SALUTE E BENESSERE

Molecole di Emozioni - Anteprima del libro di Candace B. Pert

La rivoluzione dei recettori: lezione introduttiva

La rivoluzione dei recettori: lezione introduttiva

Gli scienziati, per natura, non sono propensi a ricercare le luci della ribalta o a goderne; anzi, la formazione che hanno ricevuto li induce a evitare ogni forma di comportamento esteriore che possa incoraggiare una comunicazione a due sensi con le masse. Si accontentano di perseguire la verità restando isolati, chiusi in un laboratorio senza finestre, e rendendo conto della loro attività soltanto ai componenti di una cerchia estremamente selezionata. E per quanto sia opportuno, anzi, necessario, presentare qualche relazione in occasione di convegni professionali, è raro che sappiano tenere testa a una folla di ascoltatori ammassati in piedi in una sala, ridendo, lanciando battute e rivelando segreti del mestiere.

Dal canto mio, sebbene faccia parte di questo ambiente da tempo e ne sia una rappresentante accreditata, non posso dire di essermi distinta per averne seguito sempre le regole. Direi piuttosto che mi comporto come se fossi programmata da un gene deviante e faccio proprio quello che la maggior parte degli scienziati aborrisce, cercando di informare, educare e motivare persone di ogni genere, dai profani ai professionisti. Tento di rendere comprensibili e di tradurre in linguaggio corrente le ultime scoperte fatte da me e dai miei colleghi scienziati che lavorano all’avanguardia nel campo della ricerca, informazioni pratiche in grado di cambiare la vita della gente. Così facendo, in pratica sconfino in una dimensione diversa, dove gli ultimi progressi della medicina biomolecolare diventano accessibili a chiunque sia disposto ad ascoltare.

Questa missione mi espone spesso all’attenzione del pubblico.

Una dozzina di volte l’anno ricevo l’invito a parlare di fronte a gruppi di persone riunite da varie istituzioni e per questo, quando non sono impegnata nel mio lavoro alla facoltà di medicina dell’università di Georgetown, dove sono ricercatrice nel dipartimento di biofisica e fisiologia, faccio la spola da una costa all’altra, a volte attraversando persino l’oceano. Per la verità non era nelle mie intenzioni trasformarmi in una divulgatrice scientifica e fare da altoparlante per educare il pubblico e i terapeuti impegnati nel movimento per la medicina alternativa, anche perché per la maggior parte della mia carriera sono stata legata agli ambienti ufficiali del laboratorio e della ricerca. Eppure si è trattato di un’evoluzione naturale, e ora mi sento a mio agio in questo nuovo ruolo. Ho l’impressione che, da quando ho imparato a tradurre le idee scientifiche nel linguaggio di tutti i giorni, la mia vita professionale e quella personale abbiano finito per influenzarsi a vicenda, cosicché la mia personalità si è evoluta e arricchita in mille modi inattesi grazie alle scoperte che ho fatto, alle ricerche che ho svolto e alle realtà significative che porto alla luce di continuo.

Scrivere questo libro è stato un tentativo di mettere nero su bianco, in modo più dettagliato e accessibile, il materiale che ho presentato nel corso di queste conferenze. L’intento che mi sono proposta, tanto scrivendo quanto parlando, è duplice: da un lato, spiegare le nozioni scientifiche sulle quali si basa la nuova medicina incentrata sull’unità corpo/mente, dall’altro, fornire sufficienti informazioni pratiche sulle implicazioni di tale disciplina, nonché sulle terapie e sui terapeuti che le praticano, per consentire ai lettori di fare le migliori scelte possibili riguardo alla salute e al benessere personale. Forse il mio itinerario intellettuale e spirituale potrà aiutare qualcun altro a scoprire e percorrere il proprio cammino individuale. E ora, via con la «lezione»!

