Anteprima del libro "Autobiografia di uno Yogi" di Paramhansa Yogananda
Il santo con due corpi
«Padre, se prometto di ritornare a casa di mia volontà, posso fare un viaggio a Benares per visitare la città?».
Raramente mio padre contrastava la mia passione per i viaggi. Fin da ragazzo mi consentì di visitare molte città e luoghi di pellegrinaggio. Di solito partivo in compagnia di uno o più amici; viaggiavamo comodamente in prima classe, grazie ai biglietti che ci procurava mio padre. Il suo incarico di funzionario delle ferrovie era provvidenziale per i nomadi della famiglia.
Mio padre promise che avrebbe preso in debita considerazione la mia richiesta. Il giorno seguente mi mandò a chiamare e mi diede un biglietto di andata e ritorno da Bareilly a Benares, un rotolo di rupie e due lettere.
«Devo sottoporre una questione d’affari a un mio amico di Benares, Kedar Nath Babu. Sfortunatamente, ho perso il suo indirizzo. Credo che riuscirai comunque a fargli avere questa lettera attraverso il nostro comune amico, Swami Pranabananda. Lo swami, mio condiscepolo, ha raggiunto un’elevata statura spirituale. La sua compagnia ti gioverà. Questo secondo biglietto ti servirà di presentazione».
Ammiccando, aggiunse: «Mi raccomando, niente più fughe da casa!».
Partii con lo slancio dei miei dodici anni (sebbene il tempo non abbia mai affievolito l’entusiasmo che provo davanti a nuovi scenari e a volti sconosciuti). Giunto a Benares mi recai immediatamente alla dimora dello swami. La porta era aperta e io mi inoltrai fino a una lunga stanza d’ingresso al secondo piano. Un uomo piuttosto robusto, che indossava soltanto una fascia avvolta attorno ai fianchi, sedeva nella posizione del loto su una piattaforma leggermente rialzata. Il capo e il volto, privo di rughe, erano completamente rasati; sulle sue labbra aleggiava un sorriso di beatitudine. Per fugare ogni mio pensiero di averlo disturbato, mi salutò come un vecchio amico.
«Baba anand (gioia a te, mio caro)». Mi rivolse il suo caloroso benvenuto con voce fanciullesca. Mi inginocchiai e gli toccai i piedi.
Swami Pranabananda
«Siete Swami Pranabananda?».
Annuì. «Sei il figlio di Bhagabati?». Pronunciò queste parole ancor prima che avessi avuto il tempo di estrarre dalla tasca lo scritto di mio padre. Alquanto stupito, gli porsi la lettera di presentazione che, a quel punto, appariva superflua.
«Ma certo che rintraccerò per te Kedar Nath Babu». Ancora una volta, il santo mi sorprese per la sua chiaroveggenza. Diede una scorsa alla lettera e fece alcune affettuose considerazioni su mio padre.
«Sai, godo di due pensioni. Una grazie all’interessamento di tuo padre, alle cui dipendenze, in passato, lavorai negli uffici delle Ferrovie. L’altra grazie alla raccomandazione del mio Padre Celeste, per il quale ho coscienziosamente assolto tutti i doveri terreni della mia vita».
Questa considerazione mi parve alquanto oscura. «Signore, che tipo di pensione ricevete dal Padre Celeste? Vi lascia forse piovere in grembo del denaro?».
Egli rise. «Mi riferisco a una pensione di pace incommensurabile, quale ricompensa per i numerosi anni di profonda meditazione. Non provo più alcuna bramosia per il denaro, ormai. Le mie limitate necessità materiali sono ampiamente soddisfatte. In futuro comprenderai il significato di una seconda pensione».
D’un tratto, ponendo fine bruscamente alla nostra conversazione, il santo divenne immobile e serio. Un’aria da sfinge lo avvolse. Dapprima i suoi occhi brillarono come se stessero osservando qualcosa d’interessante, poi si fecero opachi. La sua laconicità mi lasciò sconcertato: non mi aveva ancora detto come avrei potuto incontrare l’amico di mio padre. Con una certa irrequietudine mi guardai attorno nella stanza spoglia, dove eravamo solo noi due. Il mio sguardo, vagando, si posò sui suoi sandali di legno, sotto la piattaforma che fungeva da sedile.
«Piccolo signore, non preoccuparti. L’uomo che desideri incontrare sarà con te fra mezzora». Lo yogi stava leggendo la mia mente: impresa tutt’altro che difficile in quel momento!
Di nuovo cadde in un silenzio imperscrutabile. L’orologio mi indicò che i trenta minuti erano trascorsi.
