Anteprima del libro "Il Piacere Prima di Tutto" di Haidehoi David Simurgh
La difesa della propria sofferenza
Le persone sono sempre pronte a difendere la propria sofferenza con grande ostinazione: in molti casi sembrano volerci affogare dentro con convinzione, non volerne uscire per nessuna ragione. Te ne sei mai accorto?
Molto spesso accade di sentirsi in dovere di difendere la propria posizione, il proprio punto di vista, anche quando reca dolore. Puoi difendere le tue abitudini, le tue convinzioni, le tue ossessioni, i tuoi pregiudizi, la tua ignoranza o le tue paure. Puoi continuare a difendere la quotidianità in cui ti trovi rinchiuso, puoi difendere la tua sofferenza e la tua disperazione. In pochi comprendono il motivo per cui le persone provano questo attaccamento verso il proprio malessere, e ancora meno riescono a vedersi coinvolti in questa curiosa forma di affetto/piacere autolesionista.
Un uomo ubriaco sale su un autobus di linea e si siede accanto a un prete, estrae una bottiglia di vino di una sottomarca scadente e se ne trinca due abbondanti sorsate.
Si pulisce la bocca usando la manica del suo giubbotto, tira fuori un giornale, lo spiega per bene e si immerge nella lettura.
Il prete al suo fianco prova un forte ribrezzo, ma tenta di far finta che l’ubriaco al suo fianco non esista; quest’ultimo però lo guarda e si rivolge direttamente al prelato chiedendogli: «Mi scusi padre. Lei che sicuramente è un uomo istruito, bravo, bravissimo, mi sa dire quali cose possono provocare l’artrite?»
Il prete, pieno di disprezzo, gli risponde in tono sarcastico: «Certo che lo so! La vita dissoluta, l’abuso di droghe e alcol, il tabacco, la frequentazione assidua di prostitute, la sodomia e tutti questi tipi di nefandezze!»
«Caaaassspitaa, ma pensa che roba!» gli fa l’ubriaco, e si immerge nuovamente nella sua lettura.
Il prete, un po pentito per il tono usato nel rispondere al poveretto, decide di provare a discolparsi e gli chiede in tono mite e comprensivo: «Perdonami figliolo se prima sono stato un po brusco. Ma dimmi, da quanto tempo soffri di artrite?»
«Chi, io? Ma io stavo solo leggendo sul giornale che il Papa soffre di artrite da diversi anni!»
Inevitabile allora chiederselo: se tutto viene mosso dal Piacere, accade lo stesso con la sofferenza? Che ruolo ha il Piacere verso di lei?
Queste sono domande che mi vengono poste in qualsiasi contesto e da ogni tipo di persona, e sempre in tono diffidente. Le persone mi dicono: «Tutto accettabile, ma che anche la sofferenza abbia a che fare con il Piacere proprio no, qui non si scherza». E anche se a volte la società in cui viviamo può sembrare difficile da capire, questa loro affermazione è perfettamente comprensibile. Merito di una difficile convivenza di migliaia di anni che ha coltivato negli esseri umani un sentimento di condanna nei confronti della sofferenza — anche se accompagnata da una silente accettazione - ed eliminato ogni relazione cosciente tra la sofferenza stessa e il Piacere.
La prospettiva della sofferenza
Allora chiariamo subito il primo punto importante di questo tema: che cos’è la sofferenza? Prova a meditare attentamente su quanto stai per leggere al suo riguardo. Nel momento in cui indaghi direttamente su questo tema, ti stai impegnando a sondare uno dei più grandi misteri deU’Umanità, stai cercando le cause della guerra, stai osservando la tua relazione con gli altri. Ciò significa che stai mettendo in discussione tutta la tua esistenza e il tuo modo di guardare alla vita: sii consapevole di questo.
La sofferenza è una prospettiva. Un modo limitato di guardare alla Vita nato dalle tante batoste ricevute e dall’aver perso fiducia nell’Universo. E qualcosa di più ampio e diverso rispetto al dolore. Il dolore è una sensazione di pena, un semplice effetto temporaneo dovuto a una causa più grande. Per esempio, se un marito decidesse di interrompere la relazione con sua moglie per un’amante più avvenente e, durante il litigio conseguente, la donna gli lanciasse un piatto in testa, la sensazione derivata dal colpo si chiamerebbe dolore. Se poi lei esclamasse: «Adesso basta, dopo di te non mi fiderò mai più di nessuno!», quello sarebbe il segnale di una chiusura di prospettiva, della caduta nella sofferenza. Il dolore passa da solo oppure si può lenire, si può guarire, si possono trovare vie di fuga. La sofferenza, invece, funziona diversamente e richiede una comprensione straordinaria. Entrare in quanto hai letto è di fondamentale importanza per scendere nelle profondità della situazione umana.