Varrivo

Quando posso, cerco di arrivare in anticipo nella sala riservata alla conferenza, prima che il pubblico vi prenda posto. Mi emoziona sedermi nella sala vuota dove regna ancora la calma, la potenzialità allo stato puro, in cui può accadere di tutto. Il suono delle porte che si aprono, le voci soffocate degli ascoltatori che sfilano lentamente per entrare, il tintinnio dei bicchieri d’acqua e La rivoluzione dei recettori: lezione introduttiva lo stridio delle sedie... tutto questo crea una deliziosa cacofonia, che suona come musica alle mie orecchie: l’ouverture di quanto sta per accadere.

Osservo gli spettatori che si dirigono verso il loro posto, cercando la sedia giusta, chiacchierando con il vicino e mettendosi comodi, in attesa di essere informati, e magari intrattenuti, ignari del fatto che il mio intento è molto più ambizioso: voglio rivelare, ispirare, elevare, forse addirittura cambiare la loro vita.

« Che tipo è questa Candace Pert? » mi spingo a chiedere talvolta, mantenendo l’anonimato, per attaccare discorso con la persona seduta accanto a me, come per gioco. « E una persona in gamba, secondo lei? » A volte la risposta è istruttiva, e comunque è sempre divertente, oltre a consentirmi di saggiare i pensieri e le aspettative di coloro ai quali sto per rivolgermi. Poi annuisco di rimando, fingendo di mettermi più comoda per seguire la conferenza con maggiore attenzione.

Spesso mi trovo davanti un pubblico molto eterogeneo. A seconda del tipo di organizzazione che patrocina la conferenza, fra gli ascoltatori prevalgono i professionisti ufficiali - medici, infermiere e ricercatori scientifici - oppure persone che praticano metodi alternativi - chiropratici, guaritori che utilizzano l’energia, massoterapisti e altri curiosi - ma spesso 0 pubblico presenta esponenti di entrambi i settori, in una mescolanza che si può definire più efficacemente un incrocio fra « establishment » e « nuovo paradigma ». Questa miscela ibrida di spettatori è molto diversa dal pubblico più omogeneo a cui sono destinate le centinaia di relazioni che leggo, da ventiquattro anni a questa parte, di fronte ai miei colleghi scienziati. A loro rivolgo osservazioni più tecniche, espresse nel gergo degli iniziati, senza dover tradurre un codice che è comune a tutti noi. Non ho smesso di rivolgermi a uditori di questo tipo, facendo il solito giro annuale dei convegni scientifici, ma oggi mi piace avventurarmi anche su un territorio meno familiare, dove pochi dei miei colleghi scienziati osano, o desiderano, spingersi.

Respirando a fondo per un paio di minuti, mi rilasso sulla sedia, con gli occhi chiusi. Sento che mi si schiariscono le idee, mentre pronuncio una breve preghiera per entrare in uno stato d’animo più ricettivo. Facendo appello alla mia capacità istintiva di captare le aspettative e l’umore del pubblico, sento abbattersi la parete, il diaframma immaginario che separa noi scienziati dai profani, ovvero gli esperti, le autorità, da coloro che non sanno; un diaframma alla cui esistenza, personalmente, ho smesso di credere da tempo.

Il pubblico

Man mano che la sala si riempie, sento crescere l’eccitazione. Quando apro gli occhi e lancio un’occhiata a una di queste folle eterogenee, noto per prima cosa che, in netto contrasto con le adunanze di carattere più strettamente scientifico, di solito è presente un gran numero di donne. Mi sorprende ancora vederne tante, vestite con abiti sciolti e coloratissimi, di stile californiano, che formano un quadro piacevole, e mi colpisce sempre la vasta gamma di viola o di rosso violaceo presente nel loro abbigliamento, più ampia di quanto abbia mai immaginato. Poi, spingendo lo sguardo oltre quell’impressione superficiale, cerco di valutare le varie componenti rappresentate nel pubblico e i motivi che possono averle spinte ad assistere.

La mia attenzione va per prima cosa ai medici e agli altri professionisti del campo sanitario, il cui contingente è sempre dominato dalla presenza maschile. Gli uomini stanno seduti con la schiena diritta, i completi scuri tagliati su misura e la camicia bianca ben stirata, mentre le donne si guardano attorno senza dare nell’occhio, facendo il calcolo dei colleghi presenti.

