Il mito, i simboli e i segreti di Urano, il dio primordiale, incarnazione del Cielo e sposo della Terra, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Lidia Fassio.
Il mito greco di Urano e il suo significato simbolico
"La via superiore e la via inferiore sono la stessa cosa".
Eracliro
Il Mito di Urano
Parlare di Urano a livello mitico significa avventurarsi agli albori della cosmogonia greca, risalendo a ciò che per questo popolo c'era all'inizio dell'Universo. Urano e il suo mito, infatti, riguardano gli inizi del mondo e, sul piano psicologico, la nascita della coscienza.
All'inizio di tutto c'era il Caos, ossia il vuoto, l'oscurità, un luogo ove ogni cosa è confusa e indistinta, una sorta di precipizio in cui tutto è indifferenziato, pronto a essere ingoiato: in una parola, l'inconscio. Dal Caos nacque Gea, la Terra, e con essa le cose divennero solide poiché ella definì lo spazio infinito e oscuro arginandolo e dando a ogni cosa una forma ben distinta e separata dal resto.
Gea creò dunque stabilità, compattezza e chiarezza, e generò il suolo su cui camminano uomini, dèi e animali: simboleggia quindi il pavimento (la base) di un mondo ben definito che relega il Caos nel sottosuolo, là dove regna l'abisso.
È facile notare la similitudine con quanto, dal punto di vista psicologico, accade alla nascita: tutto è indifferenziato, inconscio, oscuro e senza forma, simile al Caos; pian piano, però, da esso emerge la coscienza, che separa le cose e inizia a differenziarle e, nel dare a ognuna un nome, a definirle.
Per i greci la Terra partorisce e nutre ogni cosa, diventa — e rappresenta — la Madre universale, ovvero la Madre Terra.
Dopo il Caos e la Terra apparve Eros, l'amore primordiale (non esistendo ancora la differenziazione tra il maschile e il femminile, non vi erano infatti esseri sessuati), l'energia che giunge dall'universo e che feconda la Terra, la quale può dunque procreare e partorire senza bisogno di unirsi a qualcuno, ma semplicemente portando fuori ciò che è già dentro di sé.
Il mito racconta che tutto ciò che Gea partorisce si manifesta come il suo doppio e il suo contrario, e ogni sua creazione è al tempo stesso umana e divina; è così che genera Urano, il cielo stellato, e Ponto, le acque del mare.
Urano corrisponde a Gea in ogni sua parte, sono un sotto e un sopra che si coprono a vicenda: Urano è coricato e disteso sulla Terra che lo ha generato e la ricopre interamente, come se fosse incollato a lei. È quindi il suo doppio simmetrico e nel mito, da questo momento, ci troviamo di fronte a un femminile e a un maschile distinti ma praticamente fusi.
Secondo alcune ricostruzioni del mito, fu Eros a convincere il Cielo e la Terra a unirsi e a generare dei figli; tuttavia, secondo altre e più diffuse versioni, Gea generò per partenogenesi gli dèi primordiali, ma fu unendosi a Urano che diede vita alle divinità che in seguito avrebbero governato l'universo: i dodici Titani (sei maschi e sei femmine), i tre Ciclopi e i tre Centimani, giganti dalle cinquanta teste, cento braccia e dotati di forza terribile.
Urano scendeva dal cielo ogni notte per fecondare Gea, ma non amava i suoi figli: li considerava imperfetti e per questo li ricacciava nelle viscere della Madre Terra impedendo loro di venire alla luce, finché Gea, per porre fine a questa situazione, escogitò un piano per affrontare Urano e liberare i suoi figli.
Estraendo dalle proprie viscere un po' di acciaio, con esso forgiò una falce e chiese ai figli di affrontare il padre: a rispondere al suo appello fu il più giovane dei Titani, Crono (il Tempo, che i romani chiameranno Saturno), che una notte si appostò e, quando il padre scese sulla terra per unirsi alla madre, lo evirò con la falce che lei gli aveva procurato.