Fatta questa necessaria premessa, cerchiamo di capire come funziona la sofferenza. Questa mattina, hai visto che il Sole si è alzato meravigliosamente bene? Il tuo cuore ha continuato a battere, gli alberi a respirare, nessuna stella vicina è esplosa, le galassie stanno funzionando in maniera perfetta. Hai notato che tutto è meravigliosamente in ordine? In ogni momento ci sono un milione di miracoli che accadono intorno a te: un fiore che sboccia, un uccello che cinguetta, una bimba che canticchia, una goccia di pioggia che cade, un dolce profumo che si diffonde nell’aria limpida della sera. L’intero cosmo sta accadendo meravigliosamente bene oggi, eppure basta che un solo pensiero ti scorra attraverso la testa per credere che questa sia una giornata decisamente brutta. Ecco come funziona la sofferenza: essa persiste essenzialmente perché la maggior parte degli esseri umani ha perduto la prospettiva ampia su cosa sia questa vita. Il loro processo interiore è diventato molto più vasto del processo esistenziale o, per dirla senza mezzi termini: hai reso la tua piccola creazione molto più importante della Creazione stessa. Questa è la fonte fondamentale di ogni sofferenza: abbiamo perso il senso completo di ciò che significa essere intensamente vivi. Un pensiero nella tua testa o un’emozione dentro di te determinano la natura della tua esperienza in questo momento. L’intera Creazione sta avvenendo meravigliosamente bene, ma un solo pensiero o un’emozione possono distruggere tutto.
Lo scopo della sofferenza
Eppure, anche in questa piccola prospettiva si annida il Piacere. La sofferenza fa parte infatti di un “normale” stadio del cammino propedeutico al riconoscimento del Piacere e dell’Amore. Essa è, per così dire, naturalmente innaturale, e ti prepara, ti addestra a una maggiore consapevolezza.
Il suo scopo? Lei ti chiude, ti costringe a guardarti dentro, ti isola in compagnia di te stesso e in questa solitudine vi è certamente racchiuso un certo qual tipo di malessere, un dolore di una qualche sorta e al tempo stesso un silenzio e una quiete profondissimi. Il suo potere è quello di radicarti dentro di te, di farti dimenticare del mondo e di farti ricordare di te e soltanto di te. La sofferenza nasce per costringerti - dopo vite intere di dimenticanza, di dispersione della tua attenzione sempre verso l’esterno - a farti stare dentro di te e a ritornare al tuo centro. All’inizio questo avviene certamente in modo violento. Ti arrivano una lunga serie di messaggi e di lezioni sempre più severe finché non sei costretto a chiuderti dentro, a isolarti completamente dal resto del mondo, a veder crollare le illusioni di una felicità esterna o i tentativi di negare una ferita interna. Ognuno viene portato vicino al suo personale punto di rottura: chi è geloso vive la sua gelosia fino in fondo, chi è preda di paure riguardo il denaro vede svanire tutto, chi teme l’abbandono lo sperimenta fino in fondo. Avviene individualmente e collettivamente, e il dolore aumenta nella misura in cui si dimostra forte la resistenza a scendere dentro di sé. Avvengono così una serie di eventi concatenati che tradiscono alcuni dei nostri diritti di base: il diritto di sentirsi in amore, il diritto di essere autonomi, il diritto di essere rispettati e così via. Attorno a questi diritti negati si costruiscono poi una moltitudine di contrazioni difensive e si erige il muro di una prospettiva sofferente. Non ti rimane nient’altro: sei obbligato a restare in tua compagnia. D’altronde pensaci: ogni uomo nasce da solo nel mondo, arriva attraverso i suoi genitori, ma in realtà è solo. E ogni uomo muore da solo. E tra queste due solitudini, le persone continuano a distrarsi, a illudersi, a ingannare se stesse, provando a riempirsi di altro, a fuggire. Per comprendere la sofferenza è necessario farsi coraggio ed entrare nel cuore della solitudine. Lei non può essere vinta con la volontà, ti prego di comprenderlo. Non puoi semplicemente decidere di liberartene. La sofferenza porta con sé un messaggio che deve essere ascoltato; è qualcosa che hai il compito di abbracciare, un dono che va compreso, con cui entrare in intimità. Ma tu non lo sei, vero? Puoi dire di conoscere la sofferenza, ma è veramente così? Sei entrato in lei o l’hai sopportata? L’hai guardata o ne sei fuggito via? In realtà le persone non conoscono la sofferenza, non accettano la solitudine, riescono soltanto a conviverci. Come l’unità dell’Amore non è qualcosa da coltivare, da acquisire attraverso l’esercizio, così la sofferenza non è una cosa che si possa vincere attraverso la sopportazione passiva. Il suo messaggio dev’essere compreso e la comprensione richiede una discesa sincera. Se accetterai tutto questo, per quanto all’inizio potrà apparire difficile e doloroso, i risultati saranno straordinari. Quando avrai trovato il modo di essere in lei, quando non la percepirai più come tristezza ma come presenza intima, quando comprenderai che non c’è modo di sfuggire davvero da lei, quando addirittura inizierai a goderne, ti rilasserai profondamente. Ma prima che questo avvenga sarà necessario che abbia luogo in te una profonda ripulitura, un sincero congedo da ciò che non serve più, dalle credenze accumulate.
Questo testo è estratto dal libro "Il Piacere Prima di Tutto".
Data di Pubblicazione: 15 maggio 2018