Sparsi qua e là nella sala ci sono i neofiti, giovani uomini e donne con lo zainetto sulle spalle e gli occhi pieni di sogni. Seduti sull’orlo della sedia per l’ansia, lasciano trasparire la propria sincerità, o addirittura l’incertezza su quello che realmente vogliono o sulla meta che intendono raggiungere.

Mentre gli ultimi spettatori prendono posto e le voci si abbassano, fondendosi in un mormorio sommesso, io mi domando: che cosa si aspettano di sentire da me, tutte queste persone? che cosa vogliono sapere, che cosa sperano?

Alcuni di loro sono qui perché mi hanno visto comparire in televisione nel programma della PBS condotto da Bill Moyers, Healing and the Mind (La guarigione e la mente), al quale hanno partecipato anche Dean Ornish, Jon Kabat-Zinn, Naomi Remen e numerosi altri medici, scienziati e terapeuti che tentano di stabilire le stesse connessioni mente-corpo che sono diventate il mio lavoro quotidiano. Essere intervistata da un giornalista così bene informato e ricettivo mi ha permesso di parlare delle molecole della mente e dell’emozione con una passione e un senso dell’umorismo che di rado si trovano associati alla figura di scienziati impegnati nella ricerca medica. Ho tentato di facilitare al pubblico televisivo la comprensione del mondo appassionante della biomedicina, della teoria molecolare e della psiconeuroimmunologia, divulgando informazioni che di solito sono avvolte in un linguaggio impenetrabile, informandoli dei vantaggi che potrebbe offrire loro la familiarità con questo settore della conoscenza, dal momento che può metterli in grado di decidere del proprio stato di salute.

Pensiamo per un attimo ai medici, alle infermiere, ai professionisti del settore sanitario: che cosa li ha spinti a venire qui? Si sono trovati forse a contatto con qualche situazione nuova, che la loro formazione attuale non è in grado di spiegare? Molti di loro mi conoscono nelle vesti di ex direttore del settore biochimica del cervello, che ha sgobbato per tredici anni nell’ambito del National Institutes of Health, compiendo esperimenti con le sostanze biochimiche che in seguito ho ribattezzato « correlati fisiologici dell’emozione» e realizzandone la mappatura. Forse qualcuno di loro sa che mi sono allontanata dal National Institutes of Health quando ho scoperto un nuovo e potente farmaco per la cura dell’AIDS, senza riuscire però ad attirare l’attenzione del governo. In ogni caso, sembrano tutti consapevoli del fatto che la scienza va avanti, e molte delle nozioni che hanno appreso durante gli studi di medicina vent’anni fa, o anche solo dieci anni fa, non sono più attuali, e neppure applicabili. Sanno che lavoro in un settore all’avanguardia; in un recente numero di Forbes, un cronista della cultura contemporanea del calibro di Tom Wolfe ha definito la neuroscienza « il campo più caldo del mondo accademico », che solo ora si sta facendo largo nelle facoltà di medicina di tutto il mondo.

Poi ci sono tanti massoterapisti, agopunturisti, chiropratici, ovvero i cosiddetti terapeuti della medicina alternativa, che offrono ai loro pazienti un approccio diverso da quelli della medicina tradizionale. La loro presenza mi rammenta che queste persone sono state emarginate per anni, prese raramente sul serio da quelli che contano, come le facoltà di medicina, le compagnie di assicurazione, l’ordine dei medici, per non parlare della Food and Drug Administration, l’ente federale che disciplina questo settore negli Stati Uniti, anche se è notorio che il pubblico spende miliardi ogni anno per assicurarsi i loro servigi. Più tardi, nel dibattito che seguirà la conferenza, mi diranno che a loro avviso ho svolto delle ricerche in grado di confermare le loro teorie e convinzioni. Hanno letto qualcosa sulla mia teoria delle emozioni, in cui ho postulato l’esistenza di un legame biochimico fra mente e corpo, proponendo una nuova concezione dell’organismo umano come rete di comunicazione, dalla quale scaturisce una nuova definizione di salute e malattia, tale da conferire agli individui una nuova responsabilità e un maggiore controllo sulla propria vita.

