Lezioni di Meraviglia - Anteprima del libro di Andrea Colamedici e Maura Gancitano
La prima domanda da porsi
La prima domanda da porsi è “Che cos’è la filosofia?”. La risposta sembra chiara, e del resto ce la ripetono da secoli: la filosofia è amore per il sapere, di conseguenza il filosofo è colui che ama il sapere. Abbiamo una brutta notizia: non è così. Il termine filosofia è composto dal verbo to ifdéiv (to philein) e dal sostantivo ooifla (sophia). To fixécv non vuol dire, però, “amare” nel senso di essere in contatto, di stare insieme alla “sapienza” (aofia). Esprime, al contrario, il vivere nella condizione tragica di chi desidera la conoscenza e la sente sfuggire ogni volta. Il filosofo non è il marito o la moglie della sophia, ma lo spasimante. Jorge Luis Borges, Carlos Castaneda, Emil Cioran, Edith Stein, Simone Weil, per citare alcuni tra i più interessanti filosofi del Novecento, erano perdutamente innamorati della sophia ma la vedevano dileguarsi sempre: la sapienza andava via e loro tentavano di correrle dietro, di raggiungerla. E questa tensione costante, questo instancabile desiderio erotico è profondamente connaturato a ogni filosofia.
La filosofia è un attrito, un desiderio che il mondo cerca costantemente di allentare. Il termine mundus in latino indica un luogo “chiaro, visibile e ordinato”: caratteristiche opposte a quelle della filosofìa, che ha piuttosto a che fare con l’oscuro, l’invisibile e il caotico. Mentre il mondo anela all’appiattimento e all’uguaglianza, la filosofia esalta la varietà e la differenza, perché è consapevole del nomadismo della verità. E il filosofo è un corridore che, giocoforza, fa del mondo la propria pista, consapevole che nessuno intorno a lui conosce la direzione. Per raggiungere l’inarrestabile conoscenza, quindi, non può basarsi sulle urla che sente, ma deve fare affidamento su un altra sensazione, su altri tipi di segni, diversi da quelli ordinari. Imparare a cogliere questi segni è fare filosofia.
Il filosofo e un navigatore
Il desiderio di acchiappare la sophia è come una bomba a orologeria. Il mondo intorno a te, filosofo, la disinnesca, perché non è in grado di sostenere un agente di cambiamento così grande. È probabile, quindi, che ti suggerisca di ìinunciare a una parte di quel bisogno, di ridurlo a un rapporto affettivo e non a un amore folle e totalizzante, in modo che tu possa passare il resto della giornata a lavorare, guidare l’automobile, fare shopping e svagarti, pensando alla tua amata di tanto in tanto ma senza che tutto questo d impedisca una vita ordinaria e normalizzata.
Non puoi smettere di amarla ma non puoi neppure inseguirla tutto il giorno, ti diranno, e ti aiuteranno a mantenere attiva una piccola porzione di quel bisogno, che però non ti renderà realmente pericoloso, sovversivo, ribelle, disubbidiente. Servirà soltanto a tenerti buono, a farti sfogare la tua quotidiana dose di divino, così che non monti in te la sacra rabbia di esistere. La filosofia è, infatti, un processo di creazione di individui pericolosi. Pericolosi prima di tutto per sé stessi, e poi per il mondo. Periculum, infatti, è il tentativo, l’esperimento: e il filosofo è chi ha la forza e il coraggio di riconoscere il mondo intero come un gigantesco esperimento.
Il filosofo è qualcuno che ha percepito la tensione e ha scelto di non farsela sottrarre, e che passa tutta la propria esistenza a difenderla e ad alimentarla, rinunciando a tutto il resto, a tutto quel che potrebbe dargli sicurezza. La filosofia è una navigazione, e navigare implica sempre la disposizione ad abbandonare la terraferma.
Se vuoi scoprire nuove terre e decidi di imbarcarti, a un certo punto accadrà questo: sarai sul mare e saprai di avere alle spalle la tua terra, ancora a portata di sguardo, e davanti a te qualcosa di nuovo e pericoloso; se ti volterai indietro potrai ancora vedere i lineamenti di ciò che per te vuol dire casa, sicurezza e abitudine, ma se vorrai scoprire nuove terre dovrai smettere di voltarti e andare avanti, sapendo che, se ti voltassi, vedresti solo il mare. Quello sarà il momento in cui comincerà la filosofia: quando dietro di te non ci sarà, più casa, e davanti non ci sarà ancora qualcosa. Intorno solo l’ignoto, pronto a provocare esperienze di incredibile meraviglia, di ddvpa (thauma).
Il filosofo è un poeta
Un’altra idea che potrebbe far storcere il naso è questa: un filosofo è sempre un poeta. Non perché scriva poesie ma perché è egli stesso una composizione poetica.
Uno straordinario filosofo italiano, in questo senso, è stato Eugenio Montale. Un poeta con vissuti spirituali abissali.
Prendiamo Forse un mattino andando, una delle poesie contenute in Ossi di seppia. Forse un mattino andando in un’aria di vetro, anda, volgendomi, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco.
Poi d improvviso s’uno schermo, s’accamperanno di gitto alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Si comincia con “forse”, la parola alla base della filosofia. Non è Dio, non è Uno, non è Essere, non è Ente, ma è forse . Non significa “io sono sperduto nel mondo e non posso sapere nulla”. È una traduzione del celebre “so di non sapere” socratico, ossia è un “so” relativo di un “non sapere” assoluto.
In altre parole, la conoscenza continua a sfuggirti, riesce sempre a voltare l’angolo prima che tu la possa raggiungere, e in ogni momento ti rendi conto che lei è più veloce e scaltra di te. «Io so di non possederla, di non esserci pienamente dentro», dice Socrate, «mentre gli altri non lo sanno». Ecco perché l’oracolo poteva dire che Socrate fosse il migliore tra gli uomini: perché tutti intorno a lui erano convinti di essere sapienti, sposi, mentre lui era consapevole di non poterla neanche accarezzare. E, soprattutto, sapeva di dover imparare a vivere in un mutamento costante, in un anelito perenne, pronto a qualunque tempesta, unica condizione all interno della quale avrebbe potuto farsi filosofia, lasciarsi fare dalla filosofia. L’atteggiamento del navigatore, appunto, che vive sull’acqua anziché sulla terraferma.
Per questa ragione Montale inizia la sua poesia con la parola “forse”, come se volesse dirci “io non so se succeda davvero in questo modo”, “voglio raccontarvi questa esperienza possibile, ma potrei non aver capito la sensazione che racconto perché mi supera, perché le parole fanno fatica a racchiuderla, perché non voglio ridurla, perché vorrei alludere a qualcosa che potreste aver vissuto o potreste un giorno vivere anche voi”. Come la filosofia, anche la poesia rischia di essere presuntuosa e arrogante, di stabilire i limiti della realtà, di dirci le cose come stanno, e quindi di promuovere un dogma anziché invitare al viaggio. Iniziando con la parola “forse , Montale confida di non possedere la verità ultima, e allo stesso modo cerca di restituirci la purezza della propria esperienza di meraviglia.
«Un mattino». Non una data precisa ma un momento qualsiasi del tempo e dello spazio in cui qualcosa si potrebbe manifestare: è il “c’era una volta”. Non possiamo controllare come e quando queste esperienze possano accadere, ma solo disporci ad accoglierle.
Questo testo è estratto dal libro "Lezioni di Meraviglia".
Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017