Lo swami si scosse. «Credo che Kedar Nath Babu si stia avvicinando alla porta».
Udii qualcuno salire le scale. Improvvisamente, fui colto da una stupefatta incomprensione; i miei pensieri correvano all’impazzata: «Com’è possibile che l’amico di mio padre sia stato chiamato qui senza l’intervento di un messaggero? Lo swami non ha parlato con nessun altro se non con me, da quando sono arrivato».
Mi precipitai fuori dalla stanza e scesi le scale. A metà strada mi trovai davanti un uomo magro, di carnagione chiara e di media statura. Sembrava andare di fretta.
«Siete Kedar Nath Babu?». Nella mia voce risuonava l’eccitazione.
«Sì. E tu non sei forse il figlio di Bhagabati che mi stava aspettando qui?». Sorrise amichevolmente.
Un incontro inspiegabile
«Signore, come mai siete venuto qui?». La sua inesplicabile presenza suscitava in me una sorta di sbigottito risentimento.
«Oggi è tutto misterioso! Meno di un’ora fa avevo appena terminato le mie abluzioni nel Gange, quando mi si è avvicinato Swami Pranabananda. Non ho idea di come sapesse che mi trovavo lì a quell’ora.
«“Il figlio di Bhagabati ti attende a casa mia” mi ha detto. “Vuoi venire con me?”. Ho accettato con piacere. Mentre camminavamo tenendoci per mano, lo swami, con ai piedi i suoi sandali di legno, riusciva stranamente a procedere a passo più rapido del mio, benché io calzassi queste robuste scarpe da passeggio.
«“Quanto tempo ti ci vorrà per arrivare fino a casa mia?” Pranabanandaji all’improvviso si è fermato per farmi questa domanda.
«“Circa mezzora”.
«“Ho qualcos’altro da fare, adesso”. Mi ha rivolto uno sguardo indecifrabile. “Devo lasciarti. Puoi raggiungermi a casa mia; il figlio di Bhagabati e io ti aspetteremo lì”.
«Prima che potessi replicare, mi ha superato rapidamente, dileguandosi nella folla. Sono arrivato qui camminando il più velocemente possibile».
Questa spiegazione non fece che aumentare il mio sconcerto. Domandai da quanto tempo conoscesse lo swami.
«Ci siamo incontrati qualche volta l’anno scorso, ma non di recente. Mi ha fatto molto piacere rivederlo oggi al ghat».
«Non riesco a credere alle mie orecchie! Sto forse perdendo la ragione? L’avete incontrato in una visione o l’avete visto davvero? Gli avete toccato la mano e avete udito il rumore dei suoi passi?».
«Non capisco che cosa stai cercando di insinuare!». L’ira lo fece avvampare. «Non sto certo raccontandoti frottole. Non comprendi che solo grazie allo swami avrei potuto sapere che mi stavi aspettando qui?».
«Ma quest’uomo, Swami Pranabananda, non si è allontanato dal mio sguardo un solo momento da quando sono arrivato, circa un’ora fa!». Gli raccontai d’un fiato tutta la storia.
Egli sgranò gli occhi. «Viviamo nella realtà materiale o stiamo sognando? Non avrei mai immaginato di assistere a un simile miracolo in vita mia! Pensavo che questo swami fosse una persona come tutte le altre e scopro invece che riesce a materializzare un altro corpo e ad agire attraverso di esso!». Entrammo insieme nella stanza del santo.
«Guarda, questi sono gli stessi sandali che aveva ai piedi al ghat» mi sussurrò Kedar Nath Babu. «Indossava soltanto una fascia attorno ai fianchi, proprio come lo vedo ora».
Mentre il visitatore s’inchinava dinanzi a lui, il santo si rivolse a me con un sorriso divertito.
Superare l'ostacolo della materia
«Perché ti stupisci di tutto ciò? La sottile unità del mondo fenomenico non è celata ai veri yogi. In un istante riesco a vedere i miei discepoli nella lontana Calcutta e a conversare con loro. Anch’essi possono superare quando vogliono qualsiasi ostacolo posto dalla densa materia».
Fu probabilmente nell’intento di infiammare l’ardore spirituale nel mio giovane cuore che lo swami acconsentì a rivelarmi i suoi poteri astrali “radiotelevisivi”.* Ciò che provavo, tuttavia, non era entusiasmo, ma soltanto timore reverenziale. Essendo destinato a intraprendere la mia ricerca del Divino attraverso un particolare guru, Sri Yukteswar, che ancora non avevo incontrato, non ero incline ad accettare Pranabananda come mio insegnante. Lo guardavo dubbioso, domandandomi se colui che avevo dinanzi fosse proprio lui o il suo “doppio”.