Dal sangue di Urano che gocciolò su Gea nacquero le Erinni, creature violente e primitive, depositarie del destino degli uomini: esse fotografano la reazione furiosa e il dolore del dio per la sua evirazione, e al tempo stesso simboleggiano la rabbia e la colpa che ogni figlio deve sopportare nel momento in cui, per diventare adulto, volta le spalle a chi lo ha generato.
Secondo Esiodo, i testicoli di Urano, che Crono aveva tagliato e gettato nelle acque del mare, fecondarono i flutti e da essi nacque Afrodite, la dea dell'armonia e della relazione, la quale, sul piano simbolico, consente di ricreare proprio la relazione tra gli opposti: un chiaro riferimento al fatto che la coscienza dovrà ritornare a comunicare con l'inconscio, superando così l'ambivalente polarità iniziale.
Afrodite ha dunque il compito simbolico di risanare la ferita originaria, non ricreando la fusione iniziale bensì dando vita a un rapporto che consenta di riavviare un dialogo proficuo tra coscienza e inconscio.
Dopo l'evirazione, Urano tornò a dimorare nel Cielo stellato mentre il figlio Crono s'impossessò di tutti i regni, comportandosi a sua volta come un tiranno e vivendo costantemente nella paura di essere detronizzato. Sposò Rea e ripropose un modello identico a quello paterno: non solo governò da tiranno, ma — temendo di essere spodestato dalla sua prole — emulò il comportamento del padre ingoiando tutti i figli che la moglie partoriva.
I loro figli sono le divinità dell'Olimpo che ben conosciamo: Estia, Demetra, Era, Poseidone, Ade e Zeus, l’ultimo nato. E fu proprio lui a essere risparmiato e messo in salvo grazie a uno stratagemma che la madre mise in pratica con la complicità di Meti.
Per comprendere il simbolismo del mito di Urano occorre innanzitutto ricordare che, dal punto di vista psicologico, questo mito ha a che fare con quella che Erich Neumann definisce la separazione dei genitori del mondo, che descrive la nascita della coscienza egoica, necessariamente proiettata nel cosmo.
Infatti il mito ci dice che agli inizi esiste uno stato di totalità che, in termini psicologici, raffigura l'inconscio indifferenziato dal quale in seguito emergono tutte le cose: un passaggio ben rappresentato dalla copula dei due genitori che riflette uno stato fusionale (un regno di oscurità e di caos).
Si tratta di un ovvio riferimento al fatto che ancora non c'è la luce e che essa apparirà solamente quando ci sarà la separazione dei genitori, evento da cui originano la coscienza, il tempo e lo spazio.
Questa è la condizione iniziale del mondo e quella del bambino al momento della nascita, uno stato che Neumann definisce uroborico e nel quale il maschile e il femminile sono fusi, non ancora differenziati e per questo privi di coscienza.
Afferma l'antropologo Jakob Bachofen: "La madre viene prima del figlio, la femminilità è al primo posto. La creatività maschile viene solo dopo di quella, in seconda linea. La donna è il dato stabile, l’uomo diviene. All'inizio c'è la Terra, la materia materna fondamentale. Dal suo grembo materno proviene la creazione visibile e solo allora si manifesta la divisione in due sessi, solo allora viene alla luce la forma maschile. La donna e l'uomo non compaiono quindi contemporaneamente, non sono sullo stesso piano. La donna è il lato stabile e l'uomo è solo ciò che è sorto da essa".
La nascita della coscienza simboleggia l'accesso alla realtà soggettiva che consentirà all'Io di percepire il divenire di se stesso e del mondo. Nel mito è Gea a percepire la necessità di dare ai suoi figli la possibilità di uscire da questo stato di oscurità, permettendo loro di accedere alla luce (coscienza).
In seguito, i Titani maschi sposarono le loro sorelle e diedero vita a Teia e a Iperione, che a loro volta generarono Elio (il Sole), Selene (la Luna) ed Eos (l’Aurora): è qui evidente il riferimento alla nascita della luce e dell'ombra, del sopra e del sotto, del maschile e del femminile.