Sono presenti anche i filosofi, coloro che vanno in cerca della verità. Alcuni di loro sono molto silenziosi - ascoltatori, non oratori - giovani pallidi che dopo la conferenza mi parlano dei viaggi compiuti in India o dei periodi trascorsi in Asia. Vedono nel mio lavoro la conferma di quello che i loro guru e maestri sostengono da tempo, e vogliono più risposte, forse riguardo al significato di tutto questo. Forse hanno sentito parlare di me come della scienziata che ha detto: « Dio è un neuropeptide ». Sanno che nelle mie conferenze non ho paura di usare quella parola che gran parte degli scienziati considera oscena, anima, e vogliono rivolgermi interrogativi di natura spirituale.

Molti vengono semplicemente per curiosità: magari hanno sentito parlare della mia fama di giovane studiosa che, appena laureata, ha gettato le basi per la scoperta delle endorfine, sostanze analgesiche capaci di indurre l’estasi secrete dall’organismo umano, oppure mi conoscono come la giovane donna che è stata ignorata al momento di assegnare un premio quasi all’altezza del Nobel e ha osato sfidare il suo maestro per ottenere il riconoscimento che era convinta di meritare. Può darsi che ricordino la disputa scatenata da quella protesta, che è finita in prima pagina sui giornali, mettendo allo scoperto la natura maschilista e profondamente ingiusta di un intero sistema, causando uno sconquasso che ha messo in imbarazzo un’intera dinastia medica.

Altri sono qui semplicemente perché hanno bisogno di una speranza. Vedo i malati, talvolta costretti sulla sedia a rotelle, disposti lungo i passaggi centrali, vicino alle porte. Sanno che lavoro all’avanguardia della ricerca, che svolgo esperimenti interdisciplinari e cerco di ottenere risultati nuovi per la cura del cancro, dell’AIDS e delle malattie mentali. Quando li vedo fra il pubblico, mi sento sempre un po’ nervosa. Si aspettano forse una guarigione miracolosa, come se fossi un predicatore a un’adunanza religiosa di revivalisti? Speranza è una parola sporca, pronunciata di rado nei circoli che frequento, e mi infastidisce ancora sentirla legata all’immagine che mi sono fatta di me stessa come scienziata. Pensare di essere considerata una guaritrice, e per giunta, Dio non voglia, una guaritrice che opera grazie alla fede! Eppure non posso ignorare l’espressione disperata e sofferente che vedo sui loro volti. Informazioni. Sì, queste almeno posso offrirle: nozioni che possano essere sfruttate, nella ricerca di alternative, da tutti coloro ai quali la medicina ufficiale non offre più risposte, né cure, né speranze.

A prescindere dalla professione, dall’orientamento o dalle aspettative emozionali o intellettuali, ho finito per convincermi che la maggior parte dei profani che vengono ad assistere alle mie conferenze sperano di sentire demistificata la scienza, finalmente liberata dal gergo tecnico e tradotta in termini comprensibili per loro. Vogliono poter esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e saperne di più sulle funzioni del proprio organismo, ma sono profondamente delusi dall’incapacità della scienza di mantenere la promessa di cure per le malattie più gravi. Ora vogliono riappropriarsi di una parte del potere, e hanno bisogno di capire quale valore abbiano le ultime scoperte scientifiche in vista del raggiungimento di uno stato di salute ottimale.

Forse anche voi che leggete questo libro pensate di rientrare in uno o più dei gruppi descritti. Se così fosse, mi auguro per il vostro bene, così come spero per tutti coloro che fanno parte del mio pubblico, che almeno alcune delle informazioni esposte in queste pagine possano segnare una svolta nella vostra vita.

Questo testo è estratto dal libro "Molecole di Emozioni".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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