Il maestro cercò di fugare la mia inquietudine regalandomi uno sguardo che risvegliava l’anima e parole edificanti sul suo guru.
«Lahiri Mahasaya è stato lo yogi più grande che io abbia mai conosciuto. Era la Divinità stessa in carne e ossa».
Riflettendo, mi domandavo: se un discepolo era in grado di materializzare a proprio piacimento un altro corpo fisico, quali miracoli potevano mai essere preclusi al maestro?
«Ti racconterò quanto sia inestimabile l’aiuto del guru. Ero solito meditare insieme a un altro discepolo per otto ore ogni notte. Durante il giorno dovevamo lavorare negli uffici delle Ferrovie. Svolgere le mie mansioni d’impiegato mi risultava, però, molto gravoso: avrei desiderato dedicare il mio tempo interamente a Dio. Perseverai per otto anni, meditando per metà della notte. Raggiunsi risultati meravigliosi: strabilianti percezioni spirituali illuminavano la mia mente. Tuttavia, un sottile velo continuava a frapporsi fra me e l’Infinito. Mi rendevo conto che, nonostante il mio zelo sovrumano, l’unione ultima e irrevocabile mi era preclusa. Una sera feci visita a Lahiri Mahasaya e implorai la sua divina intercessione. Per tutta la notte lo assillai con le mie suppliche.
«“Angelico Guru, il mio tormento spirituale è tale da non sopportare più di vivere senza incontrare il Sommo Amato faccia a faccia!”.
«“Che cosa posso farci? Devi meditare più profondamente”.
«“Vi imploro, Dio mio Maestro! Vi vedo materializzato davanti a me in un corpo fisico; beneditemi, affinché io possa percepirvi nella Vostra forma infinita!”.
«Lahiri Mahasaya stese la mano con gesto benevolo. “Ora puoi andare a meditare. Ho interceduto per te presso Brahma”.
La pensione spirituale
«Immensamente ispirato, tornai a casa. Quella notte, in meditazione, l’ardente Meta della mia vita fu raggiunta. Ora godo incessantemente della pensione spirituale. Da quel giorno il Beato Creatore non si è mai più celato ai miei occhi dietro lo schermo dell’illusione».
Il volto di Pranabananda era soffuso di luce divina. La pace di un altro mondo invase il mio cuore; ogni timore era svanito. Il santo mi fece un’altra confidenza.
«Qualche mese dopo tornai da Lahiri Mahasaya e cercai di ringraziarlo per avermi concesso il dono infinito. Poi gli sottoposi un’altra questione.
«“Divino Guru, non riesco più a lavorare in ufficio. Vi prego, liberatemi. Sono costantemente inebriato dalla presenza di Brahma”.
«“Fai domanda di pensione nella società in cui lavori”.
«“Che ragioni posso portare per lasciare così presto il servizio?”.
«“Dì ciò che senti”.
«Il giorno seguente presentai la domanda di pensione. Il medico mi chiese quali fossero le ragioni della mia prematura richiesta.
«“Al lavoro avverto una sensazione travolgente che risale lungo la colonna vertebrale* e permea tutto il mio corpo, rendendomi incapace di svolgere le mie mansioni”.
«Senza pormi ulteriori domande, il medico raccomandò vivamente che la mia richiesta venisse accolta e, ben presto, ottenni la pensione. So che la divina volontà di Lahiri Mahasaya operò attraverso il dottore e i funzionari della Compagnia ferroviaria, fra i quali vi era anche tuo padre. Automaticamente essi obbedirono alle istruzioni spirituali del grande guru e mi resero libero di condurre una vita di ininterrotta comunione con l’Amato».
Dopo questa straordinaria rivelazione, Swami Pranabananda si ritirò in uno dei suoi lunghi silenzi. Mentre mi congedavo da lui toccandogli i piedi con riverenza, egli m’impartì la sua benedizione.
«La tua vita appartiene al sentiero della rinuncia e dello yoga. In futuro ti rivedrò, insieme a tuo padre». Col tempo, entrambe le predizioni si avverarono.
Kedar Nath Babu camminava al mio fianco al calare dell’oscurità. Gli consegnai la lettera di mio padre, che egli lesse alla luce di un lampione.
«Tuo padre mi propone di accettare un incarico nella sede di Calcutta delle Ferrovie. Sarebbe bello poter contare almeno su una delle due pensioni di cui gode Swami Pranabananda! Ma è impossibile; non posso lasciare Benares. E, purtroppo, ancora non ho due corpi a disposizione!».
Questo testo è estratto dal libro "Autobiografia di uno Yogi".
Data di Pubblicazione: 22 giugno 2018