anche con i camerieri dei ristoranti, facendo delle espressioni strane mentre scorre il menù.
E loro anziché preoccuparsi o chiedere spiegazioni ridono a crepapelle! Poi Nicola gioca con i commessi dei negozi, improvvisando dei balletti tra gli scaffali. E anche in questi casi, la reazione è inaspettata: lo imitano e si mettono a ballare insieme a lui.
Ma a dirla tutta non è sempre Nicola a istigarli. Spesso sono loro che danno via al gioco, alla risata. Pensate che mi è più volte successo di vedere interi reparti di commessi dei supermercati fare dei balletti ripresi dai loro manager durante l’orario di lavoro.
C'è un solo modo, anzi una sola parola, per definire questo perpetuo stato d'animo ed è sanuk.
Molte guide sulla Thailandia traducono il termine sanuk semplicemente con "divertimento". Ma sanuk è qualcosa di più, è un concetto carico di significato, che non possiamo racchiudere in una sola parola italiana. Secondo l'antropologo americano William Klausner, che ha vissuto in Thailandia per decenni, "divertimento" non rende giustizia al sanuk perché "non riesce a catturare la magia di un aspetto unico della cultura thailandese".
In effetti sanuk non è da intendersi un diversivo insensato o frivolo, ma un'attività preziosa, come una volontà a raggiungere soddisfazione e piacere da qualsiasi cosa si faccia.
Che lavori in ufficio, canti in un karaoke o faccia le pulizie, un thailandese cercherà sempre di rendere queste situazioni sanuk perché la possibilità di divertirsi o comunque di creare una situazione piacevole, non solo nei momenti di svago, ma soprattutto in quelli lavorativi, è basilare.
Pensate che una volta Sumet Jumsai, uno degli architetti più noti della Thailandia, ha affermato che un thailandese "si potrebbe dimettere da un lavoro ben retribuito solo perché non è abbastanza divertente". Questa affermazione è spiazzante per chi ha una mentalità occidentale. Chi lo farebbe mai? È così difficile trovarlo, un lavoro, diremmo in più noi italiani.
Eppure, questa frase rende perfettamente l’idea di quanto per i thailandesi il sanuk non sia un dettaglio facoltativo, ma una condizione necessaria. Ciò non significa che scherzino tutto il giorno e non lavorino, ma semplicemente che, a differenza di noi occidentali, mettono una dose di spensieratezza anche nelle situazioni importanti.
Perché "serio" non è sinonimo di "serioso" come spesso pensiamo noi. E, sempre con il sorriso, ci ricordano che una fronte corrugata non porta altro che rughe!
Data di Pubblicazione: 4 ottobre 2022