Dal punto di vista psicologico, è poi molto interessante la simbologia insita nel gesto del tagliare i testicoli, che Crono-Saturno compie nei confronti del padre: un atto che consente a Cielo e Terra di separarsi, dando sì vita a un senso di lacerazione e perdita, ma creando al contempo l'opportunità di generare tempo e spazio, imprescindibili nella dimensione della realtà e dell'Io.
Forse proprio Crono-Saturno era il figlio più adatto a compiere il gesto necessario a dar vita alla separazione da cui nacquero la dualità e gli opposti. L'atto della separazione è presente nei miti di tutte le civiltà, ed è quasi sempre compiuto dai figli, che sentono la necessità di dividere la coppia primordiale per poter vivere nella luce e nello spazio.
Il compito di creare un nuovo ordine, che ponesse fine alla lotta tra padri e figli, spettò a Zeus, ed egli, dopo la liberazione dei fratelli e la lunga lotta contro Crono e i Titani, divenne il re degli dèi, signore dell'Olimpo e detentore del logos, poi condiviso con Apollo ed Ermes, i suoi figli prediletti, che al pari del padre si avvalevano della logica e della ragione.
Eppure, come ben sappiamo, Zeus non sempre si rivelò logico e razionale: facile preda dell'ira, in più occasioni non si fece scrupolo a scagliare sulla Terra e sugli esseri umani i fulmini dalla sua folgore, in grado di bruciare qualsiasi cosa.
La figura di Prometeo e la mente prometeica
Uno dei personaggi mitici che meglio incarna le caratteristiche uraniane è Prometeo, il cui nome significa “colui che riflette prima” un Titano dotato di spirito di ribellione e inventiva, che il mito greco fotografa come indisciplinato, astuto e sempre pronto alla critica.
Prometeo era figlio di Giapeto, uno dei Titani fratelli di Crono.
Proprio la sua natura titanica lo rese da sempre inviso a Zeus, che aveva dovuto lottare a lungo proprio contro i Titani per liberare i fratelli tenuti prigionieri da Crono. Tuttavia, nonostante il sospetto che il re degli dèi nutriva nei confronti di Prometeo, non solo quest'ultimo non prese mai parte attiva alla battaglia, ma il mito narra che grazie alla sua scaltrezza poté fornire a Zeus numerosi consigli utili nella lotta contro Crono, senza i quali probabilmente Zeus non avrebbe vinto la sua battaglia.
Prometeo non poteva certo definirsi un “suddito obbediente”; al contrario, la sua natura profondamente indipendente lo rendeva poco affidabile agli occhi del re degli dèi, che ne temeva l'astuzia e il carattere ribelle, nonostante Prometeo non fosse minimamente interessato (a differenza degli altri Titani) alla conquista dell'Olimpo.
I due appartenevano — e rappresentavano — mondi differenti: i Titani (tra cui Prometeo) simboleggiavano infatti un mondo ancora poco organizzato, tipico di quel "vecchio ordine" che Zeus decise invece di cambiare ripartendo i regni tra i suoi fratelli e creando una vera e propria gerarchia.
Prometeo, inoltre, aveva un rapporto particolare con gli uomini e condivideva con loro una certa ambivalenza. Le difficoltà con Zeus si manifestarono allorché Prometeo e suo fratello Epimeteo (il cui nome significa “colui che riflette dopo”) ricevettero alcune buone qualità da distribuire saggiamente tra gli uomini; Epimeteo, però, iniziò a distribuirle del tutto casualmente agli animali, lasciando fuori il genere umano e suscitando la rabbia di Prometeo, cui era rimasto ben poco da elargire all'umanità.
Egli decise dunque di rimediare rubando ad Atena uno scrigno all'interno del quale erano custodite la memoria e l'intelligenza — il cosiddetto fuoco che, sul piano psicologico, simboleggia due fondamentali potenzialità della coscienza — e di farne dono agli uomini. Zeus non gradì affatto l'atto di irriverenza di Prometeo, perché era convinto che si trattasse di doni troppo pericolosi da mettere in mano al genere umano, così decise di distruggerlo.
Data di Pubblicazione: 1 luglio 2022