Homo Sapiens
Homo Sapiens
La prima mossa che facciamo è porci una domanda: c’è da aspettarsi una trasformazione della nostra specie in correlazione alla modalità con cui avviene la nascita? Detto altrimenti, il modo in cui veniamo al mondo può indurre una mutazione della specie?
Da tutti i punti di vista il nostro stile di vita si è profondamente modificato negli ultimi decenni. Questo fatto indiscutibile è all’origine di una riflessione sulle recenti trasformazioni osservate nelVHomo sapiens, così come di interrogativi sul nostro futuro. È interessante notare come né in ambito accademico né sui media si faccia di solito riferimento al periodo attorno alla nascita. Eppure, non c’è dubbio che proprio in questa specifica fase della vita umana i cambiamenti siano stati radicali. Inoltre, diverse discipline scientifiche sostengono che sia un periodo critico per la formazione dell’individuo.
Ma, prima di pensare al futuro, iniziamo con una presentazione dell ’Homo sapiens. Come possiamo riassumere quello che attualmente si sa sulla natura dell’essere umano?
Da sempre la capacità di pensare è stata considerata la principale particolarità della nostra specie. È significativo che la parola anglosassone man (in tedesco Mann o Mensch, in danese Mandi) probabilmente derivi dal termine sanscrito che significa “essere che pensa”. Secondo Blaise Pascal, l’uomo è una «canna pensante». Nell’attuale contesto scientifico, la tipica rappresentazione dell'Homo sapiens non si differenzia molto da quella classica, anche se viene espressa in modo diverso. Oggi possiamo affermare di essere una specie della famiglia degli scimpanzé, dotata di un cervello gigantesco ed enormemente complesso. Abbiamo sviluppato all’estremo la parte del cervello detta neocorteccia. In questo modo si spiega la nostra capacità mentale, che comprende il ragionamento astratto, il linguaggio, l’introspezione, la risoluzione di problemi e l’utilizzo di utensili.
Molte discipline scientifiche si propongono di migliorare la comprensione della natura umana. Ma l’estrema specializzazione degli scienziati moderni sta diventando un ostacolo per una visione d’insieme sintetica delle particolarità dell'Homo sapiens, un po’ come nella famosa storia in cui un gruppo di persone non vedenti descrive un elefante dopo averne toccato solo una parte del corpo: chi aveva toccato la zampa disse che l’elefante era come una colonna, chi aveva toccato la coda che era come una fune, chi la proboscide che era come il ramo di un albero, chi l’orecchio che era come un ventaglio aperto, chi la pancia che era come una muro e chi infine aveva toccato la zanna disse che era come un tubo rigido. Si tratta di una parabola molto attuale, ora che abbiamo urgentemente bisogno di comunicare tra di noi rispettando i diversi punti di vista.
La batteriologia - più precisamente la microbiologia molecolare — è l’esempio tipico di una disciplina che sta facendo rapidissimi progressi, al punto che grazie alla rivoluzione del microbioma è già possibile considerare l'Homo sapiens un ecosistema in cui le centinaia di miliardi di microrganismi che colonizzano il corpo (il microbioma) interagiscono continuamente con i miliardi di cellule che sono il prodotto dei nostri geni. In altre parole, oggi possiamo affermare che la nostra salute e il nostro comportamento sono altamente influenzati dalla flora batterica intestinale e da quella cutanea. Il punto è che ogni persona ha un microbioma leggermente differente. Il microbioma - come parte della personalità - viene determinato in una certa misura alla nascita, a seconda di quali microbi colonizzano per primi il corpo del neonato. Ma non finisce qui: oggi come oggi si ipotizza che il microbioma sia coinvolto nel processo di evoluzione della specie.
Bisogni nutrizionali del cervello
I progressi fatti nella comprensione dei bisogni nutrizionali del cervello ci hanno permesso di identificare specifici nutrienti cerebrali, un aspetto che ha importanti implicazioni in una specie caratterizzata da un grado elevato di encefalizzazione. Uno tipico nutriente cerebrale è lo iodio, necessario per la produzione degli ormoni tiroidei che, a loro volta, regolano il metabolismo energetico del cervello. La carenza di iodio è accompagnata da uno sviluppo anomalo delle funzioni cerebrali. Tuttavia non siamo dotati di un meccanismo per ridurre l’eliminazione di iodio nell’urina, e quindi per immagazzinarlo. Da un punto di vista fisiologico è plausibile che l'Homo sapiens si sia adattato a un ambiente che fornisce continuamente una quantità sufficiente di iodio. In pratica ciò significa un ambiente con accesso alla catena alimentare marina. È significativo che un insufficiente apporto di iodio sia la carenza nutrizionale più diffusa e colpisca in tutto quasi due miliardi di persone, nonostante lo iodio sia l’unica sostanza nutritiva che in molti paesi deve essere aggiunta per legge al sale da cucina.
Mentre lo iodio è considerato il principale minerale specifico per il cervello, si reputa che l’acido decosaesaenoico (dha) sia l’acido grasso cerebrale specifico per il cervello. La molecola di dha appartiene alla famiglia degli omega-3 ed ha la catena più lunga possibile (22 atomi di carbonio), e più insatura possibile (con sei doppi legami). Si trova abbondante e pronta all’uso soltanto nella catena alimentare marina. Davvero interessante che l’essere umano abbia una ridotta capacità di sintetizzare dha: l’associazione tra grande cervello e debole sistema enzimatico di desaturazione-allungamento della catena suggerirebbe un accesso obbligatorio alla catena alimentare marina per un pieno sviluppo del nostro potenziale.
Dal punto di vista nutrizionale, l'Homo sapiens sembra essere un primate adattato alla costa. Oggi ciò dovrebbe condurci a ridare importanza all’ipotesi evoluzionistica che in passato e stata chiamata “teoria della scimmia acquatica”.
I principali
A parte la dimensione del cervello, molte altre caratteristiche ci differenziano dal nostro parente più stretto, lo scimpanzé. Tra le principali: la pelle nuda, lo strato di grasso attaccato alla cute, la forma generale del corpo (affusolata, con le estremità che prolungano il tronco), la temperatura basale relativamente bassa, lo sviluppo di un naso sporgente, i seni nasali ampi e cavi in entrambi i lati delle narici, la laringe bassa, un numero ridotto di globuli rossi, alcune particolarità anatomiche di mani e piedi e lo strato di vernice caseosa che ricopre la pelle del neonato alla nascita. Sono tutti aspetti che abbiamo in comune con i mammiferi marini e suggeriscono un adattamento all’ambiente costiero.
Max Westenhofer a Berlino (1942) e Mister Hardy a Oxford (1960) hanno formulato in modo indipendente quest’ipotesi, ma è stata la scrittrice inglese Eiaine Morgan a portare avanti questa causa nei suoi saggi e nei seminari che organizza alla ricerca di nuove conferme. Un recente aggiornamento di questa teoria è avvenuto grazie alla pubblicazione di un testo accademico e a una conferenza sull’evoluzione dell’essere umano a Londra, cui ho preso parte.
Dopo questa rapida carrellata sulla comprensione della natura umana nel xxi secolo, siamo ora in grado di formulare domande appropriate in merito al futuro della nostra specie.
Questo testo è estratto dal libro "La Nascita e l'Evoluzione dell'Homo Sapiens".
Data di Pubblicazione: 30 settembre 2017